Esplorando la Muraglia Giau ed i Lastoni di Formìn

DIFFICOLTÀ COMPLESSIVA: E; F.

DISTANZA: 4,8 km – DURATA: 3 h – DSL: 510 m+

DATA: 25 agosto 2024

Premesse

Se nella vita non avessi fatto quello che faccio per vivere, avrei fatto l’archeologo. Se infatti da una parte ho sempre trovato avvincente l’alpinismo per il fascino dell’esplorazione fine a se stessa, dall’altra non posso negare che i massimi livelli di soddisfazione scaturiscano per me quando l’alpinismo assume i profili dell’esplorazione storica. Per chi condivide tale emozione, quella che vado a narrare è sicuramente l’avventura perfetta! Ci troviamo in un territorio tra i più anticamente frequentati delle Dolomiti. Nell’area di Pra Comun/Val Costeana sono stati rinvenuti innumerevoli manufatti datati 6.700-5.500 a.C., attribuibili al Mesolitico recente, Castelnoviano. È esattamente qualche centinaia di metri più a valle di questi rinvenimenti archeologici che si svolge l’itinerario odierno. L’idea è quella di percorrere la Muraglia del Giau, dalla statale sino alle pareti dei Lastoni di Formin. Giunti alle pendici dei Lastoni ci prefiggiamo di identificare lo stemma di confine affisso sulla parete. Successivamente, intendiamo cimentarci nella salita dei Lastoni, dai boschi di Ciou de Ra Maza, per un invitante canalone. Compagno dell’avventura è, come di consueto, il fidato e solido Paolo!

Relazione dell’itinerario

Lasciata l’auto nei pressi della statale, si identifica facilmente la muraglia perpendicolare alla strada (d’altro canto, un evidente cartello aiuterà i più distratti!). Iniziamo quindi a seguire i resti del muro sul versante orografico destro della valle e subito questi precipitano ripidamente nel rio de Loschi.

Con un po’ di attenzione, scendiamo al torrente su un terreno erboso e pregno di infiltrazioni sorgive, fino a guadare e rimontare sul versante orografico opposto.

La muraglia sale diretta dentro il bosco in direzione delle Pénes de Formìn. Ma che cos’è questa Muraglia del Giau o, in ladino, marogna de Jou? È, effettivamente, un muro – o quel che ne resta – che collega i Lastoni di Formin con le pendici del Nuvolau, presso il Beco de la Marogna e, come tutti i muri costruiti dall’uomo, è stato edificato per dividere gli uomini e, quindi, segnare un confine. Più precisamente, un confine inteso a regolamentare lo sfruttamento del territorio a fini di pascolo tra la comunità ampezzana e sanvitese, da secoli in lotta tra loro. Risale al 1753, infatti, la decisione con la quale si stabiliva che i cadorini di San Vito, per garantirsi la fruizione dei pascoli secondo gli antichi diritti già sanciti nel XIV secolo, avrebbero dovuto costruire a proprie spese un muro di confine lungo due km, entro novanta giorni, affinché i propri pascoli non sconfinassero in territorio ampezzano. Ecco come recitava il documento ratificato dall’Imperatrice Maria Teresa il 7 aprile 1753:

.. così la Commissione ferma nel suo principio d’impedire, in quanto sia possibile, ogni promiscuità ingionge alla Communità di San Vito già disposta, il preciso obligo di dover a proprie spese alzar una marogna di piedi sei nell’altezza, grossa in fondo piedi cinque, ed in cima due, la quale sarà condotta da un Monte all’altro, principiando dal Sasso Isolato della Gusella sino al termine della Forcella per serrare tutta la Valle troppo comoda al trapasso degli animali, intendendosi ancora obligata la stessa Communità di San Vito al mantenimento perpetuo della detta Masiera, come pure del Restello con il quale dovrà essere assicurata la bocca della medesima, dove passa per mezzo la strada inserviente a commune uso, e ciò parimenti ad esclusione della promiscuità, che potesse succedere dallo scampo degli animali siano minuti o bovini.

Si continua a salire in mezzo al bosco, camminando a gradimento dove risulta più agevole, talvolta sul versante ampezzano talaltra su quello sanvitese, sempre mantenendo la muraglia a vista.

Ad un tratto la muraglia appare sormontata da fitti baranci. Seguiamo quindi una nitida traccia in territorio ampezzano che, compiendo un breve semicerchio, ci immette dentro i fitti mughi. A discapito delle apparenze, la traccia è evidente ed il progredire tra i baranci non ha nulla di quel “ravanage” a cui siamo adusi; al contrario, l’occhio esperto non potrebbe non notare i vari tagli – anche freschi – sui mughi, che, pur non agevolando il passaggio, offrono tuttavia la sicurezza di essere sulla retta via.

L’infrattamento barancioso è peraltro affar breve: si sbuca presto, infatti, in un’area boschiva più rada. La muraglia è sempre al nostro fianco ed i Lastoni di Formin sempre più vicini. La pendenza aumenta gradualmente e la muraglia, su terreno più esposto, tende ora ad appiattarsi, disfatta dal dilavamento piovano di tre secoli. Là dove la muraglia si confonde tra le ghiaie franose, una traccia diparte su territorio ampezzano, verso N, ed aggira un enorme masso coperto di baranci costeggiando uno smottamento.

Ritorniamo puntando a S sulla muraglia, sebbene la certezza di starci sopra ci è data ormai solo dalla posizione satellitare sulla mappa. Essendoci ripromessi di procedere sempre con la muraglia a vista, senza svolgere inutili aggiramenti di ostacoli, puntiamo dritto per dritto verso i Lastoni, entrando in una ripida e divertente fessura tra due massi (quel tipico esercizio di progressione esposta fine a se stesso ed un po’ fanciullesco, posto che aggirando a S è possibile salire su più comodi pendii erbosi!).

Ora la parete dei Lastoni è sopra di noi e subito scorgo la tanto bramata meta! Una cinquantina di metri a monte, una croce con data 1753 separa due lapidi incastonate nella roccia (rectius “nel cengio“!), recanti le simbologie dei due stati confinanti: a N il tipico scudo d’armi asburgico ornato di fregi floreali, in marmo bianco di Falzes, e a S il Leone alato di San marco della Serenessima, con l’evangelario aperto, in pietra di Castellavazzo! Aguzzando l’occhio notiamo che qualche scellerato ha scritto il proprio nome sul cippo austriaco. Poi, leggendo la data a fianco dell’autografo “1866”, non ci resta che sorridere!

Baldanzosi per la lieta scoperta, proseguiamo ora verso N, su evidente traccia che ci conduce in un semplice ed ampio canale. Saliamo su ghiaia e balze erbose, senza troppa fatica, fino a guadagnarci lo splendido plateau erboso sommitale dei Lastoni di Formin.

Ci dirigiamo ora verso S, camminando su questo verde ed ameno altipiano che ha nome Pénes de Formìn (dove “Pénes” significa “pendio roccioso coperto da magra vegetazione”, vedasi Lorenza Russo, Pallidi nomi di monti, pag. 117, 1994). Personalmente, lo ritengo uno dei luoghi più suggestivi delle Dolomiti. Siamo nel mezzo di tutto. Alla nostra sinistra, si ergono le ripide pareti della Croda da Lago, da noi separate dalla profonda Val de Formìn. A destra… beh a destra c’è l’imbarazzo della scelta su dove posar l’occhio…. Tofane, Lagazuoi, Cinque Torri, Nuvolau… e tutto quello che si profila all’orizzonte a perdita d’occhio! Si supera con agevole arrampicata un piccolo catino su facili roccette e gradoni d’erba e si distingue chiaramente la parete verticale del Torrione Marcella. Alle nostre orecchie, giungono le voci di qualche comitiva di scalatori che si cimenta in arrampicata sulla via Nikibi e Paolo Amedeo.

Costeggiando il margine occidentale dell’altipiano, ai piedi del Torrione Marcella, si trova il punto di rottura delle ripide pareti, là dove si crea una selletta erbosa ai cui piedi si genera un impluvio che offre la possibilità di scendere a valle. L’itinerario è tracciato con tanto di ometti e la traccia appare tanto nitida quanto quella di un sentiero CAI.

Si perde velocemente quota, con gran veduta sul Nuvolau, fino a giungere al limitare del bosco. Di qui a breve, il solo udito conduce alle sorgenti che alimentano l’intera valle e che, fin dal Mesolitico, resero questi luoghi tra i più appetibili e graditi per ospitare l’uomo. Il ritorno alla statale si completa seguendo l’itinerario descritto nell’avventura “Alla ricerca delle anguane: esplorando il lago ciou de ra maza”!

Note conclusive

Trattasi di itinerario alpinisticamente facile, di grandissimo pregio storico ed in ambiente suggestivo, probabilmente uno dei luoghi più ameni delle Dolomiti ampezzane. Prestare attenzione nella discesa del canalone ai piedi del Torrione Marcella: la presenza di scalatori potrebbe causare la caduta di sassi che rimbalzerebbero direttamente nella sezione centrale del canalone. Un po’ d’occhio è da prestare anche nella progressione sulle Pénes de Formìn: l’aperto prato è talvolta interrotto da profonde fenditure che solcano il terreno.

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