DIFFICOLTÀ COMPLESSIVA: EEA/PD. Lunga traversata alpinistica in ambiente severo, di per sé priva di difficoltà tecniche ma con diversi passaggi esposti e su terreno spesso incerto a causa della massiccia erosione.
DISTANZA: 15,5 km – DURATA: 9 h – DSL: 1400 m D+
DATA: 31 luglio 2022
PREMESSE
Già l’estate scorsa, l’amico Paolo aveva portato alla mia attenzione il giro ad anello del Monte Rudo (Rautkofel), con discesa per la Val Bulla. Su questo itinerario, alcune relazioni sono già state pubblicate. Ve ne sono talune, peraltro, che recano date piuttosto risalenti (addirittura 2009) e, in quanto tali, non possono essere considerate attendibili. Eventi atmosferici particolarmente intensi, infatti, si sono abbattuti nel corso degli anni successivi sulle Dolomiti; uno tra tutti, nell’agosto del 2017, ha di fatto sconvolto la topografia locale, cancellando letteralmente alcuni sentieri. È questo il caso della traccia che raggiunge la forcella del Rondoi percorrendo il versante meridionale del Monte Rudo, per poi immettersi in Val Bulla. Nel 2021, contattammo una guida alpina che, addirittura, rifiutò di accompagnarci nella discesa per la Val Bulla, memore della crisi di nervi di un povero cliente nell’attraversamento dei numerosi profondi impluvi che solcano la valle. E questa storia fu per noi il seme della curiosità. Abituati ad esplorare impervie valli selvagge, avvezzi all’impluvio quanto al barancio, non potevamo non esplorare anche la famigerata Val Bulla! Oltre ovviamente a Paolo, accettano di buon grado di unirsi all’avventura Edoardo, ormai compagno immancabile di ogni esplorazione Windchili, e Marco, alla prima uscita con il nostro gruppetto!
RELAZIONE DELL’ITINERARIO
Lasciata l’auto nei pressi della ex fortificazione austriaca del Forte di Landro (Werk Landro), 1400m, si imbocca una mulattiera erbosa che, in breve, conduce alla traccia che risale a serpentine le pendici occidentali del Teston di Rudo. Si apre tra i mughi, di tanto in tanto, uno splendido panorama sul lago di Landro, sovrastato dal monte Cristallo e dal Popena. La Val Fonda, nella parte apicale, svela la fronte del ghiacciaio del Cristallo… e constatiamo che questo non è ormai più diviso in due lobi, come da rilevamenti svolti nelle esplorazioni degli ultimi due anni, ma è retrocesso ben sopra il grande affioramento roccioso che lo divideva (fig. 1).
Il sentiero, in costante salita, porta subito a guadagnare ca 700 m D+, fino a giungere ai ruderi di un insediamento austriaco della prima guerra mondiale, a quota 2175m (fig. 2 e 3).
Il sentiero risale ora con decisione una dorsale rocciosa (fig. 4 e 5) puntando allo sperone occidentale del Teston di Rudo (fig. 6).
Si prosegue ora ai piedi della parete, alternando passaggi su brevi cenge esposte (fig, 7 e 8) e franosi impluvi detritici (fig. 9).
Questa prima sezione dell’itinerario non presenta particolari difficoltà, se non un paio di passaggi da affrontare con cautela: rispettivamente un brevissimo tratto di arrampicata per superare un salto roccioso di un paio di metri (fig. 10 e 11) ed una stretta cengia esposta (fig. 13 e 14). I due passaggi delicati sono separati da una tranquilla progressione in cengia (fig. 12).
Ora la traccia prosegue ai piedi della parete (fig. 15), senza alcun passaggio esposto o pericoloso, fino a giungere nei pressi dello sperone meridionale del Teston di Rudo, intorno a quota 2500m, in prossimità di una serie di fortificazioni militari dalle quali gli austriaci bombardavano il Monte Piana nel 1915 (fig. 16 e 17).
Imponente, di fronte a noi, la parete meridionale del Monte Rudo ovest (fig. 18), separata dallo sperone su cui ci troviamo da una valle ghiaiosa che conduce direttamente in Val Rienza. Intravediamo la traccia che risale esposte balze rocciose alle pendici del Monte Rudo ovest e, per sicurezza e comodità, scegliamo fin d’ora di imbragarci. Una coppia, che ci precedeva, abbandona la traccia e scende lungo il ghiaione verso la Val Rienza: è l’ultima “via di fuga” prima di affrontare la sezione più delicata del versante meridionale del Monte Rudo.
Seguiamo la traccia, che perde quota, superando prima uno sperone roccioso (fig. 19) per poi raggiungere il fondo del vallone ghiaioso e, quindi, rimontare le ghiaie fino alle pendici della parete del Monte Rudo ovest (fig. 20). Un primo passaggio delicato su terreno cedevole ci conduce al vertice dello spigolo meridionale del Monte Rudo ovest (fig. 21). Di lì, la traccia supera una serie di impluvi friabili (fig. 22 e 23) che separano il Monte Rudo ovest dal Monte Rudo di mezzo.
Si giunge ora su una comoda sella, nei pressi di una caverna nella roccia. La traccia, che fino ad ora puntava verso E, devia bruscamente verso N/NE, aggirando lo spigolo meridionale del Monte Rudo di mezzo. Qui inizia la parte più “seria” della traccia sul versante meridionale del Monte Rudo. La “serietà” non è tanto dovuta alla difficoltà dei passaggi quanto all’aumentare dell’esposizione. Il versante meridionale del Monte Rudo di mezzo, infatti, si biforca in due ripidi speroni rocciosi e la traccia traversa le verticali e friabili pareti su un terreno sempre più dilavato ed incerto. Il primo assaggio di quanto ci aspetta lo troviamo nei primi metri dopo la selletta. Il costone orientale della sella è completamente smottato, cancellando il sentiero. Ci troviamo quindi costretti a progredire con estrema cautela, dapprima su zolle erbose e poi sulla più solida (solida???) roccia (fig. 24). Esemplare è il confronto con quanto fotografato da una comitiva nel 2017 (fig. 25) (fonte).
Ed ora la parte più caratteristica e delicata del sentiero. Una stretta ed esposta cengia inclinata e gradinata conduce al bordo di un salto di roccia di circa tre metri. Una scaletta in alluminio, fissata alla base con due cordini non propriamente “stabili” legati ad un chiodo da roccia, permette di superare il salto (fig. 26). Pericolosissimo, invece, è il cordino che lega la scala, nella parte apicale, al fittone di guerra. Fortunatamente, ho saggiato la solidità del fittone prima di scendere la scala e… un po’ come il giovane Artù nella spada nella roccia, ho letteralmente estratto il pesante fittone dalla parete!!! Ho quindi abbandonato il fittone a terra poiché, se qualcuno dovesse reggersi sul cordino mentre scende la scala, si tirerebbe addosso l’intero fittone… scenario non proprio auspicabile, considerato che la scala poggia su una selletta che degrada nel vuoto. Una volta, la scala di alluminio era affiancata da una scala di legno… ora la vecchia scala di legno giace, in pensione, sul roccione di fronte alla selletta (fig. 27). Come anticipato, per giungere alla scala di alluminio è necessario percorrere un’esile cengia che, per pochi passi, si affaccia sul baratro sottostante. Provvidenziale è un ulteriore fittone, ben infisso pochi metri prima dell’imbocco dell’esposta cengia (fig. 28). È su questo fittone che Edoardo allestisce un punto di manovra per assicurarci mentre ci appropinquiamo alla scaletta. Apro io e scendo tranquillamente. Appena giunto sulla selletta, è mia premura tenere ferma la scaletta per i miei compagni d’avventura che si apprestano alla discesa (fig. 29 e 30).
In merito, ho il privilegio di riportare una perla di storica che il sig. Giovanni P. di Auronzo ha gradito condividermi:
«1977: ci arrivo da sopra avanzando carponi sulla cengietta colma di detriti e scopro un simulacro di legno, quasi diafano: anno 1915? Una settimana dopo scopro a Forcelletta Rondoi una altrettanto (?) vecchia scaletta ma rattoppata meglio, me la carico in spalla e la porto giù. Resisterà 25 anni, ora distesa sotto il salto. 2003: arrivo dalla pianura con una scaletta nuova fiammante in alluminio, la piazzo in loco e scopro che è troppo corta. Una settimana dopo finisce su alla Forcelletta ed è tuttora in servizio all’attacco della normale alla Croda dei Rondoi. Altro viaggio da Landro con scaletta più lunga, e fissaggio al meglio su chiodone originale…».
Scesi tutti dalla “scaletta mobile”, realizziamo che i successivi metri sono altrettanto complicati. Non tanto per la difficoltà tecnica (di fatto assente) quanto per la combinazione di esposizione e terreno friabile. Si potrebbe certamente procedere slegati ma perché rischiare la vita, visto che abbiamo tutto l’occorrente per una progressione sicura? Cerchiamo quindi di allestire una sosta per assicurarci ma la roccia è completamente marcia. Per ben quattro volte Edoardo prova a piantare un chiodo ma la roccia si sgretola intorno non appena il chiodo entra (fig. 31). Alla fine rinunciamo e decidiamo di usare il chiodo che regge la scala per assicurarci. Mi cimento per primo in questo tratto di traversata all’interno dell’anfratto roccioso e senza alcun problema giungo in un punto più sicuro, superando il tratto esposto (fig. 32 e 33). Tocca ora a Marco e Paolo traversare (fig. 34 e 35).
Giunti nel punto più “sicuro” per slegarsi, ancora le difficoltà non sono terminate. Si tratta ora di rimontare un ripido spigolo coperto di friabili ghiaie (fig. 36). Finalmente, in sella allo spigolo, possiamo tirare un sospiro di sollievo. Riguardiamo indietro e solo ora realizziamo quanto la traccia che abbiamo percorso sia aerea e friabile (fig. 37).
Nei pressi della selletta erbosa, intorno a quota 2520m, troviamo anche una curiosa trincea contenente un libro di sentiero. Peccato che il contenitore sia vuoto e non avremo mai modo di lasciar traccia in loco del nostro passaggio. Ora, è fondamentale badare a non perdere la traccia: dalla trincea, proseguendo verso NE, il costone della montagna collassa (fig. 38). La traccia, tuttavia, non segue tale direzione ma si inerpica a monte, in direzione NO, su facili e stabili roccette, per circa una cinquantina di metri, esattamente nell’intaglio tra il Monte Rudo di mezzo ed il Monte Rudo Grande.
Più prendiamo quota più aumenta l’intaglio tra il Monte Rudo di Mezzo ed il Grande. Un ultimo tratto in arrampicata e giungiamo ad una comodissimo crinale erboso da cui si domina tutto ciò che di bello c’è da vedere nei dintorni! Una sosta ristoratrice è ora d’obbligo… e mentre ci rifocilliamo, spunta pure fuori il sole!!!
La traccia si sviluppa ora su terreno più dolce, traversando un enorme cengia erbosa sul versante meridionale del Monte Rudo Grande. Si traversa ancora un piccolo ghiaione (fig. 42), per poi rimontare l’ennesimo spigolo friabile, con attenzione e cautela, su terreno cedevole e ripido (fig. 43 e 44).
Ed ecco che finalmente avvistiamo la forcella che conduce al Passo Grande del Rondoi, incorniciata da due ometti (fig. 45)!! Sono passate poco meno di sei ore e siamo al punto di svolta; giunti nel ghiaione che separa il Monte Rudo Grande dallo sperone meridionale della Croda del Rondoi, non si deve proseguire verso E ma deviare verso N, su modestamente ripide ma agevoli ghiaie fino a guadagnare la Forcelletta del Rondoi (Schwalbenjöchl), 2672m (fig. 46, 47 e 48).
Ed eccoci a scendere in Val Bulla! La pendenza è contenuta e le ghiaie sono belle morbide; l’ideale per una veloce sciata in discesa!
Là dove il ghiaione perde pendenza, si individua una debole traccia tra chiazze d’erba (fig. 51), con ometto, e la si imbocca, badando però di abbandonarla per deviare verso la sinistra orografica della Val Bulla, non appena ci si avvicina ai baranci (fig. 52) (proseguendo sulla destra orografica si seguirebbe il vecchio sentiero, che tuttavia risulta ripetutamente interrotto da profondi e ripidi impluvi). A quota 2080m, in prossimità del termine del letto ghiaioso, ci si addentra tra i baranci e si iniziano a traversare semplici impluvi (fig. 53). Si prosegue, in leggera discesa, tenendosi sempre sulla sinistra orografica del Val Bulla, sino a che un muro di baranci rende più difficoltoso il passaggio. A questo punto, è alternativamente possibile scendere su ripide ma facili ghiaie sino al greto del torrente, oppure entrare nei fitti baranci fino ad un profondo e largo impluvio. Noi optiamo per la seconda soluzione e, giunti sul bordo del costone franato, allestiamo una manovra su un solido ramo di mugo per calarci in sicurezza sul fondo dell’impluvio. Ci attendono circa 20/25m di ripida calata, su un fondo estremamente friabile. Il consiglio, per chi giunge nel fondo dell’impluvio, è di abbandonare immediatamente la posizione, scendendo più a valle, poiché chi scende a monte muove inevitabile un’importante quantità di detriti (fig. 54 e 55).
Il canale dell’impluvio non è proprio morbido come il ghiaione che scendeva da Forcella di Val Bulla ma ci si diverte comunque, con qualche acrobazia, a sciarlo (fig. 56)! Usciti dal ghiaione dell’impluvio, si entra nel greto asciutto del torrente della Val Bulla e si scende tra enormi macigni e tronchi levigati dalle acque (fig. 57). A quota 1700m, un debole rigagnolo d’acqua fuoriesce in un paio di punti dalle ghiaie che hanno coperto il greto del torrente. Continuiamo a perdere quota, progredendo sul greto del torrente circondati da ripide pareti di terra compatta, solcata dall’erosione delle acque, fino a giungere ad un terrapieno di ghiaia che funge da argine (fig. 58). È proprio sull’argine che si deve rimontare, per poi ridiscenderlo nei pressi di un forte militare dal quale un obice da 105 mm bombardava massicciamente Forcella Lavaredo nel maggio 1915. Aggirato il forte, si trova la vecchia mulattiera erbosa che, in breve, riporta al parcheggio del Forte di Landro.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Nonostante l’itinerario non presenti particolari difficoltà tecniche (solo qualche passaggio massimo di I/II°), l’intera traccia sul versante meridionale del Monte Rudo, in particolare la sezione del Monte Rudo di Mezzo, si sviluppa su cenge esposte e dilavate. Passo fermo e condizioni meteo stabili sono fondamentali per affrontare tale percorso, che non può assolutamente essere considerato banale e sottovalutato per l’assenza di difficoltà alpinistiche. Una riflessione finale: alcuni sentieri dolomitici, tra questi sicuramente l’anello del Monte Rudo, non saranno percorribili in eterno. Ogni anno, gli eventi atmosferici erodono le pareti, spazzando via interi costoni e dilavando le cenge, che diventano sempre più esili. In assenza di adeguata manutenzione, un sentiero come la traccia che traversa il versante meridionale del Monte Rudo è destinato a breve a scomparire e, in ogni caso, richiederà all’escursionista sempre maggior ardimento. Un’occasione in più per percorrerlo quanto prima!!!
Chi gradisse cimentarsi in questo itinerario, non potrà mancare di leggere anche la relazione del fortissimo compagno d’avventura Paolo e guardare il video da lui montato!
Ho scoperto solo oggi questo blog e ritrovo antichi e amati percorsi che i cambiamenti climatici stanno stravolgendo.
Ho appena letto la relazione della “inaccessibile Val de Mezo” che ai miei tempi era una bella escursione senza troppi problemi ed ora ritrovo i Monti Rudo. Ho percorso due volte quest’itinerario, la prima da solo e la seconda con l’amico Giorgio. Entrambe le volte avevo raggiunto Forcella Gande dei Rondoi e mi ero poi calato in Val Rimbon.
Ho molto apprezzato la foto del 2017; era così che me la ricordavo, delicata, esposta, ma niente di più.
La Val Bulla l’ho invece percorsa in salita nel 1984 con mia moglie e il mio amico Albert. Nel mio ricordo ci eravamo mantenuti sempre lungo il greto del torrente che il sentiero, già allora, come diceva il Visentini , “c’è ma non è facile da trovare”. E in effetti noi ci avevamo rinunciato immediatamente. Tre cose ricordo di quella escursione: la fatica della salita, una bellissima baby nursery di camosci, con i piccoli che giocavano sulla neve e le madri che li osservavano tranquille e una enorme bomba inesplosa (ho la fotografia di mia moglie sopra l’ordigno) che segnalammo ai carabinieri e fu fatta saltare parecchi anni dopo (“tanto di lì non passa nessuno” fu il commento di un maresciallo).
A questo punto un suggerimento. L’anno successivo, sempre con mia moglie e Albert “riscoprimmo” un altro percorso insollito, il “mitico” passaggio Dosso Scabro – Dosso Piano, che compariva come una flebile traccia di puntini sulle vecchie carte e che è stata descritta da Bonetti in Il Grande Libro dSentieri Selvaggi delle Dolomiti, ma che non ho riconosciuto come il mio percorso.
E sempre in zona, ma qui si tratta semplicemente di una cima, la Croda Bagnata (Nasswand) dalla Forcella di accesso a Dosso Piano dall’Alpe delle Pecore
Fatti 2010 disc.Gran Rondoi 2011 disc.ValBulla grandiosi itinerari.Nel 2006 ero stato sul Teston rifatto domenica scorsa. Impressiona come la natura faccia il suo corso molte cose sono cambiate ed è giusto che se un giorno non si possano più fare…va be’ pazienza resta sempre il piacere di averle fatte.
Un conoscente ha fatto nell’autunno ’23 l’anello del Rudo e mi dice che ormai non si passa più! Nella sezione prima della scaletta, in corrispondenza della grande caverna, è completamente il franato l’ultimo lembo di terra che consentiva di salire in cengia.