Premesse
Chi ha detto che WINDCHILI presenta solo itinerari alpinisticamente impegnativi?!? Ecco un suggerimento di itinerario adatto alle famiglie, dove portare i più piccini incantandoli con la narrazione di storie di fate ed anguàne! Ma che cosa sono le anguàne? Le anguàne sono figure femminili legate alla cultura mitologica veneto-friulana, tendenzialmente attestate nei territori montani. Trattasi di donne dalle umane sembianze, simili a ninfe, spesso coperte di squame, muschio o corteccia, che vivono nei pressi di ruscelli, sorgenti e laghetti montani (anguàne da ‘aquana’: donna delle acque, sebbene il termine non sia apparentemente riportato in alcun dizionario della lingua italiana). Con specifico riferimento all’ambiente alpino che qui rileva, le anguàne sono spesso raccontate da Karl Felix Wolff, apparendo sagge e benevole verso l’uomo, abili nel canto ed abitanti di grotte nei pressi di ruscelli o specchi d’acqua (“una di quelle donne dei boschi e dei fiumi che, un tempo, si incontravano per i monti o nei corsi d’acqua”, così esordisce Woolf, nel primo capitolo de Leggende delle Dolomiti – Il Regno dei Fanes). Questa – con ulteriori magici particolari – è la storia che ho raccontato ai miei figli in auto, mentre salivamo in montagna, conquistandomi il loro entusiasmo per una gita che tanto può entusiasmare i bambini quanto appagare i genitori in un bosco solitario e fuori dalle classiche rotte.
Relazione dell’itinerario
Appena superata la Muraglia del Giau, entrati nelle Regole di San Vito, si posteggia in uno spiazzo a bordo strada a quota 1863 m. Nella radura prativa, sono evidenti gli ometti che indicano la via ed altrettanto evidente è la traccia da seguire sul prato (fig. 1).
Dopo pochi metri, la traccia scende fino al greto di un torrentello dai cigli dirupati (fig 2). Si guada agevolmente e si risale il costone (fig. 3); il sentiero ora si spiega in leggero falsopiano, traversando una radura solcata da deboli rigagnoli d’acqua.
Ci si addentra nuovamente in un rado bosco, sempre su nitida traccia (fig. 4), superando un caratteristico ed enorme rigonfiamento su un tronco di larice (fig. 5), fino ad accostarsi a un delizioso ruscello dove ci pare di scorgere, in lontananza, due piccole anguàne che fuggono al nostro arrivo (fig. 6).
Saltiamo ora sull’altra sponda del ruscello e, senza traccia obbligata, camminiamo puntando alla parete occidentale dei Lastoni di Formìn, sotto una debole nevicata di aghi di larici. Di lì a breve, ci troviamo nella sezione apicale del Laghetto Ciou de Ra Maza, completamente prosciugato (a discapito delle indicazioni sulla carta Tabacco), sulla cui sponda orientale non possiamo non distinguere i resti di alcuni muretti di pietra, probabilmente costituenti la base di un antico rifugio pastorale (fig. 7 e 8).
Dopo varie speculazioni sull’origine dei muretti, eccoci finalmente al cospetto del superstite Laghetto Ciou de Ra Maza. È evidente che il livello delle acque del laghetto è inferiore di almeno una trentina di cm rispetto alla normalità… o forse questa è la nuova normalità cui dobbiamo abituarci, dopo estati così siccitose ed inverni così poco piovosi. Comprendere il significato del nome “Ciou de Ra Maza” è invece sicuramente più arduo che raggiungere il laghetto. Una parafrasi non renderebbe onore alla chiarezza con la quale Lorenza Russo chiarisce tale espressione:
Il significato letterale (da “ciòu” ‘capo, bandolo, fine inizio soluzione’ e “màza” ‘bastone del pastore’) è oscuro, ma la presenza della muraglia (ndr: la Muraglia del Giau) suggerisce una allusione ai contrastati rapporti tra ampezzani e sanvitesi. Quindi, se non si tratta di un’espressione, di un’esclamazione di pastori, io leggerei il toponimo come ‘l’inizio/la fine del bastone (cioè ‘del territorio ampezzano’); oppure semplicemente ‘il bandolo della matassa/la ragion del contendere’, visto che da questo laghetto nasce quell’insignificante filo d’acqua che poi diventa “Ra Cošteàna”, cioè il fiume con cui gli ampezzani “bloccavano” i sanvitesi nella loro marcia verso il Giau.
Lorenza Russo, Pallidi nomi di monti, Regole d’Ampezzo – La Cooperativa di Cortina – Cassa Rurale ed Artigiana di Cortina d’Ampezzo, 1994, pag. 120.
Il luogo è silenzioso e remoto, popolato da minuscole libellule che volteggiano sopra lo specchio d’acqua. Ci sediamo sulla sponda e consumiamo uno spuntino, mentre Matilde e Claudio continuano a cercare le anguane scrutando dietro ogni albero ed ispezionando ogni spelonca 😉 (fig. 11). Saverio, caro amico e profondo conoscitore di crode ampezzane, mi ha raccontato l’esperienza occorsagli anni or sono:
Mi ero fermato sulle sue sponde per rifocillarmi un po’ e bere un sorso d’acqua. Nient’altro, saranno stati 5 minuti, non di più. Tornato a casa, di sera, piuttosto tardi, mi accorgo che non ho più al polso il mio orologio. Mi ricordavo che avevo dato un’occhiata all’ora poco dopo aver valicato Forcella Giau e quindi decido di tornare sui miei passi la mattina successiva. Parto prima delle 6 e, arrivato al lago, decido di farne il periplo, che non avevo compiuto la sera prima. Ebbene, dalla parte opposta di dove mi ero fermato io, su un sasso, in mezzo ad un bel gruppo di fiori, ecco il mio orologio. Da quelle parti non passa mai nessuno, figuriamoci di notte. Sicuramente una anguana mi aveva ammaliato col suo canto, mi aveva sfilato l’orologio e aveva cancellato i miei ricordi. Pentitatisi poi dello scherzo fatto a quel povero viandante, lo aveva riposto con cura in un punto dove io non ero passato. Pensava che sarei tornato a cercarlo, ma forse sperava che non l’avrei trovato per tenerselo per sé. O forse voleva solo rivedermi; all’epoca potevo definirmi un bel giovane.
Consumato il frugale pasto, seguiamo una debole traccia che si stacca sul versante meridionale del laghetto Ciou de Ra Maza e ci inoltriamo tra gli alberi, camminando tra enormi blocchi di roccia, ormai inglobati dal bosco, fino a ritrovarci poco più a monte, sulla traccia principale dalla quale eravamo saliti (fig. 12). Procedendo ulteriormente verso S, si apre una nuova radura umida, un incontaminato prato solcato da delicati gorgoglii sorgivi, puntellato qua e là, ai margini, da giganteschi massi isolati. È nei pressi di queste sorgenti che – secondo mia ferma convinzione – si rinverranno in futuro reperti di antichi insediamenti mesolitici, risalenti a circa undicimila anni fa (fig. 13). Solo cinquecento metri più a monte, infatti, in località Fondel del Prà Comun, è stato recentemente rinvenuto, ai piedi di un masso roccioso, un insediamento databile al mesolitico antico (Sauveterriano), consolidando gli ulteriori dieci ritrovamenti di siti mesolitici realizzati tra il 1972 e il 1994 nella sovrastante area di Prà Comun.
Rimandiamo tuttavia le ricerche dell'”uomo del Ciou di Ra Maza” ad una prossima uscita, ritornando sui nostri passi, con magnifico sguardo sulla Tofana di Rozes (fig. 14 e 15) e rientrando così per il sentiero dell’andata sino alla strada statale.