DIFFICOLTÀ COMPLESSIVA: EE+ (il + è per il solo impegno fisico nell’attraversamento del Ruoibes de inze).
DURATA: 11 h – DISTANZA: 21,5 km – DSL: 1348 m D+
DATA: 22 agosto 2021
Premesse
Danilo Pianetti titolava il presente itinerario “L’alta dimora degli dei è silenziosa”, pubblicato su Le Alpi Venete nel 1988. Mai definizione simile fu più azzeccata. Come tutte le spedizioni in stile “Windchili”, anche su questa troviamo scarsissime informazioni. Sappiamo che la salita a Forcella Ciamin è un apprezzato itinerario invernale, purtroppo tristemente noto per la valanga che nel 2007 costò la vita a due sci alpinisti. Sappiamo che, là dove molti itinerari descritti in questo blog sono completamente fuori traccia, il presente è “almeno” segnato sulle mappe, anche sulle più recenti, come sentiero difficile (come si vedrà, la mappatura della traccia ha costituito più un problema che un beneficio). Conosciamo, poi, la versione delle guide alpine di San Vigilio di Marebbe e di Cortina, all’estate del 2020. Entrambe non sono mai state in stagione estiva. In particolare, le guide di San Vigilio di Marebbe mi hanno domandato perché, con tutti i posti belli che ci sono in montagna, volevo proprio complicarmi la vita su quell’itinerario… (il titolo di Danilo Pianetti non è sufficiente 😉 ???). Le guide alpine di Cortina, invece, dopo un breve confronto sulle mie capacità, con apprezzabile obiettività, mi avevano suggerito di salire e, al massimo, ritornare sui miei passi se gli ostacoli fossero divenuti insormontabili. Decisamente più drastico era stato l’approccio dei gestori del Rifugio Fodara Vedla che, interpellati di persona sulla possibilità di traversare Forcella Gran Valun e scendere per l’omonimo vallone, avevano bocciato la mia idea, comunicandomi che nessuno transitava più per quel sentiero in quanto l’intera valle era stata brutalmente erosa dai violenti fenomeni meteorologici delle ultime stagioni. Infine, conosciamo la valutazione fornita da Paolo Beltrame, nella sua guida Croda Rossa – 101% Vera Montagna, datata 2008, che descrive dettagliatamente l’itinerario e lo classifica come “E” (sappiamo però che il Beltrame ha un metro di valutazione che, talvolta, non abbiamo condiviso e ci aspettiamo, quindi, che il suo “E” corrisponda a un “EE”!!!). A posteriori, l’itinerario non presenterebbe nel suo complesso particolari difficoltà tecniche, se non nella salita da forcella Ciamin a forcella Gran Valun per la ripidità del ghiaione. Il vero immane ostacolo di tale escursione è l’accesso alla Val di Meso, traversando l’invalicabile Ruoibes de Inze; rarissime sono le tracce, profondi e ripidi gli impluvi franosi, impenetrabili le pareti di mughi, alte oltre i tre metri. Per traversare gli 8km del Ruoibes de Inze, abbiamo impiegato addirittura quattro ore!!!
RELAZIONE DELL’ITINERARIO
Lasciata l’auto presso il parcheggio in località S. Uberto, scendiamo a valle in pochi minuti, fino a traversare il ponte sull’Aga de Ciampo de Crósc. Subito dopo il ponte, sulla destra, si inserisce il sentiero n. 418 che conduce al Casón de Antruiles (o Antruilles) (fig. 1).
Lasciando il Cason de Antruiles sulla sinistra, si procede per pochi metri nel bosco, seguendo la mulattiera, fino ad incontrare il torrente che scende dalla Val de Meso. Ci si tiene sulla destra idrografica del torrente, senza quindi attraversare il ponte, e si comincia la salita costeggiando il torrente, su una vecchia ed incerta traccia che entra nel bosco (fig. 2).
Dopo pochi minuti nel bosco, troviamo il primo ostacolo che opera indubbiamente una “selezione naturale” dei pochi escursionisti che scelgono di intraprendere questo itinerario. Il costone è interamente franato, per una larghezza di almeno trenta metri, cancellando il sentiero (fig. 3). Saltiamo dentro alla frana e traversiamo rimontando il bosco senza troppe difficoltà (fig. 4).
Rimontare nel bosco non è stato molto utile poiché ci ritroviamo davanti una nuova frana che ha cancellato il sentiero (fig. 5). Decidiamo, quindi, di entrare nel greto del torrente e risalirlo per qualche decina di metri (fig. 6 e 7), in attesa di ritrovare il costone boschivo intatto.
Guadagnate, non senza fatica, alcune decine di metri zigzagando sul greto del torrente, identifichiamo un punto in cui la risalita pare favorevole (fig. 8 e 9) e ci inerpichiamo nuovamente nel bosco.
Ancora una frana, tuttavia, spazza l’intero costone. Decidiamo di traversarla (fig. 10 e 11) e scendere nuovamente lungo il greto del torrente, che pare ora più ampio e facilmente percorribile (fig. 12).
Risaliamo quindi nuovamente il costone del versante idrografico destro del torrente, là dove la traccia indicata in mappa inizia a curvare leggermente verso SO, in direzione delle pendici della Croda de Antruiles, superando alberi schiantati e smottamenti (fig. 12).
Procediamo nel bosco, controllando regolarmente (quasi maniacalmente) la nostra posizione sul GPS, senza peraltro rinvenire alcun indizio che lasci supporre l’esistenza di una traccia. Inizia ora la parte più difficile dell’itinerario. Attenendosi precisamente alla traccia mostrata sulla carta Tabacco, ci si trova in tratti nei quali il passaggio è assolutamente precluso. Ci troviamo a dover superare intricatissimi muri di pini mughi (fig. 13), senza nemmeno riuscire a calpestare il suolo ma arrampicando come scimmie tra gli elastici e dondolanti rami. Si superano di volta in volta impluvi ghiaiosi più o meno profondi, che rimontano poi in altri impenetrabili boschi di mugo. L’incedere è estremamente faticoso e molto lento. L’umidità dentro i mughi è estenuante.
Siamo stremati e decidiamo di abbandonare il percorso indicato dalla Tabacco. Apro una piccola parentesi di riflessione a riguardo: il fatto che l’edizione aggiornata della carta Tabacco indichi una traccia inesistente e completamente errata è increscioso. L’esistenza di un’indicazione fuorviante dettata da un’autorità di riferimento in materia, quale è la cartografia Tabacco, può inoltre risultare particolarmente pericoloso per l’escursionista che, come noi, vi faccia affidamento. Se l’aggiornamento corretto di una traccia non è, per molteplici ragioni, fattibile, la traccia deve essere cancellata dalla mappa, per consentire all’escursionista di scegliere il percorso migliore in totale autonomia. Ed è quello che abbiamo fatto, scegliendo di salire fino alle pendici rocciose della Croda de Antruiles, dove, fortunatamente e finalmente, abbiamo trovato una debole traccia che conduce alle pareti dello sperone più esterno della Croda del Antruiles (fig. 15 e 16).
La nuova traccia perde leggermente quota e ci conduce fino ad un impluvio che solca le pendici dello sperone più esterno della Croda de Antruiles (fig. 17 e 18). Entriamo dentro l’impluvio e scendiamo fino all’intersezione con un ulteriore e minore impluvio, in corrispondenza dell’estremità dello sperone. Da qui risaliamo sul versante opposto.
Rimontato il sentiero eh… miracolo: troviamo il primo ometto (fig. 19)! Non sappiamo, purtroppo, che l’illusione svanirà a minuti; dopo pochi metri, la traccia è visibilmente sbarrata con delle pietre poste di traverso. Provo a proseguire per comprendere l’entità dell’ostacolo e mi trovo di fronte ad un bel salto di oltre una decina di metri. Siamo quindi costretti ad attraversare il più profondo e ripido solco franoso incontrato fino ad oggi.
L’attraversamento del profondo canale franoso si rivela tutt’altro che semplice. Per accedere alla frana, siamo dapprima costretti a calarci su ripido terreno roccioso, aggrappandoci ai resistenti e flessibili rami dei pini mughi (per una volta, tornano utili!). Giunti sul terreno franoso, sotto un primo strato detritico grossolano e mobile, il fondo si mostra molto più duro e compatto del previsto, al punto che il tallone non riesce a scavare un gradino sufficiente a garantirci una sicura stabilità in discesa. Scendiamo quindi a quattro zampe o, come dicono i poeti, “di culo”. Se la discesa fino alla base del solco franoso ci ha provato fisicamente, la salita per rimontare il versamento opposto si rivela ancora più impegnativa! Improvviso una salita in traiettoria diagonale là dove il pendio mi sembra meno inclinato e scavo con tutta l’energia che ho nelle gambe dei gradini il più profondi possibile. Il terreno è però su questo versante friabile, poco compatto, e lo scarpone non ha presa sicura. Devo conficcare con quanta più forza ho in corpo i bastoncini nel pendio per riuscire a non franare insieme al terreno che mi cede sotto i piedi (fig. 20). La stessa traiettoria risulta meno fortunata per l’amico Paolo, che rimedia una bella grattata sul braccio 🙁 (fig. 21)
Superato anche questo ostacolo, ritroviamo una traccia che però si perde dopo pochi passi nei pini mughi. Avanziamo alla cieca, di pino mugo in pino mugo, spremendo ogni singolo muscolo per mantenere l’equilibrio ed aprirci un varco nell’intrico dei rami. Ogni tanto, una piccola radura erbosa ci permette di respirare e controllare il GPS, che ci pone nuovamente in corrispondenza della traccia segnata sulla carta Tabacco. Traccia, tuttavia, che non vediamo minimamente. Che incredibile beffa! Finalmente, riesco a guadagnare una posizione vantaggiosa che mi permette di osservare al di sopra della linea dei pini mughi. Basta un veloce sguardo per capire che ci siamo quasi! Le ghiaie della Croda Ciamìn sono a poco più di una cinquantina di metri davanti a noi. Entusiasti della scoperta, procediamo con ignorante violenza, senza più cercare il varco più agevole. Avanzo tra i mughi aggrappandomi ai rami come fossero liane e mi lascio accompagnare per inerzia fino alla meta. Mai agognai di più uno spazio aperto!!! Giunti alla lingua più esterna della frana che dolcemente scende dalla Val de Meso superiore, ci spogliamo e ripuliamo degli aghi di pino e dei sassolini negli scarponi! La Val di Meso si staglia ora di fronte a noi, silenziosa, immobile, completamente deserta ed assolutamente inviolata (fig. 22). Piccola riflessione: è evidente che questo accesso alla Val de Meso non è consigliabile. È altrettanto chiaro, visto i pochi indizi trovati, che, illo tempore, il sentiero risaliva più o meno dove siamo passati noi ma, sicuramente, non è una via oggi suggeribile. Solo per dovere di completezza, riporto l’itinerario proposto da Ugo di Vallepiana nel 1925, consapevole che quasi sicuramente sarà anch’esso precluso da frane e vegetazione. Dalla Malga d’Antruiles,
«non appena valicato il ruscello di Moz, per una mulattiera sulla sua destra, risalire la Val de Mez. Dove la strada sparisce, traversare per pendii e boschi verso destra in direzione della continuazione della strada che termina su un prato dov’è una sorgente. Su per il canale ghiaioso a destra della sorgente fino nelle vicinanze delle rocce dove una traccia di sentiero conduce verso destra per gerbidi e pini nani. Superare numerosi costoncini fino ad un ripido pendio erboso conducente nella valle superiore della Vel di Mez».
Ugo di Vallepiana, Dolomiti di Cortina d’Ampezzo dal Cristallo per le Tofane alla Croda da Lago, 1925, Guide del Club Alpino Italiano, pag. 110.
In sostanza, Ugo di Vallepiana risale sempre sulla destra al contrario di noi che ci siamo portati sulla sinistra della valle.
Scegliamo di salire tenendoci sul versante idrografico sinistro dello sperone erboso che spacca a metà la Val de Meso, nonostante la carta Tabacco indichi l’esistenza di una traccia sull’opposto versante. Quest’ultimo versante è però visibilmente solcato da frane e il fondo appare tutt’altro che agevole. Guadagnato il cocuzzolo sul lato prescelto, la salita risulta comoda su fondo erboso (fig. 23). Giungiamo sulla sommità di questa amena “isola” al centro della Val de Meso per poi percorrerla nella sua intera lunghezza (fig. 24) e scendere quindi sul versante idrografico destro della vallata, incontrando le ghiaie della Croda de Antruilles.
Finalmente, il profilo della Forcella Ciamin si staglia davanti a noi. Abituati a salire ripide forcelle ghiaiose, Forcella Ciamin ci stupisce per la sua dolcezza. È una forcella erbosa, molto ampia, di comodo accesso. Accelero quindi il passo, incuriosito da questa insolita meta e, in breve, raggiungo la forcella posta a 2395m (fig. 25). La prima meta è conquistata! Riprendo fiato ed attendo Paolo che, a breve, mi raggiunge in forcella (fig. 26).
Il panorama che si apre di fronte a noi è maestoso. Il versante O della Forcella Ciamin è ripido e franoso, al contrario del versante appena salito. Le lingue franose si esauriscono a poche decine di metri dal Lago Piciodel. Le ripide pareti della Furcia dai Fers contrastano con i morbidi pascoli dell’Alpe di Fanes e raccolgono in un abbraccio il Piz de Sant’Antone, 2655m, alle cui spalle svetta la più alta cima della zona, il Sasso delle Nove, 2968m (fig. 27). Alle nostre spalle, guardiamo la Val de Meso, superata con grande dispendio di energie. Una valle conchiusa tra la Croda Ciamin, a N, e la Croda de Antruilles, a S, le cui rispettive ghiaie ormai si mescolano sul fondo della Val di Meso, pioggia dopo pioggia (fig. 28). Per tutta la Val de Meso, fatta eccezione per due ometti, non abbiamo rinvenuto alcuna traccia di passaggio umano, sia essa un’impronta ovvero il segno a terra di un sentiero.
In forcella tira un certo venticello fresco e decido di muovermi subito perché mi sento raffreddare rapidamente. Ora viene la parte “difficile”. E si vede fin dalla base. La salita a Forcella Gran Valun appare moderatamente ripida. Non trovando una traccia, devo ancora una volta aprire la via a istinto. Inizio a salire mantenendo una traiettoria diagonale che punta ad un varco tra la parete del Monte Ciamin ed un affioramento roccioso all’imbocco del canalone tra il Monte Ciamin stesso e la Croda Ciamin. A metà via, peraltro, mi rendo conto che la pendenza è troppo sostenuta ed il terreno troppo cedevole per mantenere il traverso previsto. Sono quindi costretto e ripiegare fino alla base dello sperone del Monte Ciamin, dove si intravedono delle zolle erbose che dovrebbero garantire un migliore appiglio (fig. 29).
L’inizio del canalone è ancora più ripido e sono costretto a salire il canalone sulla sinistra, a ridosso della parte del Monte Ciamin, aiutandomi con le mani sui generosi appigli coperti di detriti. Nel mentre, Paolo sta attaccando la salita alla base del ghiaione (fig. 30).
L’incedere si rivela particolarmente faticoso, almeno fino al raggiungimento di una modesta conca poco prima della forcella, che spezza la pendenza della salita. Da lì, in pochi metri, si giunge in Forcella Gran Valun, 2523m (fig. 31). Nuovamente, nessuna traccia di passaggio umano. A monte della forcella, chissà quanto tempo fa, qualcuno aveva improvvisato una croce con del fil di ferro e dei pezzi di legno. Ora giace mezza smontata a terra. Mentre aspetto Paolo, mi diletto a rimodellare la croce conficcandola entro una piramide di sassi.
Il panorama è ancora più maestoso di quello goduto da Forcella Ciamin. Il Gran Valun è, effettivamente, grande, immenso, racchiuso a O dal Banch Dal Sé e a E dallo sperone N della Croda Ciamin. Finalmente possiamo goderci la tappa più sudata ed agognata (fig. 32)!
La discesa avviene per via abbastanza evidente, sulla sinistra, tenendo come punto di riferimento la forcella Banch Dal Sé. Anche su questo versante, nessuna traccia di passaggio umano. Riusciamo però a interpretare preventivamente il tipo di fondo grazie alle impronte dei camosci che ci hanno preceduto: dapprima troviamo un fondo divertente, quasi sabbioso, che poi vira presto in un fondo compatto ed infido (fig. 33). Superata una prima parte in moderata pendenza, la discesa diventa via via più agevole (fig. 34 e 35).
A questo punto, si costeggia la propaggine rocciosa sulla destra, che ci conduce, su ghiaino sempre più fine e divertente, nel bel mezzo del Gran Valun. Ora la discesa è appagante, l’ambiente maestoso e solitario (fig. 36, 37, 38 e 39).
Ormai al centro del Gran Valun, diventiamo puntini nel grandioso anfiteatro che ci circonda (fig. 40). Miriamo alla zolla erbosa alle pendici della valle, dalla quale dovremo tenere la destra per evitare l’imponente salto di roccia che nasconde il vuoto (fig. 41). Qui troviamo, dopo ore ed ore, i primi segni di passaggio umano: ometti, resti arrugginiti di scatolette, un sentiero.
Ci teniamo il più possibile vicino alle pareti dello sperone N della Croda Ciamin e, traversando alcuni impluvi ghiaiosi che hanno cancellato il sentiero, giungiamo ad una radura prativa che ospita due sorgenti (fig. 42). Da questo ameno spazio verde, deviamo verso N, a sinistra, seguendo per qualche decina di metri il corso del ruscello.
Ormai il rifugio Fodara Vedla è in vista. In una ventina di minuti lo raggiungiamo, talvolta perdendo la traccia, senza peraltro mai trovare difficoltà di sorta. Al rifugio ci rifocilliamo a dovere e siamo pronti per una lunga discesa fino a Malga Ra Stua, su comoda mulattiera, e, successivamente, fino al parcheggio di S. Uberto, lungo l’ormai deserta strada asfaltata (sono le 19.30!!!) (fig. 43 e 44).
Un itinerario epico ed emozionante, alla portata dell’escursionista che abbia una certa flessibilità mentale, una buona dose di forza di volontà e dimestichezza con l’improvvisazione. Per ulteriori approfondimenti e punti di vista, vi rimando con piacere alla relazione scritta dall’amico Paolo. A seguire, inoltre, il bellissimo video del giro montato da Paolo, che ringrazio per il gran lavoro svolto!