Esplorando la Val Vajont

DIFFICOLTÀ COMPLESSIVA: EE (sarebbe E se non fosse per il superamento di una frana già subito nella sezione iniziale).

DISTANZA: 14 km – DURATA: 3 h – DSL: 370m +

DATA: 4 febbraio 2024

PREMESSE

Un paio di volte, nelle mie giovani esplorazioni in fuoristrada, mi capitò di percorrere quel ponticello che traversa l’imbocco della Val della Tuara per recarsi sul versante orografico sinistro dell’omonimo torrente. Da lì, una stretta strada conduce ad un ponte sospeso nel vuoto, che dà accesso ad una buia ed ancor più stretta galleria. Ho sempre trovato la strada coperta dal ghiaccio e da frammenti di roccia caduti dalle sovrastanti pendici. Un luogo perennemente all’ombra, agli occhi ostico, al limite del “repulsivo”, al punto che, scherzando, avevo nominato quella valle che si apre a E tra le ripide ed anguste pareti la “Valle del Diavolo”. Oggi, grazie allo spunto del fidato amico Paolo, scopro che si chiama “Val Vajont” e che davvero nulla ha a che vedere con quella che ho sempre reputato essere la Val Vajont, ai piedi degli abitati di Erto e Casso. Questa è invece una valle davvero selvaggia, conchiusa tra il monte Cornet e il monte Zerten, apparentemente frequentata, in questa stagione, solo dai lupi! Triplice è la ragione di tale isolamento: i) il sentiero, sulla mappa un tratteggiato nero, è formalmente ed espressamente chiuso al transito; ii) una frana, nella sezione iniziale, non agevola sicuramente l’incedere; iii) la Val Vajont non conduce ad alcun luogo turisticamente frequentato e, tuttalpiù, consente di svolgere un lunghissimo giro ad anello intorno al monte Zerten. Quali migliori presupposti per andare ad esplorarla?!? Quanto allo studio dell’itinerario, ammetto che non è stato facile districarsi tra le migliaia di contributi che associano ormai da decenni il Vajont esclusivamente al tragico evento a tutti noi noto. E, d’altro canto, alzi la mano chi tra i lettori, al solo nominare “Vajont”, non pensa di primo acchito al disastro. Eppure, dietro il dramma indelebile, v’è una ricca storia di montagna, la storia di quegli abitanti che per secoli hanno vissuto e fruito di queste valli, di questa natura. Una storia che ho trovato narrata da Mauro Corona che, nel libro le Cinque Porte, descrive la Val Vajont nei seguenti termini: “da molti anni, la valle era abbandonata. boscaioli, carbonai e cacciatori non vi andavano più, troppo lontana, impervia, disagevole.”…

DESCRIZIONE DELL’ITINERARIO

Abbandonata l’auto su uno spiazzo poco dopo la chiesa di San Martino, lungo la strada statale, ci incamminiamo imboccando la ripida stradina asfaltata che conduce al ponte presso l’imbocco della Val della Tuara. Sul versante orografico sinistro del torrente Tuara, una scalinata diparte dalla strada carrozzabile, inerpicandosi sul costone erboso. La scalinata è completamente ghiacciata e dobbiamo prestare attenzione nella salita.

Superata la scalinata ghiacciata, il terreno erboso offre un più sicuro appiglio e procediamo più serenamente fino al cocuzzolo sulla collina, ove si erge un piccolo capitello dedicato a Sant’Antonio in Therenton. Sulla destra, il sentiero 901 per Casera Feron prosegue ma un chiarissimo cartello del CAI ammonisce “Percorso inagibile – Impassable path”, accompagnato da un X disegnata con bomboletta spray. Insomma, nessun dubbio: qui si prosegue a proprio rischio e pericolo (come sempre, d’altronde). Se il monito del cartello non bastasse, ci pensano i primi metri di sentiero a risvegliare i sensi intorpiditi dal freddo. La traccia assume infatti presto le sembianze di una cengia; sulla destra, il salto nel vuoto, sotto i piedi, un soffice manto di foglie secche. Procediamo con estrema cautela saggiando delicatamente ogni passo; un inciampo, qui, non darebbe scampo, e ce lo rammenta una triste lapide a memoria di un giovane trail runner precipitato nel baratro sottostante. Superiamo il tratto più esposto e tiriamo un sospiro di sollievo, appropinquandoci ad una frana che ha spazzato via il sentiero. Una loquace scritta sulla parete intima: “Gefhar” (mi domando perché in Val Vajont “pericolo” debba essere scritto in tedesco e non in italiano… e giungo alla conclusione che la dicitura sia stata apposta da un premuroso turista germanofono). In verità, per quella che è la mia attitudine più dolomitica, il superamento di tale tratto franoso mi mette più a mio agio del percorso appena svolto sulla cengia coperta di fogliame!!!

Attraversiamo quindi serenamente la frana, il cui fondo appare ben stabile e la cui pendenza non crea disagi di sorta, fino ad arrivare al margine opposto della frana medesima. Là troviamo il solo passaggio effettivamente “delicato” che merita una certa attenzione, sebbene l’attenzione si traduca più in uno sforzo fisico che in un grave pericolo. Ci issiamo su una corda posticcia legata al tronco di un alberello fino al margine della frana superando un tratto scivoloso di sottile rena e siamo di nuovo sulla traccia.

Con i piedi nuovamente saldi sul sentiero evidente, ci guardiamo indietro. Siamo sul versante orografico destro di una profonda valle. Sull’opposto versante, le ripide balze erbose del monte Zerten precipitano a picco sul torrente Vajont. Il nostro versante, invece, meno inclinato e più “camminabile”, presto ci conduce sul letto del torrente, nel cuore del canyon.

Il paesaggio è davvero suggestivo. La consapevolezza di essere gli unici visitatori di questo luogo remoto aumenta l’emozione dell’avventura. Quand’ecco l’ennesima sorpresa! Ciuffi di pelo, macchie di sangue e resti di intestini sono sparsi sulle rocce del greto. Quale animale è stato sbranato? Pare evidente che il predatore sia un lupo, sicuramente padrone indisturbato di questi luoghi tanto selvaggi.

Continuiamo ad addentrarci nella Val Vajont, fino a che il torrente compie una marcata deviazione ed il sole fa capolino, scaldando le membra intorpidite.

Ed ecco la nuova sorpresa! Evidenti sulla sabbia del greto, si stagliano grandi impronte che mi lasciano perplesso. Le impronte di lupo le ho spesso viste sull’Altipiano del Cansiglio. Questa impronta è veramente grande però, e rotondeggiante. Ho provato successivamente ad informarmi. Chi dice che è sicuramente un lupo di grossa taglia, chi dice che è un orso. Può essere l’autore della carneficina trovata più a monte? Nessuno ha saputo fino ad ora dare una risposta definitiva circa la specie di animale. Io posso dire che le impronte non erano in linea retta una di seguito all’altra.

Riprendiamo il cammino e ci imbattiamo nella prima testimonianza di un’era ormai scomparsa, un’era in cui la valle era, come ricordato da Corona, abitata e frequentata da chi ne traeva beneficio per vivere. Un alto muretto a secco, infatti, posto nei pressi di una ansa del torrente, fa presumere l’esistenza di una qualche abbandonata infrastruttura (parete di una casa? Diga?). La presenza dell’uomo nell’epoca che fu è ulteriormente confermata nel corso dell’itinerario. La sorgente di Acqua Benedetta, segnata anche sulla cartografia, è individuabile sul versante orografico sinistro della valle, ad una ventina/trentina di metri dal corso principale del torrente; consiste in un grande masso bianco incappucciato dall’erba, sul cui apice è infissa una croce di ferro, e ai cui piedi scorre un debole rivolo d’acqua. Il sentiero qui non è ben visibile ed è facile perder la traccia preferendo la progressione sull’alveo del torrente. Altro insediamento archeologico è costituito dal perimetro di una casa (perlomeno, si distinguono i macigni che disegnano una sagoma rettangolare, probabilmente coincidente con le fondamenta dell’infrastruttura). Adiacente al perimetro, giace un grosso masso coperto di muschio con una croce arrugginita conficcata. Un luogo di preghiera per gli abitanti dell’insediamento? Un luogo di preghiera per i viandanti? Una sepoltura? Ho provato a scrivere a Mauro Corona per chiedere lumi a riguardo ma, a distanza di mesi, nessuna risposta è mai pervenuta.

Il sentiero si inerpica ora sul versante idrografico destro, dove ci troviamo improvvisamente di fronte ad un tratto esposto che consente il superamento di un breve salto mediante la percorrenza di assi di legno che, tuttavia, sono completamente coperte da una massiccia colata di ghiaccio. All’interno del ghiaccio, diverse fettucce permetterebbero di “assicurarsi” per superare in sicurezza il breve salto che, peraltro, sarebbe anche serenamente superabile senza fruire delle fettucce. Purtroppo, tuttavia, la colata è così uniforme e massiccia che risulterebbe folle superarla senza la debita assicurazione. Scendiamo quindi sul letto del torrente, superando l’ostacolo, e ci troviamo di fronte ad una nuova spettacolare cascata di ghiaccio.

Ormai inizia ad essere tardi, considerata la stagione. Camminiamo fino al raggiungimento di un ameno slargo, dove consumiamo il nostro frugale pasto. Che luogo spettacolare, inviolato, selvaggio!

Come di consueto, a chi gradisse approfondire, non posso che consigliare la lettura della relazione scritta da Paolo sul suo blog!

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