Esplorare non significa necessariamente sempre affrontare ripidi e dirupati pendii. Ci sono giornate in cui, o per ragioni meteorologiche o, banalmente, per rilassarsi, è possibile esplorare semplicemente camminando. È questo il caso presentato nell’odierno itinerario. Il meteo non promette bene e con Paolo si decide per una tranquilla passeggiata esplorativa senza caschi e imbraghi. L’obiettivo è una valle innominata, mai esplorata, conchiusa tra la Crodaccia Alta e la Crodaccia. Per arrivarci, eviteremo i sentieri numerati ma saliremo fino a Pratopiazza percorrendo una traccia singolare, spesso segnata con bolli blu, meglio nota come Troi dei Milezinque.
RELAZIONE DELL’ITINERARIO
Il Troi dei Milezinque pare così chiamarsi per l’altitudine dal quale parte. Lungo la strada statale che conduce a Carbonin, qualche tornante dopo il passo di Cimabanche, ecco una traccia che rimonta il costone erboso, inoltrandosi nel bosco (fig. 1). Superfluo sarebbe specificare a che quota ci troviamo 😉
Il Troi prende subito quota (fig. 2) ed in breve conduce al facile guado del Rio di Specie. Traversato il rio, si giunge ad un’amena radura. Qui potrebbero nascere i primi problemi d’orientamento: qualche bollo blu, infatti, è presente, ma è posizionato sul lato a monte dei tronchi e non su quello a valle. In ogni caso, giunti alla radura, è necessario deviare a destra, direzione NE (fig. 3). Tale soluzione permette di raggiungere in breve il sentiero CAI n. 37 o la mulattiera, indicativamente nei pressi del quarto tornante.
Montati sul sentiero n. 37, ci si potrebbe accontentare di procedere comodamente su nitida traccia fino al rifugio Vallandro… ma che gusto ci sarebbe… non sarebbe più un’esplorazione in stile Windchili! L’idea di base è che il Troi dei Milezinque sia invero la prima traccia storicamente aperta per arrivare a Prato Piazza. Una traiettoria diretta e veloce in mezzo al bosco, solo successivamente soppiantata dalla carrareccia e, ancora successivamente, dal sentiero CAI 37 (che di fatto si modella sulle linee della carrareccia). Pertanto, nei pressi del quinto tornante della carrareccia, ci addentriamo nuovamente nel bosco alla ricerca di una traccia e, dopo vario ravanage sul ripido versante orografico sinistro del Rio di Specie, ci imbattiamo finalmente in una morbida dorsale solcata da piuttosto evidente traccia (fig. 4).
In breve, la traccia ci conduce fuori dal bosco, in una vasta radura prativa a valle della carrareccia (fig. 5). Procediamo quindi in direzione NW su comodi prati fino a che, in prossimità della curva a gomito a destra della carrareccia, si innesta una nitida traccia proveniente da un rilievo barancioso. La imbocchiamo e, facendoci strada tra i mughi, ci troviamo presto ad una quota di un cinquantina di metri a valle rispetto al Rifugio Vallandro, sopra una profonda ed angusta forra rocciosa che accoglie i primi salti del Rio di Specie (fig. 6).
Lasciata alle spalle la ripida forra, ci si apre di fronte un panorama delizioso: i noti verdi prati di Prato Piazza ci abbracciano e l’occhio non può che rilassarsi e godere di questo bucolico panorama (fig. 7 e 8).
Traversando i prati senza via obbligata, ci teniamo leggermente a sinistra, puntando l’ora ben visibile Croda Rossa, fino a giungere ad uno steccato di legno. Lo saltiamo e scendiamo attraversando nuovi prati, fino a montare sul sentiero CAI n. 18. Procediamo per poche decine di metri sul sentiero n. 18, superando sulla sinistra il ponticello di legno che conduce alla Val dei Chenòpe e giungendo in breve ad una radura prativa dove sorgono alcuni casoni di legno. Superiamo un nuovo steccato di legno e, con deviazione sulla sinistra poco dopo una magnifica veduta da cartolina (fig. 9), giungiamo alla confluenza di ruscelli poco sopra Malga Stolla. Incredibile pensare che, solo tre settimane prima, questa confluenza era popolata di artistici ometti creati da qualche esperto e paziente artista dello stone balancing (vedasi fig. 6); qualche giorno fa, un violento acquazzone deve aver riempito d’acqua questa confluenza, spazzando via tutte le creative opere.
Una volta attraversato il torrente, seguiamo il sentiero CAI n. 3 fino ad imbatterci in un evidente bivio (fig. 10). Sulla destra, indicato con tanto di freccia su masso, prosegue il sentiero n. 3. Sulla sinistra, invece, si sale sino a sbucare in una nuova radura prativa, ai piedi della brulla collina che dà accesso al Cadin di Croda Rossa. Teniamo quindi la sinistra al bivio ed iniziamo ad inerpicarci faticosamente tra roccette e zolle erbose (fig. 11), puntando leggermente verso destra, in direzione dello sperone orientale delle Cime Campale. La brulla collina ai piedi del Cadin di Croda Rossa è letteralmente cosparsa di residuati bellici; sappiamo, infatti, che venne utilizzata durante la II guerra mondiale come poligono di tiro e, a quanto pare, mai adeguatamente bonificata!
Giunti ai piedi dello sperone orientale delle Cime Campale, ci dirigiamo verso O, fino a trovarci al cospetto dell’imponente fronte del rock glacier ospitato nel Cadin del Ghiacciaio (fig. 12). Da questo punto, già si intravede il Cadin di Crodaccia, meta dell’odierna escursione, ma una breve divagazione all’interno del Cadin del Ghiacciaio è d’obbligo. Ci portiamo quindi nei pressi della metà del Cadin del Ghiacciaio, dove la fronte diminuisce di altezza, ed attacchiamo il ripido piano detritico (fig. 13).
Ed eccoci sopra il rock glacier! L’ambiente è suggestivo, affascinante, selvaggio. Sono lieto di vedere che Paolo nutre lo stesso entusiasmo e percepisce le stesse emozioni che questo luogo, già esplorato tre settimana fa, suscita in me. L’ultima volta che ho esplorato il rock glacier ospitato nel Cadin del Ghiacciaio mi sono trattenuto nella sezione apicale, ai piedi di Forcella Campale, per poi scendere direttamente nel lobo settentrionale. Il rock glacier, infatti, è suddiviso in due lobi: un lobo settentrionale ai piedi della Crodaccia Alta ed un lobo meridionale ai piedi delle Cime Campale. Maggiori approfondimenti sulle caratteristiche di questo rock glacier e sulla storia delle ricognizioni ad opera dei glaciologi possono essere trovati leggendo la relazione della traversata di Forcella Campale, compiuta tre settimane or sono. Nella giornata odierna, visto che il tempo sembra reggere, mi preme esplorare la linea di separazione tra i due lobi per verificare la presenza di affioramenti di ghiaccio, solo minimamente rilevati in sede di precedente ricognizione. Ci addentriamo quindi nel Cadin del Ghiacciaio, cercando di individuare la linea di demarcazione tra i due lobi… e presto la troviamo, distinguendo chiaramente una depressione lineare che solca longitudinalmente il Cadin del Ghiacciaio, coperta da ghiaie più “fresche”, segno di recente e costante movimento (fig. 14). Seguiamo dunque questa linea per poche decine di metri ed ecco i primi affioramenti di ghiaccio: il margine sinistro del lobo meridionale del rock glacier è completamente esposto, mettendo in luce piani inclinati, alti diversi metri, di puro ghiaccio compatto (fig. 15, 16 e 17). Altro che ghiaccio interstiziale!!! Questo rock glacier è al contrario un vero e proprio ghiacciaio coperto, solo in superficie, da un mantello detritico!
Conclusa la ricognizione lunga linea centrale di suddivisione in due lobi, torniamo indietro, camminando ora sul lobo settentrionale del rock glacier. In breve, il nostro orecchio è catturato da sinistri suoni di crolli. Fortunatamente, io conosco già la causa di questi inquietanti rumori e tranquillizzo Paolo, che già sta scrutando con occhio vigile le vicine pareti: siamo ormai nei pressi del laghetto termocarsico ed i rumori che s’odono sono invero causati dal materiale detritico che dai margini estremi della riva crolla in acqua rotolando lungo le pareti ghiacciate. Nonostante abbia da poco visitato questo luogo, la meraviglia resta tale quale durante la prima esplorazione (fig. 18 e 19). Osservando le alte e compatte pareti di ghiaccio del laghetto, si ha ulteriore conferma che il rock glacier ospitato nel Cadin del Ghiacciaio altro non è che un vero e proprio ghiacciaio coperto da un sottile strato di detriti.
Una curiosità: a quanto pare, nel 2015 il nostro laghetto termocarsico aveva un fratellino! Evidentemente, il tappo di ghiaccio sul fondo del laghetto si dev’essere sciolto, facendo così defluire l’acqua nei meandri del ghiacciaio!
Terminata la contemplazione del laghetto termocarsico, ritorniamo ora all’obiettivo della nostra missione: l’esplorazione della valle conchiusa tra la Crodaccia Alta e la Crodaccia. Dal laghetto, fronte a valle, ci teniamo sulla sinistra fino ai piedi dello sperone orientale della Crodaccia Alta ed intravediamo pure un ometto! Costeggiamo quindi la parete rocciosa e, girato l’angolo, eccoci entrati nella valle innominata, d’ora in poi battezzata Cadin di Crodaccia (considerata la sua collocazione, dubito qualcuno possa sollevare obiezione di sorta!) (fig. 20 e 21).
Il Cadin di Crodaccia si presenta come una piccola valle celata, sul versante meridionale, dalle alte pareti rocciose della Crodaccia Alta e, sul versante settentrionale, dalle ghiaiose pendici della Crodaccia. Nel versante occidentale del Cadin di Crodaccia, là dove le compatte rocce della Crodaccia Alta si intersecano con le friabili colleghe della Crodaccia, si profila una forcella, non segnata sulla cartografia Tabacco. Non è da escludere che, percorrendo tale forcella (fig. 22), si riesca a trovare una nuova via per giungere in cima alla Crodaccia Alta oppure, più semplicemente, per compiere una traversata dal Cadin di Crodaccia al Cadin conchiuso tra la Croda Rossa Piccola e La Crodetta. Oggi, tuttavia, il meteo non ci permette ulteriori divagazioni e ci rimettiamo presto sulla via del ritorno. Scendiamo quindi lungo la ripida collinetta che confina con l’ancor più ripida fronte del rock glacier e ci immettiamo presto nel sentiero CAI n. 3. Di lì a breve, giungiamo a Malga Stolla per un pranzo ristoratore!
Giusto il tempo di assaporare un delizioso tagliere di affettati ed il cielo inizia a coprirsi minacciosamente… finiamo in fretta e via di gran carriera traversando i prati di Prato Piazza sferzati da un piacevole vento fresco (fig. 24 e 25)! Scendiamo alternando tratti di sentiero n. 37 con pezzi del Troi dei Milezinque, ormai sotto una debole pioggia e contemplando un temibile temporale sul circo glaciale del Cristallo le cui pareti, in pochi minuti, diventano completamente innevate (fig. 26 e 27)! Tempo di arrivare alla macchina ed esplode il diluvio universale 😉 Anche questa volta ci è andata bene!
Ringrazio Paolo per la sempre magistrale regia nel montare il video, sintesi perfetta dell’avventura trascorsa!
DIFFICOLTÀ COMPLESSIVA: EEA+. Calata di Forcella Campale: AD+. (Dovendo, come accaduto, risalire in arrampicata il tetto strapiombante, corrispondente al 4° tiro: D+).
Traversata alpinistica mediamente lunga e fisicamente non troppo impegnativa. La calata da forcella Campale al Cadin del Ghiacciaio si sviluppa su ca 150m, 100m D-, con necessità di effettuare almeno 6 calate (4 appoggiate, 1 strapiombante, 1 ripida). Nella sezione centrale, in disarrampicata, si raggiungono difficoltà di V grado. Da non sottovalutare la condizione della roccia, spesso marcia, che rende più difficoltosa la disarrampicata.
DISTANZA: 14 km – DURATA: 8,30 h – DSL: 1200m D+
DATA: 17 luglio 2022
PREMESSE
Una forcella è un valico che separa due valli. È quindi, idealmente, il punto di transito per passare da una valle all’altra… idealmente… vi sono infatti forcelle che, se da un versante si raggiungono più o meno agevolmente, dall’altro terminano nel vuoto. Io le chiamo ironicamente “forcelle terra-aria” 🙂 La Croda Rossa pare essere generosa quanto a forcelle terra-aria. La più nota è sicuramente Forcella Nord, la forcella più alta sciabile sulle Dolomiti. Si accede faticosamente su due piedi dalla Val Montejela ma si scende a quattro zampe dal lato di Forcella Nord. È un percorso di sci alpinismo piuttosto estremo ma risulta fattibile e se ne trova recensione. Altro esempio è poi Forcella Campale (Gumpalscharte). Vi si accede salendo un ripido ghiaione dal Cadin di Croda Rossa ma, giunti in forcella, si potrà scendere fino al Cadin del Ghiacciaio? È questo il quesito che Edoardo ed io ci siamo posti prima di intraprendere l’avventura. Descrizioni dell’itinerario non se ne trovano; questa è la prima relazione ad essere pubblicata. Prima di cimentarmi nell’avventura, ho ovviamente cercato di raccogliere tutte le informazioni del caso (pochissime). Un ringraziamento particolare al Maestro d’avventura dolomitica Paolo Beltrame e a Suo figlio che, disponibilissimi, hanno puntualmente riscontrato la mia richiesta di approfondimento sull’itinerario, confermando che la discesa di Forcella Campale ha carattere puramente alpinistico. Un ringraziamento speciale anche a Riccardo, che mi ha fornito i primi spunti di studio condividendo le foto del Cadin del Ghiacciaio e di Forcella Campale scattate dalla Crodaccia. Obiettivo della presente esplorazione non è, infine, esclusivamente appurare la fattibilità della calata da Forcella Campale al Cadin del Ghiacciaio ma anche verificare le condizioni dei due rock glacier collocati rispettivamente nel Cadin di Croda Rossa e nel Cadin del Ghiacciaio. Non si deve infatti dimenticare che l’Elenco dei Ghiacciai Italiani del 1925 rilevava l’esistenza del “Ghiacciaio di Croda Rossa”, cui emissario era il Rio di Stolla. Nel 1957, tale ghiacciaio risultava estinto.
RELAZIONE DELL’ITINERARIO
Lasciata l’auto nei pressi della casa abbandonata poco dopo il passo di Cimabanche, sulla sinistra, (1523m), si imbocca il sentiero CAI n. 18 e si risale la Val di Chenópe (Knappenfusstal) (dall’ampezzano chenòpo “minatore”, in tedesco knappe) sempre costeggiando il greto del torrente (fig. 1 e 2).
Dopo circa 45 minuti, si supera un piccolo ponte di legno e, nell’intersezione evidente con una mulattiera, si tiene la sinistra, raggiungendo in pochi minuti un’amena radura prativa, la cui vista si apre sul Cadin di Croda Rossa (fig. 3).
Si procede quindi lungo l’evidente mulattiera sino ad uno steccato di legno che delimita l’area di pascolo. Entrati nella recinzione, è possibile alternativamente tenere la destra, seguendo il sentiero, oppure, senza via obbligata, risalire nel bosco rado, seguendo le umide zolle che indicano la presenza di una sorgente, sino a giungere ai ruderi di una casera (fig. 4).
Superato il rudere, si continua in direzione NO sino a montare sul sentiero n. 3. Si guada là dove più rii confluiscono, non potendo non ammirare i giochi di stone balancing realizzati da qualche mano ferma e paziente (fig. 5 e 6).
Si tiene ancora il sentiero n. 3, per poche decine di metri, fino a giungere ai piedi di uno sperone roccioso; da qui, una debole traccia devia a sinistra, in direzione SO, fino a giungere ad una radura prativa particolarmente amata dalle vacche al pascolo. Si traversa la radura e ci si inerpica, senza via obbligata, su per una collinetta pressoché spoglia, in direzione SO (fig. 7). Impressionante il numero di residuati bellici, alcuni apparentemente piuttosto recenti, al punto da nutrire qualche perplessità sul fatto che risalgano alla prima guerra mondiale. Un bossolo reca la data del 1945… dovremo approfondire quale evento bellico ha coinvolto questo versante della Croda Rossa durante la seconda guerra mondiale…
Guadagnata la sommità della collinetta, si entra ora nel Cadin di Croda Rossa, tenendo la destra, ai piedi delle Cime Campale, su levigatissima roccia talvolta solcata dai tipici karren, parimenti molto comuni sul versante occidentale della Croda Rossa, in zona Fosses. È evidente il lavoro di erosione della roccia svolto dall’estinto ghiacciaio che, una volta, occupava il Cadin di Croda Rossa (fig. 10). Sorprende, inoltre, la qualità della roccia di Cima del Pin e delle Cime Campale, sul versante del Cadin di Croda Rossa; contrariamente alle aspettative, la roccia si presenta estremamente compatta e levigata, per nulla marcia; terreno ideale per gli amanti dell’arrampicata (fig. 11).
IL ROCK GLACIER NEL CADIN DI CRODA ROSSA(già “Ghiacciaio del Pin”)
Pochi metri ancora e giungiamo ai piedi della fronte del rock glacier del Cadin di Croda Rossa (fig. 13). Il Catasto dei Rock Glaciers delle Alpi Italiane del 1997 stabilisce che il Cadin di Croda Rossa ospita un rock glacier la cui fronte si attesta intorno ai 2285m e la parte sommitale intorno ai 2385m, occupando una superficie di circa 130mila mq. Tale rock glacier, risalente ad un’epoca anteriore alla Piccola Età Glaciale (1300 d.C.), definito nel 1974 “Ghiacciaio del Pin” (Pin Ferner) dal glaciologo Corrado Lesca (C. Lesca, Bollettino del Comitato Glaciologico Italiano, 22, 1974, pag. 121), presenta solchi e creste trasversali, una fronte marcata ed un lobo ben sviluppato. Tuttavia questo rock glacier presentava nel 1997 una “uncertain activity“. Una decina d’anni più tardi, i ricercatori, a seguito di rilevamenti svolti tra il 2005 e il 2007, rilevavano che «Il rock glacier di Cadin di Croda Rossa non mostra affioramenti di ghiaccio e presenta strutture interne differenti indicando che probabilmente si tratta di un rock glacier con ghiaccio interstiziale (ice-cemented rock glacier)». (K. Krainer, K. Lang, H. Hausmann, Active rock glaciers at Croda Rossa/Hohe Gaisl, Eastern Dolomites (Alto Adige/South Tyrol, Northern Italy), in Geogr. Fis. Dinam. Quat., 33 (2010), 25-36).
Confermando le osservazioni svolte dai ricercatori, ad oggi possiamo confermare che la fronte del rock glacier è di per certo ben marcata (fig. 13), con una pendenza di 35-40° ed un’altezza di 50m, e si attesta a circa metà della strettoia tra la Punta del Pin e le Cime Campale nel Cadin di Croda Rossa. Non è stata pervenuta alcuna acqua di fusione nell’area ai piedi della fronte né alcun ghiaccio esposto una volta rimontata la fronte ed esplorata la superficie del rock glacier. Si conferma, invece, che il rock glacier è traversato longitudinalmente da evidenti solchi e le rocce sui cui progrediamo sono particolarmente mobili (fig. 14). Nei pressi della sezione sommitale del rock glacier, infine, è presente un’area innevata che, tuttavia, non sembra appartenere al ghiacciaio quanto, piuttosto, pare essere il lobo di un canale valanghivo proveniente dalla Croda Rossa, le cui nevi evidentemente sono perenni (fig. 15).
LA TRAVERSATA DI FORCELLA CAMPALE
Sebbene la salita a Forcella Campale appaia dal rock glacier piuttosto ripida (fig. 16), si rivela in realtà meno faticosa di quanto previsto. E pensare che Ugo di Vallepiana, nel 1925, scriveva che Forcella Campale si risaliva faticosamente “attraverso pendii di detriti della peggior specie“!!! (Ugo di Vallepiana, Dolomiti di Cortina d’Ampezzo, dal Cristallo per le Tofane alla Croda da Lago, Guide del Club Alpino Italiano, sezione unversitaria, 1925). Noi scegliamo di attaccare il ghiaione che scende dalla forcella sulla destra, cercando di poggiare i piedi sulle rocce più grandi e stabili (fig. 17).
L’obiettivo è abbandonare quanto prima le mobili ghiaie e giungere ad una successione di speroni rocciosi che, nei pressi della sezione centrale della salita, ci forniranno più solido appiglio. Guadagnata la roccia, saliamo piacevolmente facendo scrambling (fig. 18, 19 e 20).
Giunti in forcella Campale, emblematica è l’espressione di Edoardo 😉
Sotto di noi, si sviluppa un canale bello marcio intorno a poco più di 50° di inclinazione (fig. 22). Ma, sorpresa delle sorprese, ci rendiamo subito conto che il nostro intento di aprire una nuova via non potrà essere coronato: troviamo infatti uno splendido e lucido spit sulla roccia a sinistra della forcella!!! Facciamo quindi una foto di rito in forcella ed iniziamo ad imbragarci (fig. 23). Sul versante opposto a noi, la Forcella Nord scende ripidissima e scariche di sassi che rotolano come proiettili nel Cadin del Ghiacciaio echeggiano minacciosi sulle pareti (fig. 24).
Ci appropinquiamo quindi allo spit, aggirando con forte esposizione un enorme masso pericolante. Lo spit si trova a circa 2 metri di altezza, subito dopo il masso (fig. 25).
“Longiato” sullo spit, lascio ad Edoardo l’onore di aprire la calata! Il fondo del canale si presenta quasi terroso, totalmente friabile. Edoardo si cala per circa una ventina di metri fino a che, sul bordo di destra del canale, individua un secondo spit (fig. 26 e 27). Tocca ora al sottoscritto: infilo il secchiello, mi faccio un machard ed inizio la calata che concludo in un paio di minuti.
Ogni recupero di corda deve essere effettuato con la massima cautela poiché smuoviamo terreno che ci rotola addosso (fig. 28).
Con ulteriori due “calate appoggiate”, di circa 20 e 35 metri, approdiamo ora su un grande cengione ghiaioso, che segna il termine del canale, i cui bordi degradano nel vuoto (fig. 29 e 30). Al centro di questa grande cengia, sulla parete, troviamo un chiodo cui ci leghiamo per scendere fino al bordo della cengia (fig. 31); si tratta ora di scendere di circa un metro sulla parete, in totale esposizione ma su comodo gradino e beneficiando di un appiglio su stretta fessura trasversale, fino a trovare un piccolo pulpito dove ci attende una sosta già allestita con spit + chiodo (fig. 32).
Giunto alla sosta, attacco il moschettone della longe allo spit e tiro un sospiro di sollievo! Ora Edoardo ha recuperato la corda mi raggiunge sul piccolo pulpito (fig. 33).
Ci prepariamo per le manovre di calata e lanciamo la corda nel vuoto. Questa volta, però, non vediamo dove la corda atterra! La roccia sotto di noi, infatti, precipita con un probabile tetto (a breve scopriremo che l’ipotesi era ben fondata!) (fig. 34). Non c’è altro da fare che andare in perlustrazione. Edoardo aumenta le spire del machard e si cala fino a scomparire nel vuoto. E qui inizia un’interminabile e stremante attesa. Sono immobile su un pulpito che non mi concede grande libertà di movimento. Siamo all’ombra (ad occhio non batte mai il sole in questo tratto di parete) e tira un bel venticello che dalla valle si incanala nella Forcella Campale. Maniche corte e smanicatino non si rivelano la scelta più azzeccata in questo tratto di calata; tuttavia, sono così esposto che non mi fido di togliere lo zaino e cercare il goretex (che sicuramente sarà sotto di tutto)… quindi inizio a soffiare aria calda sulle mani, badando di non smuovere qualche sassolino su quel mezzo metro di balconcino. Finalmente, arriva il via libera di Edoardo che, nel frattempo, è riuscito ad atterrare e trovare un punto sicuro una decina di metri sotto il tetto. Controllo ripetutamente che le ghiere dei moschettoni siano ben serrate intorno al secchiello e al machard e… via, calata nel vuoto, per circa venticinque metri.
Ed eccoci al termine della calata strapiombante, superata una grotta dalle cui fessure scendono gocce che si trasformano in un rigolo d’acqua (fig. 35). L’atterraggio avviene su un comodo e sicuro balconcino, che mi permette di togliere lo zaino e mettermi una maglia tecnica per recuperare un po’ di calore! Ci attendono però ora due sorprese: la prima, non troviamo altri spit e, sotto di noi, v’è un bel secondo ripido salto. Inoltre, in fase di recupero della corda con il sagolino, qualcosa non funziona e le corde restano bloccate! Quest’ultima è davvero una bella rogna ed Edoardo è costretto a risalire la parete strapiombante su roccia marcia con passaggi di V grado, liberare le corde e ridiscendere (fig. 36).
Liberate le corde, dobbiamo ora pensare a come calarci poiché, nonostante le esplorazioni della parete nei dintorni, non troviamo davvero alcun chiodo infisso (fig. 37) Tale circostanza fa riflettere: evidentemente, la via è stata chiodata con gli spit da qualche sciatore nel periodo invernale. Terminata la parete strapiombante, infatti, è verosimile pensare che lo sci-alpinista abbia affrontato il pendio rimanente, fino al Cadin del Ghiacciaio, sciando. L’accumulo di neve, infatti, tenderà sicuramente a smorzare quei primi metri al 90/100% di pendenza che ci attendono; poi, dopo una decina di metri di dislivello, la parete inizia a gradonarsi, diminuendo così drasticamente l’inclinazione e rendendo ben appetibile la discesa. Noi, però, non abbiamo la neve, e quella decina di metri totalmente aerei ci obbligano a trovare una soluzione sicura per essere superati. È quindi il momento di tirare fuori i chiodi ed allestire una sosta (fig. 38).
Nel mentre Edoardo martella, la Crodaccia Alta ci osserva, con le sue tipiche “tasche paleocarsiche” che quasi le conferiscono grottesche sembianze umane (fig. 39). Nel sottofondo, scariche di sassi dalla Forcella Nord si alternano a sinistri crolli nei pressi del lago del Cadin del Ghiacciaio (fig. 40).
Una volta allestita la sosta, Edoardo si cala per l’ultima ripida parete. Io controllo attentamente i chiodi, verificando che non si muovano di un millimetro (fig. 41).
Tocca quindi a me scendere e supero abbastanza agevolmente gli ultimi venti metri di parete verticale approdando su un comodo gradone di ghiaia (fig. 42).
Ora il gioco è fatto e tiriamo un sospiro di sollievo!!! (fig. 43 e 44). Per affrontare gli ultimi trenta metri di gradoni friabili, scendo io per primo ed Edoardo mi fa sicura piantando un ultimo chiodo, giusto perché ogni appiglio che tocco mi resta in mano 😉
Giungo quindi a fine corda e mi slego, procedendo sugli ultimi gradoni friabili prima di saltare sulle ghiaie del Cadin del Ghiacciaio e portarmi fuori tiro dalle eventuali scariche che Edoardo dovesse smuovere discendendo.
IL ROCK GLACIER NEL CADIN DEL GHIACCIAIO
Appena messo piede sul Cadin del Ghiacciaio, mi rendo conto che la parte apicale è effettivamente un enorme nevaio su cui le sovrastanti cime scaricano continuamente materiale (fig. 46). La parete della Cima Campale a ridosso della via di calata, in particolare, appare marcissima e devastata dai crolli (fig. 47). Sul versante opposto, la Forcella Nord scarica costantemente materiale. Ci allontaniamo quindi velocemente da questa area tormentata dalle frane e, con divertente sciata sul nevaio inclinato, ci dirigiamo verso il centro del Cadin del Ghiacciaio (fig. 48).
Il sopra citato studio di Krainer, datato 2010, conferma le nostre osservazioni, concludendo che :
«le strutture interne (piani di scorrimento) e particolarmente gli affioramenti di ghiaccio nella parte superiore del rock glacier di Cadin del Ghiacciaio indicano chiaramente che questo rock glacier si è sviluppato da un ghiacciaio di circo coperto da detrito che si trova in condizioni di permafrost ancora oggi. Presumiamo che questo rock glacier si sia sviluppato da un piccolo ghiacciaio di circo alimentato da valanghe in una fase di ritiro a causa del mancato trasferimento alle acque di fusione dei sedimenti trasportati dal ghiacciaio».
K. Krainer et alia, Id.
Ciò che sorprende, peraltro, è che questo rock glacier presenta caratteristiche morfologiche differenti rispetto al rock glacier ospitato nel Cadin di Croda Rossa. Innanzitutto, si trovano di tanto in tanto delle piccole depressioni, quasi delle doline; come se il ghiaccio sottostante le rocce fosse ceduto e/o si fosse formato un imbuto naturale/inghiottitoio (fig. 48 e 49).
Sorprendono, inoltre, le dimensioni di questo rock glacier. Krainer stabiliva che
«the rock glacier is 850 m long, 300-550 m wide and covers an area of 0.3 km2. The rock glacier extends from an altitude of 2340 m at the front to about 2500 m. The average gradient of the surface is 5°».
Tali misurazioni, confrontate con i primi rilievi svolti da Rictcher nel 1888, mostrano una regressione dell’apparato glaciale di una decina di metri. Nella parte centrale del rock glacier, si percepisce una divisione in due lobi; notiamo infatti ghiaie più “fresche”, risultato di un certo dinamismo sulla superficie… tale linea segna la demarcazione tra i due lobi e, nella parte apicale del rock glacier, emerge chiaramente il ghiaccio esposto, corrispondente con il margine sinistro del lobo meridionale (fig. 50).
Incredibile pensare che, in alcune zone del rock glacier, il sedimento che ricopre il ghiacciaio è davvero poco spesso; secondo Krainer
«in the upper part massive ice is exposed during the summer months at several places below a less than 1 m thick debris layer. Locally the debris layer is only about 10 cm thick».
Tant’è che, a parere dello scrivente, la definizione di rock glacier non sembra propriamente calzare al caso di specie… più che rock glacier, questo apparato sembra un vero e proprio ghiacciaio sormontato da una copertina di detrito. Un mantello che preserva il ghiaccio sottostante sicuramente da oltre un secolo; già nel 1907, infatti, il glaciologo Marinelli descriveva il ghiacciaio come quasi completamente coperto di detrito superficiale. Lo stesso asseriva il glaciologo Lesca nel 1974, rilevando che il ghiacciaio era «per gran parte ricoperto da morena superficiale» (Lesca, Id.). Ciò è confermato dalla visita all’incantevole e tipico laghetto termocarsico, collocato sul lobo settentrionale, poco più a valle. Il lago presenta inclinate pareti di ghiaccio esposto e compatto, alte fino a venti metri sul versante idrografico sinistro della valle, che “letteralmente” si sciolgono al sole riversando acqua dentro il bacino. Sottolineo il concetto di “ghiaccio compatto”, per nulla mescolato al detrito, confinato al solo margine superiore delle pareti. Man mano che il ghiaccio si scioglie, precipitano dentro il laghetto le rocce che costituiscono lo strato superficiale del rock glacier, quasi vi fosse un preciso equilibro tale per cui la profondità del laghetto non può incrementarsi, perché la quantità di acqua di fusione riversatavi è in rapporto perfetto con la quantità di rocce che vi crollano dentro (fig. 51, 52, 53). Affascinante pensare che il ghiaccio che vediamo e tocchiamo risale alla Piccola Era Glaciale, ad un periodo quindi compreso tra la metà del XIV e la metà del XIX secolo (ISPRA, Note Illustrative della Carta Geologica d’Italia – Foglio 016 Dobbiaco, pag. 175).
Una curiosità: studiando le immagini satellitari messe a disposizione dal servizio BING, scopriamo che, nell’agosto del 2015, il laghetto termocarsico aveva pure un fratellino!!! Evidentemente, il tappo di ghiaccio sul fondo si è poi sciolto, facendo defluire l’acqua nei meandri sotterranei del ghiacciaio.
Dopo aver contemplato con meraviglia il laghetto, ci dirigiamo verso la fronte del rock glacier. Questa è alta almeno 30 metri e ben ripida (35°/40°), al punto che dobbiamo procedere lungo il perimetro della fronte, sul lobo meridionale, la cui fronte è meno ripida di quello settentrionale, fino a raggiungere un pendio di altezza più contenuta per poter scendere, non a fatica (fig. 54).
Abbandonata definitivamente l’area del ghiacciaio, ci teniamo ora sulla destra, a ridosso dello sperone orientale delle Cime Campale (fig. 55), scendendo comodamente lo scosceso pendio tra radi mughi, fino ad incrociare nuovamente la radura popolata da vacche al pascolo. Di lì, per la via dell’andata, è d’obbligo una sosta ristoratrice a Malga Stolla. Nel giro di un’oretta, sempre per la stessa via dell’andata, si rientra al parcheggio presso Cimabanche.
DIFFICOLTÀ COMPLESSIVA: EEA. Discesa di Forcella Michele: F+ (traverso a metà del canale di Forcella Michele: II-III grado); salto di roccia in Val Fonda: PD (al massimo qualche passaggio di II grado). DURATA: 8.30 h – DISTANZA: 19 km – DSL: 1100m D+
PREMESSE
Nell’agosto del 2020, ho iniziato con l’amico Paolo l’esplorazione della Val Fonda, che particolarmente si presta ad innumerevoli interpretazioni alpinistiche in stile “Windchili”. Traversato l’anno scorso il ghiacciaio del Cristallo, e l’omonimo passo (chi volesse può curiosare qui), decidiamo quest’anno di traversare Forcella Michele (2591m), che separa la dorsale del Popena dal massiccio del Cristallino, ed esplorare poi il ghiacciaio di Popena, comunemente considerato “estinto”. L’attraversamento estivo di Forcella Michele, con calata nella conca glaciale sottostante, non trova precedente alcuno online, fatta eccezione per qualche scarna descrizione di salite invernali con sci d’alpinismo. La guida Camillo Berti del 1991 riporta che il canalone è percorribile «ma escursionisticamente difficile ed assolutamente sconsigliabile in presenza di neve dura o ghiaccio, senza adeguata attrezzatura (ramponi, piccozza e corda)» (C. Berti, Dolomiti della Val del Boite, Nuove edizioni Dolomiti, p. 195). La cartografia non indica alcuna traccia. Solo sulla carta Kompass edizione 2003, è indicata una traccia che dalla Val Fonda conduce alla dorsale del Popena. Non, tuttavia, a Forcella Michele. Le immagini satellitari, invece, permettono di apprezzare l’esistenza di un traccia che dalla Val Fonda sale alla conca del ghiacciaio di Popena, dirigendo apparentemente a Forcella Michele o Forcella Cristallino. Tale vecchia traccia, tuttavia, risulta improvvisamente interrotta essendo stata sommersa dalle colate di ghiaie scese dalle pareti sovrastanti. Sulla base di simili presupposti, non possiamo esimerci dal tentare questa nuova ed inedita traversata estiva. Lo stesso vale per l’esplorazione del ghiacciaio di Popena. Trovandosi nascosto alla vista dei rari escursionisti che si cimentano nella traversata del ghiacciaio del Cristallo (e soprattutto non conducendo da nessuna parte), resta una meta assolutamente remota e di scarso interesse escursionistico. Coglieremo inoltre l’occasione per fare una capatina anche al ghiacciaio del Cristallo, al fine di verificarne lo stato e confrontarlo con quanto esplorato l’estate scorsa. In ultima, proveremo a cercare quella via alternativa che ci viene suggerita per superare il salto di roccia che conduce nella parte inferiore della Val Fonda, evitando di entrare nella gola dove scorre la cascatella. In occasione di questa uscita, per dare maggiore forza e sicurezza alla “spedizione esplorativa”, si è unito a noi, accettando con entusiasmo la sfida, anche Giacomo, guida alpina di Cortina!
DESCRIZIONE DELL’ITINERARIO
Parcheggiata l’auto presso il Ponte Val Popena Alta, 1658m, imbocchiamo il sentiero 222 che, costeggiando il Rio Popena, risale gradualmente la Val Popena Alta. Al momento, presso il Ponte Val Popena Alta, un cartello comunica che il sentiero 222 è chiuso al transito. È probabile che tale indicazione trovi ragione in un leggero smottamento del costone sul versante orografico sinistro del Rio Popena, che ha cancellato il sentiero, a pochi minuti dall’imbocco del medesimo. Si procede comunque agevolmente, senza particolare difficoltà e pericolo, sulla stabile ghiaia della frana, per pochi metri, sino a riguadagnare l’evidente traccia del sentiero. Il sentiero continua ora dentro il greto ghiaioso del Rio Popena (fig. 1) fino a rimontare in leggera salita sul versante orografico sinistro, staccandosi così dal torrente.
Qui la deviazione non è evidente, tant’è che ci siamo trovati in un’amena radura prativa, circa una cinquantina di metri oltre il bivio (fig. 2).
Ritrovato il sentiero, prendendo gradualmente quota, si apre un magnifico panorama sulla Val Popena Alta (fig. 3) e, di lì a breve, si arriva all’innesto del sentiero 222a, che inizia la risalita in direzione O.
Si giunge quindi ad un bivio, dove una freccia sull’erba allestita con dei sassi ci indica di tenere la sinistra, procedendo sul sentiero più basso (fig. 4). Mantenendo sulla sinistra il Campanile di Val Popena Alta, il sentiero 222a conduce, risalendo con ampi tornanti (fig. 5), alla Val de le Barache, valle adibita durante la prima guerra mondiale a postazione di baracche e teleferiche che salivano alla sovrastante Forcella Michele, meta della nostra odierna salita (fig. 6 e 7).
Giunti ai piedi delle pareti del Cristallino, si trova una recentissima via ferrata che consente di evitare la salita all’interno del canalone detritico (salita precedentemente utilizzata per guadagnare quota). La ferrata si rivela estremamente piacevole, con semplici passaggi aerei sempre però su roccia ben solida e pulita, senza mai trovarci in esposizione (fig. 8, 9, 9a, 9b).
Terminata la via ferrata, si traversa uno stabile ponte di legno nei pressi di un enorme chiodo di ferro utilizzato probabilmente durante la prima guerra mondiale per l’assicurazione e le calate di materiale (fig. 10). Si sale quindi a zig zag tra piccole cenge franose e canali detritici, sempre comunque senza alcuna esposizione, sino a giungere, intorno a quota 2630m, presso i resti di alcuni baraccamenti tra tronchi di larice, chiodi e filo spinato (fig. 11 e 12). Scriveva Antonio Berti:
«dal villaggio (ndr: Val delle Baracche) un ardito sentiero ricavato con sostegni, scavi, riporti di notevole impegno, risaliva a zig zag la parte superiore del valloncello per poi arrampicarsi sulle rocce del versante orientale del Cristallino fino a raggiungere la cresta meridionale del monte poco sopra Forcella Michele».
A. Berti, 1915-1917 Guerra in Ampezzo e Cadore, Mursia, 1992, pag. 116.
Dopo una breve pausa ristoratrice iniziamo la discesa verso Forcella Michele, avvalendoci di comode tracce e transitando nei pressi di due caverne scavate nella roccia durante le prima guerra mondiale. Forcella Michele è ora in vista. Per raggiungerla è necessario effettuare un breve traverso diagonale su terreno friabile (fig. 13) ed eccoci in forcella, a 2591m (fig. 14).
Ora inizia la parte più difficile 🙂 nonché l’incognita principale della nostra esplorazione. L’aspetto positivo è che il canalone che scende verso NO dalla Forcelle Michele non mostra una pendenza particolarmente sostenuta. Di contro, il terreno si rileva piuttosto insidioso, marcio e frammisto di grosse rocce franate dai ripidi pendii sovrastanti (fig. 15, 16, 16a). Non è quindi possibile ipotizzare una spensierata e fluida discesa su ghiaione… anche perché dopo una ventina di metri inizia la neve, che copre ancora tutto il canalone fino alla sua base! Procediamo, quindi, con particolare cautela, senza peraltro indossare i ramponi, visto che la neve non è poi così compatta (fig. 17 e 17a). Nel mentre, veniamo avvolti dalla nuvola ed inizia a piovere! L’ambiente è severo; sulle pareti del Cristallino scorgiamo postazioni di guerra sulle pendici del Cristallino e, nei primi metri di discesa, il ghiaione ci svela un caricatore di fucile, una pallottola e filo spinato in abbondanza. Presto detto: esattamente qui si trovava la linea del fronte italiano durante la prima guerra mondiale!
Ed ecco il primo ostacolo! Là dove la gola si restringe, la neve alla base si è sciolta, erosa dalle acque piovane convogliate dalle sovrastanti pareti. Ciò ha comportato che si sia venuto a creare un ben poco affidabile ponte di neve, con sotto un bel buco di oltre due metri. Giacomo scende in perlustrazione sotto il ponte di neve, per cercare un possibile passaggio, ma il salto diventa ancora più profondo e ci andremmo a complicare ulteriormente la vita (fig. 18). Non ci resta che scegliere la via più ripida e predisporre un ancoraggio per calarci per circa cinque metri al di là di un enorme masso squadrato (fig. 19). Osservandone le forme ben squadrate, suppongo trattasi verosimilmente di un masso franato da una delle sovrastanti cime che è rotolato fino ad incastrarsi nella gola. Sarei propenso a scommettere che Camillo Berti non ha rinvenuto tale “occlusione”, con conseguente salto a valle, nelle ricognizioni svolte negli anni ’80, altrimenti avrebbe classificato la via come non escursionisticamente percorribile.
Iniziamo quindi la calata. Apre il sottoscritto che, piuttosto che calarsi, si cimenta in un traverso lungo la parete marcia, pulendo detriti e ricavando appigli apparentemente affidabili (fig. 20). Segue Paolo e chiude Giacomo calandosi in corda doppia (fig. 21 e 22).
Superato il salto di roccia, la discesa non presenta ulteriori ostacoli e si svolge agevole sino all’intersezione del canalone che scende da Forcella Cristallino (fig. 23 e 24), dove deviamo con decisione a destra, verso S, così tenendoci a ridosso delle pareti della dorsale del Popena, uscendo dal canalone innevato.
Decidiamo di prendere come punto di riferimento una curiosa “porta” (fig. 26) che conduce ad un comodo e breve ghiaione (fig. 27), dal quale poi traversiamo un nevaio e, con facile discesa, approdiamo sull’antico terreno morenico del ghiacciaio di Popena.
IL GHIACCIAIO DI POPENA
Scriveva W. Eckerth nel 1886, esplorando il gruppo del Cristallo in compagnia della guida Michel Innerkofler:
«il ghiacciaio di Popena si trova ai piedi delle pareti Nord-occidentali della dorsale del Popena e si estende da una quota di 2600m fino a meno di 2500m. A seconda della stagione appare coperto di neve o da uno strato di ghiaia e può facilmente esser preso per un semplice circo di ghiaie e neve».
W. Eckerth, Il gruppo del Monte Cristallo, 1891, Ed. Cooperativa di Coortina, 1989, p. 163
Ulteriormente Eckerth sottolineava che «il ghiacciaio di Popena è tanto nascosto quanto impervio e quindi non deve far meraviglia che la sua esistenza sia quasi sconosciuta» (W. Eckerth, Id., p. 133). Effettivamente, salendo per la Val Fonda, non è possibile avere visione della conca glaciale superiore conchiusa ai piedi delle pareti N – NO del monte Popena. Sarà forse questo il motivo per cui, dagli anni ’30 agli anni ’60, i glaciologi non hanno rivolto approfondite attenzioni al ghiacciaio di Popena. Le ultime significative osservazioni prima di questo “vuoto” temporale, furono svolte dal glaciologo Celli, il quale, nell’agosto del 1933, rilevava che «la fronte glaciale arriva col suo lobo più avanzato, coperto da detriti, alla quota 2370 circa, presso un grosso masso (…)». (Bollettino del Comitato Glaciologico Italiano, vol. 14, 1934). Bisogna poi aspettare i primi anni ’60, per apprezzare una nuova e significativa manifestazione di interesse verso tale apparato glaciale. In particolare, con riferimento agli anni 1960-61, il glaciologo Piera Nicoli osservava che il ghiaccio di Popena era “in regresso”, con una superficie di 19 ettari ed un “innevamento frontale scarso” (Bollettino del Comitato Glaciologico Italiano, 1962). A distanza di venticinque anni, nell’agosto del 1986, il glaciologo Perini approfondiva ulteriormente il tenore delle osservazioni e rilevava che
«la crepacciatura è evidente solo sulla sinistra, a quota 2530, dove il ghiaccio aggira uno spuntone roccioso. La zona frontale è sempre sommersa da detriti morenici, che lasciano solo in parte intravvedere il ghiaccio». Riscontrava, inoltre, un «leggero ritiro frontale, anche se tutto l’apparato glaciale sembra stabile; non si notano archetti morenici frontali
Geografia Fisica e Dinamica Quaternaria, vol. 10, 1987
Nell’agosto dell’anno successivo, il Perini registrava quanto segue:
un leggero rigonfiamento evidenzia, quest’anno, nettamente la fronte; corpi di ghiaccio morto, staccatisi presumibilmente di recente, sono presenti nella parte destra frontale. I crepacci sono sempre ben evidenti sulla sinistra orografica, nella parte alta, alcuni profondi 8-9 metri.
GFDQ, vol. 11, 1988
Pochi anni dopo, nell’estate del 1991, il Perini osservava che «la situazione di questa ghiacciaio è di una certa stabilità, dovuta anche al riparo esercitato dalle alte pareti del Piz Popena». (GFDQ, vol. 15, 1992) e, nell’agosto del 1993, «sempre più massiccia la copertura detritica che maschera la zona frontale; al di sopra del grande accumulo morenico situato poco a monte, invece, il ghiaccio è abbastanza pulito».
Successivamente, nell’agosto del 1995, Perini rilevava che
«è in aumento il detrito galleggiante; vistose sono alcune bedieres, con cospicua acqua di scorrimento. A monte del grande cono si è formato un laghetto di sbarramento morenico di 70-80 mq, su cui si immerge anche il ghiaccio».
GFDQ, vol. 19, 1996
Nell’agosto del 1996, il glaciologo constatava la diminuzione dello spessore del ghiacciaio, rilevando che «dal confronto fotografico con foto di 15 anni fa, impressionante è ora la notevole riduzione di spessore del ghiaccio, che è di parecchi metri» (GFDQ, vol. 20, 1997). Con la fine degli anni ’90, le misurazioni del ghiacciaio da parte dei glaciologi venivano interrotte, come anticipava il Perini in sede di visita nell’agosto del 1997:
«il detrito galleggiante ricopre ormai gran parte della superficie glaciale e una profonda bédière incide il ghiaccio dal settore centrale sino a quasi alla fronte. (…) Se la situazione di copertura detritica e di infossamento del corpo glaciale si accentueranno nei prossimi anni, sempre più difficilmente si potranno eseguire dei controlli significativi».
GFDQ, vol. 21, 1998
Veniamo quindi alle osservazioni svolte in sede di sopralluogo, in data 18 luglio 2021. Avvicinandoci alla presunta fronte del ghiacciaio di Popena, rileviamo, innanzitutto, un considerevole arretramento della fronte rispetto alle misurazioni svolte nel 1933. In particolare, abbiamo identificato quel “grosso masso” individuato dal glaciologo Celli quale limite della fronte… masso che, sicuramente, non si è mosso di un centimetro in novant’anni! Si è invece sicuramente mossa la fronte del ghiacciaio di Popena, che risulta drasticamente arretrata. Difficile stabilire a che quota sia la fronte, considerato l’importante innevamento residuo e l’abbondante copertura di detrito. In merito, si segnala una recente e significativa frana dalle pareti del Popena, che ricopre la neve dell’ultima stagione invernale. (fig. 31).
Si rileva, inoltre, l’estinzione del laghetto di sbarramento morenico riscontrato dal glaciologo Perini nell’agosto del 1995. Lo stesso laghetto, veniva ancora riportato nella carta Tabacco, edizione 2017. Non è invece più rilevato nelle ultime edizioni. Ritengo di poterne individuare la collocazione corretta, a quota 2300m circa, dove sorge una modesta depressione colma di neve velata di detrito finissimo. È probabile che, in occasione di importanti precipitazioni, questo avvallamento raccolga le acque di confluenza dell’intera conca glaciale del ghiacciaio di Popena (fig. 32). Inoltre, transitando presso i margini del laghetto estinto, si ode nitidamente il gorgoglio delle acque di fusione del ghiacciaio di Popena, che scorrono sotto la neve e si perdono nelle rocce per poi riemergere in Val Fonda. In questo avvallamento, dovrebbe anche confluire un ruscelletto che sorge intorno ai 2600m, sulle pareti poco sottoPunta Michele. Di sicuro, tuttavia, è scomparso il ghiaccio che si immergeva nel laghetto, come da rilevazione del glaciologo Perini nell’estate del 1994.
Considerato lo stato di persistente innevamento residuo, risulta impossibile svolgere ulteriori osservazioni sullo stato del ghiacciaio di Popena. Ciò che si può ipotizzare, anche sulla scorta delle osservazioni svolte dai glaciologi fino agli anni ’90, è che il ghiacciaio di Popena sia tutt’altro che estinto. Se è indubitabile, infatti, che lo spessore del ghiaccio sia drasticamente diminuito negli anni, comportando una significativa regressione della fronte, è altrettanto vero che le continue scariche dalle pareti circostanti hanno agito quale copertura della superficie glaciale. È infatti verosimile che il ghiacciaio di Popena sia ormai rivestito da un’alternanza di strati di detriti franosi, sui quali si deposita la neve stagionale, che a sua volta è stata coperta da detriti franosi nelle stagioni calde, per poi essere nuovamente sommersi dalla neve invernale, e così via. Non potendo svolgere ulteriori osservazioni, decidiamo, muovendo dal crinale più esterno della morena (fig. 33), di aggirare lo sperone di Popena, il più strettamente possibile (fig. 34), e recarci presso la fronte del ghiacciaio del Cristallo, per valutarne lo stato.
Dopo una faticosa risalita dei ripidi e antichi depositi morenici del ghiacciaio del Cristallo, giungiamo finalmente ai suoi piedi (fig. 35). Come per il ghiacciaio di Popena, siamo impossibilitati dallo svolgere le opportune osservazioni sullo stato del ghiacciaio del Cristallo, a causa del persistente innevamento residuo. Per mera curiosità, si osservi il confronto tra l’attuale innevamento, in data 19 luglio 2021, e la situazione riscontrata nell’agosto 2020 (fig. 36). La speranza è che le considerevoli precipitazioni nevose registrate nella stagione invernale 2021 siano tali da aver contribuito a preservare quanto è rimasto dei ghiacciai dolomitici (se non, addirittura, ad incrementarne leggermente la massa!).
IL SUPERAMENTO DEL GRADONE ROCCIOSODELLA VAL FONDA
A questo punto, non ci resta che proseguire per l’ultimo obiettivo: trovare quell’antico sentiero (attrezzato?) che permette di superare il salto di roccia della Val Fonda, senza entrare nella gola con la cascata. A fine ottocento, Theodor Wundt scriveva che, risalendo la Val Fonda, il gradone
«è formato da pareti rocciose verticali, non facili da superare. Anche qui Michel (nda: Innerkofler) aveva raccomandato cautela. ‘Assicurati di trovare la via giusta, altrimenti puoi arrampicarti lì dentro tutto il giorno e non andare oltre».
Questo era il monito del grande alpinista Innerkofler all’epoca. Più recentemente, Camillo Berti scrive che «il passaggio si trova sulla sinistra idrografica ed è caratterizzato da un vecchio piolo di ferro contorto» (C. Berti, Id.). Fabio Cammelli, nella guida “Dolomiti – Monte Cristallo”, scrive che un tempo
«i salti di roccia sotto il circo glaciale superiore della Val Fonda venivano superati salendo a lato delle cascate con le quali l’acqua di fusione del ghiacciaio precipitava verso valle: si trattava di una breve ma non facile arrampicata su rocce sovente ricoperte da un sottile strato di ghiaccio».
Aggiunge Cammelli che nella primavera del 1885, il CAI Alpino Austro Tedesco
«fece sistemare un buon sentiero che dai pressi dell’imboccatura della Val Fonda s’innalzava lungo il fianco sinistro della valle (destra orografica) per poi proseguire a mezzacosta tenendosi alto sopra l’alveo del torrente. Giunti sotto il gradone roccioso (…), il sentiero si portava sull’opposta sponda grazie a una passerella formata da due tronchi, per poi salire alla base del salto roccioso soprastante, che a sua volta veniva superato grazie all’aiuto di una scala a pioli incastrata ad arte nella roccia».
F. Cammelli, Dolomiti – Monte Cristallo, 101% Vera Montagna, Ed. Paolo Beltrame, 2010, p. 92.
Prima dell’allestimento di simile struttura, nel 1862, Paul Grohmann scriveva
«per arrivare al passo (ndr: del Cristallo) bisogna attraversare il ghiacciaio, il cui accesso è all’estremità della Val Fonda lungo l’acqua che proviene dai nevai. Un tempo questo accesso era abbastanza curioso perché occorreva passare carponi attraverso un foro sotto la roccia; ma adesso, a quanto mi è stato detto, il foro è crollato e non esiste più».
Quanto sopra è confermato dallo stesso Eckerth, che nel 1891 scriveva
«Questi salti si superano con l’aiuto di una scala a pioli di legno incastrata con arte nella roccia. Prima che la scala fosse costituita, i salti di roccia si superavano salendo a lato delle cascatelle, un’arrampicata di più di un quarto d’ora a breve distanza dall’acqua spumeggiante, il che, nelle mattinate fredde, non era tra le cose più gradevoli».
Ciò premesso, Cammelli scrive che (perlomeno fino al 2010)
«presso l’imboccatura di un largo e ripido canale, si scorgono tre tronchi di legno posizionati orizzontalmente su piani sovrapposti (…). Il primo tronco di legno è situato circa tre metri più in alto rispetto alla base del canale: lo si raggiunge risalendo un corto ma ripido salto di rocce friabili (talora bagnate; I e II grado). Oltrepassato un secondo tronco, posto poco sopra il primo, si sale più facilmente sino a portarsi all’altezza di un terzo tronco incastrato: da qui non si prosegue più all’interno del canale bensì si continua a sinistra, verso l’esterno, per poi rientrare nella spaccatura lungo una breve e comoda cengetta rocciosa, che corre obliquamente da sinistra verso destra. Seguono due corti gradoni un po’ più ripidi e impegnativi (ma sempre ben appigliati; I e II grado; alcuni spit su cui eventualmente far sicurezza) che consentono di uscire dal canale e di raggiungere, alla propria sinistra, un piccolo pulpito roccioso. In breve, grazie anche all’aiuto di alcuni vecchi fittoni metallici, si superano le soprastanti facili roccette e si perviene al bordo superiore del gradone roccioso di sbarramento della Val Fonda».
F. Cammelli, Id., p. 198
Noi, nell’estate del 2020, non abbiamo trovato alla base del gradone roccioso alcuna traccia del presunto sentiero attrezzato, così come descritto dai sopra menzionati autori, né tantomeno alcuna evidenza dei tronchi citati dal Cammelli. Provenendo dalla conca glaciale superiore della Val Fonda, invece, riscontriamo effettivamente l’esistenza di una traccia di sentiero e qualche ometto, una ventina di metri a sinistra dell’intaglio con la cascata. La traccia interseca presto un non insignificante canale di sfogo di acqua e ghiaia che, nel tempo, hanno completamente eroso il margine superiore del salto di roccia, il quale appare come roccia viva levigata e coperta di detrito (fig. 37).
Si superano un paio di gradoni e ci si trova sullo strapiombo. Da qui, in discesa verticale, si distinguono subito i tre/quattro grossi e vetusti fittoni con anello citati da Fabio Cammelli (un paio abbastanza mobili), entro i quali verosimilmente era assicurata una corda nei tempi che furono (forse installati proprio dal CAI Alpino Austro-Tedesco nell’intervento del 1885) (fig. 38). Organizziamo quindi una prima calata verticale, che ci permette di superare i due primi salti di roccia (fig. 39).
Completata la prima calata, si apre sotto di noi il profondo canale che fende la roccia in diagonale, entro cui, tuttavia, non rinveniamo alcuna traccia dei famosi tronchi descritti da Cammelli nella sua guida. Svolgiamo quindi la seconda calata. L’arrampicata si rivela abbastanza difficile poiché ogni appiglio trasuda acqua e si stacca. Tanto vale calarci di peso, anche per agevolare Giacomo che ci sta facendo sicura presso la sosta allestita sull’ultimo gradone di roccia prima dello strapiombo. Scendo io, poi Paolo (fig. 40) ed infine Giacomo (fig. 41).
A posteriori, resto nel dubbio se sia più conveniente percorrere la via appena svolta oppure la gola con la cascata, come fatto l’anno precedente in agosto. Probabilmente, in salita sceglierei la traccia odierna mentre in discesa ritengo più comodo e diretto scendere per la cascata, calandosi in doppia assicurati al robusto anello infisso nella roccia poco dopo l’ingresso nella gola. Da segnalare, inoltre, l’assenza di ometti o altro tipo di segnalazione volto a indicare l’imbocco del canale di risalita; o lo si conosce, oppure non lo si trova. Ad ogni modo, il salto della Val Fonda resta un ostacolo da affrontare sempre con le dovute cautele, poiché la roccia marcia ed il terreno bagnato riservano sempre qualche imprevisto. La foto scattata dall’amico Riccardo nei pressi di forcella Rauhfofel rappresenta esaustivamente le due possibili soluzioni di salita/discesa. In corrispondenza del cerchio rosso, è infisso il grosso e robusto anello nella roccia per assicurarsi (fig. 41a).
Ciò detto, abbandonata la frana ai piedi del salto roccioso, si ritrova il sentiero che traversa l’intera Val Fonda (fig. 42, 42a e 43).
Inizia ora una lunga discesa, camminando su terreno sempre instabile, lasciando alle spalle la cascata della Val Fonda (fig. 44) e guadando di volta in volta i vari rami del rio, scegliendo la strada che sembra più diretta e con il fondo di sassi meno grossi :-). Si procede fino a che, in corrispondenza del restringimento della gola della Val Fonda, si trova una vecchia traccia, che risale leggermente il costone tra frane e pini mughi, sul versante orografico destro del rio. Trattasi del già menzionato sentiero allestito dal CAI Alpino Austro-Tedesco nella primavera del 1885, che permette un incedere più rilassato e, soprattutto, consente un transito più sicuro in caso di pioggia, evitando di trovarsi nel bel mezzo del restringimento della gola sul greto del rio che ingrossa ricevendo le acque delle pareti circostanti e dell’intero circo glaciale del Cristallo/Popena.
Si arriva, infine, al parcheggio di Ponte de la Marogna, 1470m, dove abbiamo la seconda macchina per rientrare al parcheggio presso il Ponte di Val Popena Alta.
Ecco il video completo dell’itinerario montato ad arte da Paolo!
Per ulteriori informazioni circa il descritto itinerario, e soprattutto per apprezzarne adeguatamente l’intensità e le emozioni, rimando alla lettura dell’affascinante relazione scritta dall’amico Paolo.
DIFFICOLTÀ COMPLESSIVA: EEA (a seconda dello stato di innevamento del ghiacciaio, possono essere necessari i ramponi) DURATA: 8/10h – DSL: 960m+
DATA: 18 aprile 2012
PREMESSE
Il c.d. “trekking dei tre passi” è una soluzione un po’ più avventurosa, lunga ed impegnativa rispetto al classico trekking che conduce da Lukla all’Everest Base Camp. Di fatto, il trekking implica un’importante deviazione, a partire da Namche Bazar e fino a ricongiungersi sulla via “principale” a Lobuche. Tale deviazione prevede l’attraversamento di due passi: il Renjo La (5360m) ed il Cho La (5420m). Il primo passo è relativamente facile. Il Cho La, invece, richiede un minimo di esperienza, atteso che prevede l’attraversamento di un ghiacciaio e che la salita da Tagnag si svolge su massi spesso instabili e ghiacciati. Si consideri, inoltre, che abbandonata Namche Bazar e presa la “deviazione” verso NO, fino a ricongiungersi a Lobuche, il numero di trekker si riduce esponenzialmente, fatta salva l’elevata frequentazione di Gokyo. Non è quindi scontato camminare più ore senza incontrare anima viva, specialmente nel tratto compreso tra Gokyo e Dzongla. In ultima, pare che negli ultimi anni l’attraverso del Cho La sia diventato leggermente più impegnativo per due ragioni: la prima, tecnica, poiché sembrerebbe che il ghiacciaio sia diventato di più difficile percorrenza (ma è risaputo che la situazione è di anno in anno estremamente mutevole, come per ogni ghiacciaio, a causa dello stato di innevamento); la seconda, psicologica, poiché aumentano le voci di persone disperse o morte nell’attraversamento del Cho La. Ciò premesso, a mio modesto parere, un alpinista mediamente esperto non dovrebbe riscontrare alcuna difficoltà tecnica nell’attraversamento del Cho La. Ritengo a proposito che la temibile aurea che il Cho La si è guadagnato negli anni sia prevalentemente dovuta alla sua frequentazione da parte di trekker non allenati o, comunque, privi della minima esperienza alpinistica. Trekker che, nel percorrere la via principale che conduce all’Everest Base Camp, si sono fatti tentare dal deviare, all’altezza di Khumjung, verso Gokyo e, lì giunti, piuttosto che scendere nuovamente a Khumjung, hanno ritenuto più agevole “tagliare” per il Cho La, fino a Lobuche.
DESCRIZIONE DELL’ITINERARIO
Dragnag (o Tagnag o Thagnak o Tarnak) è un minuscolo villaggio di quattro/cinque case, che sorge sul margine orientale del ghiacciaio Ngozumpa, a 4700m. Da qui, procedendo in direzione NE, si sale al Cho La. Per la prima (e fino ad oggi unica) volta nella mia vita, mi avvalgo fino al raggiungimento del Cho La di una guida/portatore. Tutti mi hanno consigliato in tal senso. “La via è difficile”, mi si dice. Inoltre, sono solo, ed il percorso è descritto come il più pericoloso del trekking dei tre passi. Ammetto che mi sento un po’ in colpa; ho sempre pensato che, ad eccezione delle spedizioni di mesi in autosufficienza, chi come me prevede di mangiare ogni sera presso un lodge debba portarsi il suo zaino sulle spalle fino alla fine. Tuttavia, sono intimorito. Non so cosa mi aspetta e preferisco seguire il consiglio del padrone della guest house dove alloggio a Tagnag. Il portatore è un ragazzino, avrà indicativamente 15/16 anni, e si presenta alle 5 di mattina, puntuale, al lodge. Insiste nel volere indossare subito il mio zaino, che supera i 18kg. Il mio senso di colpa, vista la sua giovane età, si acuisce, e decido di dargli solo il mio zainetto da trail running con 2/3kg di materiale, tenendomi in groppa il pesante zaino. Leggo nei suoi occhi il disappunto ma rifiuto fermamente i suoi ripetuti gesti per prendersi lo zaino, spiegandogli che mi serve una guida, non un portatore. Ci incamminiamo che è ancora buio ed il suolo è gelato ma, in breve, spunta dalle vette in fronte a noi un sole spettacolare. La giornata sembra ideale per la missione che ci attende.
Traversata una breve vallata con modesti saliscendi, chiamata Nimagurogoth, si giunge ai piedi della ripida salita che conduce al Cho La. La progressione non è semplice: i massi sono infatti spesso mobili e coperti da una sottile spolverata di neve caduta durante la notte. Verso i 5200m, il mio giovane amico vede il mio fiatone ed insiste nuovamente per prendere lo zaino. Questa volta cedo alla tentazione e facciamo scambio: io mi prendo il minuscolo zaino da trail running e lui indossa il pesante zainone da trekking.
Finalmente, dopo non poca fatica e con il cuore a mille, il passo è conquistato! Il mio giovane amico non sembra provato dalla salita. Si toglie lo zaino, lo pago, ci salutiamo cordialmente e torna subito a valle, dove un nuovo gruppo di escursionisti probabilmente lo sta attendendo per affrontare la medesima salita. Ammetto che il suo aiuto è stato determinante. Sia per l’orientamento (scegliere la migliore via nella salita al Cho La non è proprio così scontato) sia per avermi tolto quei 18 fastidiosi kg dalle spalle.
Riposato, riprendo il cammino. La via è abbastanza evidente: si tratta di attraversare il ghiacciaio del Cho La in direzione E, in leggera discesa. La traccia sul ghiacciaio è percorsa già da alcuni portatori. Alcune guide parlano di crepacci ma non dovrebbero esserci ostacoli di sorta lungo la traccia ripetutamente calpestata dagli sherpa.
L’attraversamento del ghiacciaio è agevole. La neve caduta la notte è un po’ marcia ma, sotto, la traccia è ben compatta. Incrocio alcuni sherpa e non posso non sentirmi insignificante rispetto allo sforzo che questi compiono. Alcuni non portano gli occhiali, e si riparano gli occhi dal riverbero accecante con le mani. Alcuni indossano scarpe da ginnastica. Quanto al peso che portano in spalla, non saprei quantificarlo, ma sicuramente arriva ad essere almeno il triplo dei miei miseri 18kg. Questi sono i veri protagonisti dell’Himalaya.
Superata agevolmente la fronte del ghiacciaio, il sentiero devia ora verso SE, costeggiando ripidamente la parete rocciosa. Il panorama che si apre è magnifico: l’Ama Dablam, 6812m, domina il paesaggio in fronte a me, svettando tra le vette himalayane.
Di lì a breve si giunge al minuscolo villaggio di Dzongla camminando su terreno prativo, da cui è poi possibile proseguire poi fino a Lobuche.
DIFFICOLTÀ COMPLESSIVA: EEA – Canale Val Fonda: II grado – Ghiacciaio: F+ DURATA: 8/9 h – DISTANZA: 19 km – DSL: 1330 m+
DATA: 8 agosto 2020 (con aggiornamenti sullo stato del ghiacciaio del Cristallo a luglio 2021, agosto 2022 e agosto 2023)
PREMESSE (follow ENG)
È da anni che ho in mente di fare questo giro: la traversata della Val Fonda, da Ponte de la Marogna, superando il ghiacciaio del Cristallo per giungere al Passo del Cristallo, 2808m, e da lì discendere al passo Tre Croci per la ripida Graa de Cirigières. La titubanza nell’affrontare tale itinerario nasce dal fatto che, ad oggi, non si trovano recensioni complete di questa traversata in periodo estivo, complice anche il fatto che, per la maggior parte del tragitto, non si tratta di un vero e proprio sentiero numerato ma di una traccia. Le vecchie guide cartacee restano abbastanza sul vago. La Fabio Cammelli del 1994 parla di “traversata alpinistica di alta difficoltà”, considerando però l’itinerario nel verso opposto, con partenza dal Tre Croci. Online, esiste un unico reportage, molto accurato, datato 2013, dove però non si raggiunge il passo Cristallo. L’incognita resta, ovviamente, lo stato di innevamento del ghiacciaio. Da non dimenticare, infatti, che il ghiacciaio del Cristallo era pur sempre uno dei più estesi ghiacciai delle Dolomiti, con i suoi 35 ettari misurati nel 1957, e che qui, nell’agosto del 1888, perse la vita il celebre alpinista Michele Innerkolfer, cadendo in un crepaccio a seguito del crollo di un ponte di neve (che aveva già percorso nella salita con i suoi clienti poche ore prima).
Nel 1893, Theodor Wundt descrive il ghiacciaio del Cristallo come un “selvaggio ghiacciaio, ripido e lacerato da numerosi crepacci. Le sue masse di ghiaccio pendono come cresciute sulle pareti rocciose e si estendono come fiumi ghiacciati fino alle vette più alte” (Wanderungen in den Ampezzaner Dolomiten, p. 61). Il CAI di Conegliano, nell’estate del ’69, evidenziava “crepacci laterali, bocche di ghiacciaio e morene affioranti”. Il glaciologo G. Perini osservava nell’agosto dell’81 “crepacci più marcati sul lato destro del ghiacciaio”. La guida Camillo Berti del ’91 parla di “canalone di ghiaccio crepacciato che richiede esperienza alpinistica su ghiaccio ed attrezzature adeguate”. La guida Fabio Cammelli del ’94 descrive il tratto apicale del ghiacciaio come “assai ripido e crepacciato”. La guida di sci alpinismo Burra-Galante del 2014, afferma che il ghiacciaio “presenta anche crepacci, generalmente occlusi dagli accumuli di valanga”. Il CAI di Conegliano, nell’aprile 2015, evidenzia un “grosso serracco” a pochi metri dal passo Cristallo. A questo punto, sono vinto dalla curiosità di esplorare questo ghiacciaio! Ed eccoci quindi qui con il capace compagno di cordata Paolo, che ha prontamente accettato di accompagnarmi in questa avventura!
RELAZIONE DELL’ITINERARIO
Lasciata la macchina a Ponte de la Marogna, ci si incammina in direzione S sull’ampio greto del torrente fino ad inoltrarsi, superato un tipico canyon dalle pareti strapiombanti, nella selvaggia e remota val di Fonda.
Si procede, sempre verso S, guadagnando lentamente quota, guadando un paio di volte il rio Fonda e risalendo la valle su ghiaie e rocce instabili, fino a presto smarrire la traccia vera e propria.
Il punto di riferimento diviene quindi una cascata da avvicinare sul fronte occidentale, fino a che si individua una timida traccia che sale tra ghiaie e chiazze d’erba.
La traccia devia quindi con decisione verso W, per poi ripiegare in salita in direzione E. A questo punto, ci si trova ai piedi di un salto di roccia che, come un enorme scalino, separa la val Fonda dal circo del Cristallo. La traccia diviene sempre più incerta, fino a perdersi tra gli smottamenti che l’hanno sormontata.
Si procede quindi con passo fermo e sicuro su terreno franoso, puntando al canalone da cui scende ripido il rio Fonda. Rigorosamente muniti di caschetto, si inizia la salita di uno dei tratti più delicati dell’itinerario, definiti dalla guida C. Berti, ed. ’91, come “turisticamente non facile“. Si suggerisce di guadare il rio e portarsi sulla parete sinistra del torrente per iniziare a salire i primi metri.
Poco dopo, risulta necessario attraversare nuovamente il rio portandosi al centro del canale su un affioramento roccioso compreso tre le acque vivaci che scendono a sinistra con cascatella e quelle più timide che scendono sulla destra del canalone. Si procede quindi arrampicando, cercando di mantenere una traiettoria il più possibile vicina al torrente a sinistra. Si superano tre salti rocciosi particolarmente insidiosi, non tanto per la difficoltà tecnica della scalata quanto perché gli appigli risultano particolarmente inaffidabili, cedendo alla minima pressione. Attenzione, inoltre, alle rocce sdrucciolevoli su cui si cammina. NOTA: a tre quarti della salita si trova un punto di sosta attrezzata. In caso si provenga dal verso opposto, appare sensato svolgere la discesa in corda doppia. Procedendo invece nella direzione da noi preferita, il primo può agevolmente assicurare ad una corda chi, più sotto, dovesse trovarsi in difficoltà. In alternativa, è possibile non entrare nel canale del torrente ma salire, in prossimità del grande masso di cui in fig. 4, imboccando un ripido canale ove nella primavera del 1885 il CAI Alpino Austro-Tedesco aveva allestito un sentiero attrezzato. Maggiori dettagli sull’ubicazione di tale accesso e sulla descrizione del sentiero attrezzato possono reperirsi qui.
Superato il balzo di roccia, l’ambiente muta completamente. Il circo del Cristallo si perde a vista d’occhio nella sua maestosità, sovrastato sul versante orientale dalle ripide ghiaie del circo glaciale del Piz Popena.
La linea immaginaria da tenere è ora centrale, mirando al canale N tra cima Cristallo e il Cristallo di mezzo, fino a raggiungere quota 2300 circa, su area più pianeggiante, dove a fine nell’800 il ghiacciaio premeva imponente (fig. 11). Da questa posizione si possono finalmente ammirare il ghiacciaio del Cristallo, sormontato dall’omonimo ripido passo.
IL GHIACCIAIO DEL CRISTALLO
Un ghiacciaio è, innanzitutto, storia. Una storia che ho voluto approfondire, prima di compiere questa traversata, per meglio capire i mutamenti che la nostra montagna sta subendo.
Paul Grohmann, nel 1862, scriveva: “Da Carbonin sono stato tre volte al passo del Cristallo e due volte ho trovato facile la traversata del ghiacciaio, ma quanto invece ci andai la prima volta con Ploner e Angelo Dimai, il centro del ghiacciaio, ove questo assume la sua massima pendenza, era sconvolto da numerosi crepacci, per cui, per passare, dovemmo usare corda e piccozza, impiegando ben quattro ore sino al passo (…)”. Pochi anni dopo, W. Eckert descriveva l’attraversamento del ghiacciaio avvenuto in data 24 luglio del 1879: “Un grande buco imbutiforme si apriva nel centro del circo glaciale e dava nell’occhio in modo particolare, facendo pensare all’esistenza di un crepaccio colmo di neve; una cinquantina di metri più su, due crepacci aperti indicavano in modo assolutamente inequivocabile una spaccatura che attraversava tutto il ghiacciaio. A quota 2650, divisi da un ponte di neve piuttosto largo che saliva dal fondo, si aprivano altri due crepacci, notevolmente più grandi dei precedenti, rilevatori di una seconda gigantesca spaccatura che a sua volta tagliava il ghiacciaio per traverso. I crepacci erano larghi circa 3 metri, profondi 4 e lunghi da 6 a 8. Le parete laterali scendevano lisce e verticali sul fondo che era coperto di neve e apparentemente piuttosto piatto, sicché i crepacci sembravano due strette stanze scoperchiate. Finalmente, a quota 2700, dove il ghiacciaio diventa improvvisamente più ripido, appariva quell’enorme crepaccio che non si riempie mai di neve, neanche negli inverni più nevosi (…) Questo crepaccio era poco più largo ma notevolmente più profondo del precedente e le sue pareti non scendevano verticali, ma inclinate l’una verso l’altra cosicché esso tanto più si restringeva quanto più diventava profondo. Il suo bordo dalla parte del passo sovrastava quello inferiore di almeno due metri e nessun ponte di neve scavalcava completamente lo spacco. Per superarlo bisognava scendere per un ponticello di ghiaccio, coperto di neve, che attraversava trasversalmente la spaccatura dalla quale, arrivati circa nel mezzo, si poteva raggiungere un ponte di neve inarcantesi arditamente verso l’orlo superiore“. Scriveva J. Rabl nel 1882: “a causa della ripidezza della falda rocciosa su cui poggia (il ghiacciaio) esso è molto crepacciato e presenta una bella fronte glaciale solcata da azzurri seracchi iridescenti“. (Führer durch das Pusterthal u. die Dolomiten). Nell’agosto del 1888, uno dei ragazzi accompagnati dalla guida M. Innerkolfer, tragicamente perita nel crollo del ponte di neve sul crepaccio di quota 2700m, riferiva di essere caduta nel fondo, a ben 20 metri di profondità. Il 26 agosto 1933, il glaciologo Celli scriveva che il ghiacciaio “inizia al passo del Cristallo con larghezza di poco superiore al centinaio di metri e scende allargandosi man mano, contenuto tra le ripide pareti del Cristallo e del Popéna, sino al termine dello sperone N del Popéna, ove presenta una fronte di quasi 500m di larghezza“. Il ghiacciaio – aggiungeva Celli – “ha lunghezza nel senso del pendio di circa 1200m, larghezza media di circa 325m e inclinazione media di circa 25°. (…) In proiezione orizzontale la superficie risulta di 36 ettari. (…) La quota più bassa del ghiacciaio fu riscontrata a 2308m“. Celli, inoltre, misurò la fronte del lobo orientale a 2320m e quella del lobo occidentale a 2295m. A distanza di quasi vent’anni, il 30 agosto 1950, il glaciologo Nicoli rimisurava l’altitudine dei due lobi del ghiacchiaio: 2270m il lobo orientale e 2305m il lobo occidentale. Trascorsi trent’anni, nell’agosto del 1981, il glaciologo G. Perini registrava una quota minima del fronte a 2330m. Osservando la cartagrafia, la Tabacco ed. ’85 mostrava come il ghiacciaio, nella parte sommitale, si ergesse ancora fino il passo Cristallo, e come fosse costituito da tre elementi: un ghiacciaio principale, che sale al passo del Cristallo tra il sottogruppo del Piz Popéna e le cime del Cristallo; un grande nevaio, centrale, che scende dal c.d. canale nord, tra la vetta principale del Cristallo, 3205m, e la vetta del Cristallo di mezzo, 3154m; un terzo nevaio minore, che scende da un canalino tra la cima del Cristallo di mezzo e la cima Nord-Ovest, 2950m. “Nella parte mediana del ghiacciaio – osservava Perini nell’estate del ’85 – si notano numerosi crepacci aperti“. A distanza di pochi più di trent’anni dalle prime osservazioni del glaciologo Perini, molto è cambiato…Consultando la carta Tabacco ed. 2017, si osserva come il ghiacciaio si sia ritirato fino a quota 2400m, abbandonando a est, sotto le pendici del Popéna, un isolotto di ghiacciaio a sé stante (il distaccamento del lobo orientale era invero avvenuto già nel 2007). La parte sommitale non raggiunge più il passo del Cristallo ma è retrocessa di una trentina di metri circa. Il secondo nevaio, a ovest del canale nord, è scomparso. Nell’agosto del 2018, Perini misura una regressione di 14 metri del fronte rispetto al 2015. Scrive Perini: “Il ghiacciaio (…) è completamente asimmetrico, perché il lobo sinistro (…) è risalito ormai al di sopra del grande affioramento roccioso. (…) La fronte del ghiacciaio, in corrispondenza del lobo destro, scende ancora al di sotto dell’affioramento roccioso. Questa terminazione, coperta da uno strato spesso di detriti, è ancora parzialmente visibile grazie ad un leggero rigonfiamento“. Vediamo ora la carta Tabacco ed. 2019. Sebbene il fronte si attesti sempre intorno a quota 2400m, il ghiacciaio si è paurosamente ristretto in larghezza! Il nevaio del canale nord, inoltre, non è più segnato…
Ed ecco qui i rilevamenti svolti in questa spedizione ricognitiva! Si confermano le osservazioni del Perini in merito all’asimmetria del ghiacciaio. Difficile stabilire, tuttavia, dove inizi il vero ghiacciaio, a causa della presenza di detriti e di un nevaio, sulla fronte occidentale, già da quota 2350m. Nevaio, che peraltro, copre interamente il canale N tra la cima del Cristallo e il Cristallo di mezzo.
Si raggiunge quindi la base del massiccio affioramento roccioso che divide il ghiacciaio in due lobi. Il lobo orientale ha una fronte apparentemente netta e visibile, a quota 2390, in corrispondenza del menzionato affioramento. Fabio Cammelli, nella sua guida “Dolomiti – Monte Cristallo” datata 2010, suggerisce di attaccare il ghiacciaio dal lobo orientale (F. Cammelli, Dolomiti – Monte Cristallo. Collana 101% Vera Montagna, Ed. Paolo Beltrame, 2010, p. 198). (fig. 13a). Questa è infatti la traiettoria che, fin dalle prime esplorazioni del ghiacciaio, è stata sempre preferita. Così descriveva la scalata del ghiacciaio del Cristallo Theodor Wundt, nell’ultima decade dell’ottocento: “Dapprima abbiamo scavalcato l’estesa morena a sinistra del ghiacciaio fin quasi ai piedi delle rocce. Questa è coperta di macerie e difficile da scalare. Poi siamo saliti sul ghiaccio nudo tra i crepacci fino al ghiacciaio e l’abbiamo attraversato a sinistra, non lontano dalle falesie del Piz Popena“. (libera traduzione da Wanderungen in den Ampezzaner Dolomiten, 1893).
Oggi, il lobo occidentale ci appare più agevolmente percorribile. Favoriscono tale scelta anche le osservazioni delle immagini satellitari che evidenziano maggiore crepacciatura sul lobo orientale del ghiacciaio (vedi infra). Anche la traccia presente sulla cartografia suggerisce di attaccare il ghiacciaio dal lobo orientale dove, peraltro, non riscontriamo che qualche timida traccia di nevaio. Saliamo per diversi metri sulla roccia viva, segnata negli anni dall’azione erosiva del ghiacciaio; sulla sinistra, una sottile striscia di nevaio, e sulla destra un bel ruscello di acqua di fusione, al punto che inizio fortemente a dubitare vi possa essere alcunché di simile ad un ghiacciaio in questo tratto.
A quota 2490m, abbiamo completato la salita del lobo occidentale e ci troviamo a monte dell’affioramento roccioso, sul quale è ben visibile la linea di erosione svolta dal ghiacciaio nei tempi che furono. Tale linea ci permette di comprendere quanto alto fosse il ghiaccio rispetto ad oggi! Basti osservare le foto degli anni ’80 e ’90 per distinguere chiaramente come l’affioramento roccioso fungesse da “freno” di tutta la fronte del ghiacciaio.
A questo punto, troviamo una comoda placca coperta di detriti morenici a monte dell’enorme gradone centrale e ci prepariamo per la traversata del ghiacciaio e l’ascensione al passo. Non c’è traccia alcuna da seguire (e, d’altro canto, non abbiamo incontrato nessuno fino ad ora). Fabio Cammelli, nella sua guida “Dolomiti – Monte Cristallo” del 2010, scrive che il percorso da seguire “è soggetto di anno in anno a sensibili cambiamenti, a seconda del grado di innevamento e della presenzadi crepacci. Non solo, ma il rapido e progressivo scioglimento delle nevi nel corso dell’estate, fa sì che la scelta della via di salita debba essere adattata alla situazione oggettiva, che può variare anche di settimana in settimana”. (F. Cammelli, Dolomiti – Monte Cristallo. Collana 101% Vera Montagna, Ed. Paolo Beltrame, 2010, p. 198). Il ghiacciaio, comunque, è, per la maggior parte, coperto di neve e sale con un’inclinazione di circa 25°. I ramponi fanno quindi facilmente presa e la progressione risulta sicura. Decidiamo, quindi, di salire mantenendoci leggermente sulla destra. Dopo una cinquantina di metri, al centro, è possibile ammirare l’unica zona di ghiaccio vivo non coperta da neve.
Un possibile crepaccio longitudinale coperto dallo strato superficiale del nevaio… sarebbe molto utile capire quanta neve c’è sopra il ghiaccio vivo.
Si procede quindi deviando leggermente a sinistra, portandosi sopra l’area di ghiaccio vivo, a centro del ghiacciaio, e si guadagna rapidamente un piacevole quasi-pianoro che permette di rilassare le gambe. Qui si traversa leggermente in direzione E per entrare nel tratto apicale più ripido del ghiacciaio. Come si vedrà in fig. 22c, sconsiglio di procedere più alti verso la parete del Cristallo per la presenza di un paio di crepacci periferici che formano due grandi virgole nei pressi dello sperone roccioso. Nei pressi del restringimento del ghiacciaio, inoltre, dovrebbe trovarsi il famigerato crepaccio dove perì Innerkofler. In merito, Fabio Cammelli scrive che “intorno a quota 2700 si trova un lungo e profondo crepaccio trasversale: il ponte di neve che veniva usato una volta per superarlo, e il cui crollo fu la causa della tragedia in cui perse la vita la guida Michel Innerkofler, non esiste praticamente più, anche perché sia la larghezza che la lunghezza del crepaccio si sono ridotte in maniera significativa nel corso degli ultimi anni.” Cammelli suggerisce, quindi, di oltrepassare quest’area tenendosi il più possibile sulla sinistra (destra orografica del ghiacciaio) (F. Cammelli, Id., p. 198). Nel 1893, Theodor Wundt descriveva ben diversamente il “famigerato passaggio”: “come una fessura spalancata, copre l’intera larghezza del ghiacciaio. Il suo bordo dall’altro lato solleva il bordo da questo lato, e enormi blocchi di ghiaccio pendono qua e là. Quando lo superai, c’era in mezzo un grande ponte di neve che, se calpestato con attenzione, offriva una resistenza sufficiente al peso del corpo” (Id. p. 38).
L’ultimo tratto richiede maggiore impegno, sia a causa dell’incremento dell’inclinazione del pendio sia, soprattutto, al fatto che la parete del Piz Popéna è particolarmente vicina. Per questo, scelgo una traccia praticamente verticale, procedendo a fatica con passo incrociato. Tale strategia, certamente sfiancante, si rivela vincente. A breve, infatti, un masso di 10Kg rotola giù dal Piz Popéna e rimbalza ad una ventina di metri da me, per poi iniziare a rotolare sempre più veloce a valle. Fortuna che Paolo era quasi sulla mia linea e si limita a fare un paio di passi più verso il centro del pendio! La pendenza aumenta gradualmente appropinquandosi al passo, che sta esattamente sulla linea dell’orizzonte in fig. 22. E’ per questo che, fino all’ultimo, siamo rimasti sulla neve, dove i ramponi ci garantivano una presa sicura. Salendo sulla prima roccia che si incontra, infatti, per ogni passo che si compie, si scende di mezzo metro sulla ghiaia franosa.
Il passo è ormai raggiunto, a 2808m. Come si evince dalla foto, la terminale del ghiacciaio (o, piuttosto, il nevaio) ha inizio ad una ventina di metri a N del passo, subito sotto un salto di roccia alto un paio di metri. Il serracco evidenziato nell’aprile del 2015 dal CAI di Conegliano non esiste più. Suppongo che, in periodo primaverile, possa trovarsi in corrispondenza di quel salto di roccia, considerata l’improvvisa pendenza che assume il canalone. Ciò detto, è doveroso svolgere una breve considerazione finale sul tema. Percorrendo il ghiacciaio in agosto, abbiamo riscontrato la pressoché assenza di notevoli crepacci “visibili” ed una zona particolarmente limitata di ghiaccio vivo. Il famoso e profondo crepaccio descritto da W. Eckerth nel 1879 e poi da Cammelli nel 2010, a quota 2700, è sicuramente “ridimensionato” ma non è certo scomparso. Il ghiacciaio del Cristallo è quindi tutt’altro che estinto e non può essere traversato senza adottare le opportune cautele (cioè, come minimo, in cordata e con i ramponi). Come si può osservare dalle seguenti immagini satellitari scattate nel primo periodo autunnale, quando la neve dell’inverno precedente si è oramai sciolta, il ghiacciaio, al di sopra dell’affioramento roccioso, presenta evidenti crepacci, sia trasversali che longitudinali. La seconda foto comprova la conformazione dei crepacci nella prima parte del ghiacciaio. Probabilmente, non ne abbiamo riscontrato l’esistenza in quanto erano coperti da un compatto strato di neve, ma esistono visibili crepacci nell’area compresa tra il lobo orientale e il centro del ghiacciaio poco sopra l’affioramento roccioso. Da evitare quindi in ogni periodo dell’anno, a mio avviso, la traversata del lobo orientale e preferire, comunque, una traiettoria di salita a metà via tra le pareti del Cristallo e il centro del ghiacciaio.
Da non sottovalutare, infine, un paio di crepacci periferici nei pressi dell’imbocco dell’ultimo ripido e più stretto canalone, sotto le pareti del Cristallo e un altro a ridosso delle pareti del Piz Popena. È probabile che un unico grande crepaccio trasversale: quello a 2700 dove perse la vita Innerkofler. Si consiglia, quindi, di tenersi ben centrali all’entrata dell'”imbuto”.
Aggiornamento luglio 2021
La Campagna Glaciologica Italiana 2021 evidenzia una sostanziale espansione della finestra rocciosa che separa i due lobi ed un’evidente riduzione dello spessore del ghiacciaio. Il lobo sinistro, come già riscontrato negli anni precedenti, è a tal punto regredito che risulta ora essere “un settore laterale della fronte” (GFDQ, vol. 45, 2022). Documentazione fotografica per l’anno 2021 disponibile a seguito di ricognizione al seguente link.
Aggiornamento agosto 2022
L’innevamento superficiale è pressoché assente. Tale situazione permette di individuare distintamente i numerosi crepacci che solcano il ghiacciaio, compreso il famigerato crepaccio nei pressi dell’imbuto tra le pendici del Monte Cristallo e del Piz Popena.
Aggiornamento agosto 2023
L’amico Riccardo ha visitato il ghiacciaio, senza peraltro giungere al Passo del Cristallo a causa delle incessanti scariche che tormentavano la sezione apicale del ghiacciaio. Il ghiaccio appare irriconoscibile, quasi completamente coperto da detrito galleggiante.
Anche il livello dei ghiacci sul versante idrografico destro del ghiacciaio appare calato mettendo a confronto un immagine del 2020 con una del 2023.
La discesa dal passo Cristallo
Il passo Cristallo non è proprio un luogo comodo e ameno dove sostare ma piuttosto una ripida e stretta forcella, con un panorama spettacolare sul ghiacciaio del Cristallo a N e sul Sorapis a S. E pensare che, il 18 maggio 1916, le truppe italiane vi collocarono un presidio stabile, i cui resti sono ancora visibili sulle pendici del Piz Popéna!!! (A. Berti, 1915-1917 Guerra in Ampezzo e Cadore, Mursia, 1992, pag. 82).
I primi 50m di discesa verso il passo Tre Croci sono particolarmente impegnativi, a causa della marcata pendenza e del terreno friabile. Affrontando in salita l’ultimo tratto che conduce al passo del Cristallo, Leone Sinagalia scriveva, tra il 1893 e il 1895: “arriviamo a una gola nevosa che scende abbastanza ripida a valle, alla nostra sinistra: qui pieghiamo acutamente a Ovest (lasciando la via per il Passo, che è poco più alto) e attraversiamo diagonalmente la neve ghiacciata, incidendo qualche gradino per maggior sicurezza” (L. Sinigaglia, Ricordi di arrampicate nelle Dolomiti – 1893-1895, ed. La Cooperativa di Cortina, 2003, p. 47). A distanza di oltre un secolo, la neve ghiacciata in estate è ormai un ricordo sul versante meridionale del passo del Cristallo. La pendenza, però, si è ben mantenuta! È quindi consigliabile evitare una discesa (ed analogamente una salita) diretta. La soluzione adottata dal Sinigaglia a fine ottocento sembra invece tutt’ora la preferibile: si procede, quindi, per brevi salti di roccia, tenendo la destra, fino ad immettersi pochi metri sotto il passo nel canale detritico. Il canale deve essere traversato con passo fermo e sicuro, a causa del terreno particolarmente friabile, fino a portarsi sotto la parete del Piz Popena. Il rischio non è solo di scivolare quanto di essere investiti da rocce smosse da chi precede nella discesa.
Superato questo tratto insidioso, la traccia scende, segnalata da ometti, lungo il versante orientale della valle, sul comodo e piacevole ghiaione della Graa de Cirigières, per poi deviare in diagonale verso W, di nuovo sotto le pareti del Cristallo. Si traversa quindi agevolmente un facile canale scavato da una frana per rimontare il sentiero che costeggia il muro del Cristallo scendendo verso S.
A questo punto, ci si trova di fronte ad un bivio. A sinistra il sentiero si perde in una immensa frana; a destra il sentiero procede diritto, perdendosi tuttavia anche esso in un profondo canalone scavato da una più recente frana. Risulta quindi più sicuro risalire in diagonale portandosi alla base della parete, dove è possibile traversare il canale, peraltro non senza difficoltà. Le rocce sono infatti instabili ed il fondo particolarmente franoso. Tale passaggio richiede passo sicuro.
Ora le difficoltà sono finalmente superate e si scende ad ampie serpentine tra pini mughi e bosco fino al Passo Tre Croci.
Per una visione ancora più completa, vi invito a leggere anche la relazione del mio amico Paolo, grande compagno in questa traversata, e la rappresentazione virtuale dell’itinerario su mappa!
ENGLISH VERSIONE – PREMISE
I’ve been thinking over this trek for years: make the crossing of Val Fonda, starting from Ponte de la Marogna, rising all the Val Fonda, crossing the Ghiacciaio del Cristallo, up to Passo del Cristallo, 2808m, then down to passo Tre Croci through the steep Graa de Cirigières. On the other hand, my concern is that I can’t find any complete summer reviews about this trek. One of the main reason is that most of the trek is not on marked path but on a track, so people avoid it (I assume). Even the old guide books are quite evasive on that trail. “High difficult alpine crossing” says the Fabio Cammelli guide book edition ’94, considering the trail in the opposite direction. Online, there is just one very good summer review but it’s dated 2013 and the alpinisit did not reach the passo Cristallo. Needless to say that the uncertainity pertains to the snow condition of the glacier. Indeed, it must not been forgotten that the Cristallo glacier was one of the largest glacier of the Dolomites, with 35 hectares measured in 1957, and here, in August 1888, the renowned alpinist Michele Innerkolfer died falling in a crevesse after the collapse of the snow bridge (already crossed during the ascent with his clients few hours before) (fig. 0). During the summer of ’69, the CAI, division of Conegliano, pointed out “lateral crevasses, glacier openings and outcropping moraines”. In August ’81, the glaciologist G. Perini observed “more marked crevasses on the right side of the glacier“. The Camillo Berti guide book, ed. ’91, described a “frozen crevassed couloir requiring alpine experience and proper equipment“. The Cammelli guide book, ed. ’94, described the upper part of the glacier as “very steep and crevassed“. The ski-mountaineering Burra-Galante guide-book, ed. 2014, says that the glacier “shows crevasses, generally covered by avalanche snow accumulation“. The CAI of Conegliano highlights “a large serac” a few meters from passo Cristallo. Having said that, the curiosity is just too strong. So here we are with the skill friend and climbing partner Paolo, who promptly accepted to join me in this adventure!
DESCRIPTION
We leave the car at Ponte de la Marogna and we walk S, on a large stream bed, until we cross a typical canyon with steep walls and we enter the wild and remote val di Fonda (fig. 1). Then we go on, always S direction, slowly gaining elevation, crossing a couple of time the stream Fonda and climbing the valley on unsteady gravels and rocks, until the path disappears (fig. 2). The direction to follow is now a small cascade, to be approached from the western side of the valley. On the right of the cascade, a faded path rises among gravels and leaks of green grass (fig. 3). The path now goes straightly to W and then moves again to E. At this point, we are at the bottom of the large rock ledge that divides the val di Fonda from the Circo del Cristallo. The path is more and more uncertain till is completely deleted by landslides (fig. 4). It is now necessary to move on with steady steps on uncertain and unstable terrain toward the couloir where the stream Fonda drops. Helmets on, one of most difficult part of the trek starts now. “Turistically not easy” said the C. Berti guide-book, ed. ’91. My advice is to cross the stream and go on the left wal to climb the first meters (fig. 5 – 6). Then, it is better to cross again the stream and stay at the middle of the couloir, between the lively stream that drops on the left and more timid stream the comes down on the right side. Now we start climbing, trying to keep a line the nearest possible to the left stream. We climb trhee insidious rocky ledges, not because of the climbing difficulty but because the rock is very uncertain, collpasing at the minimum hand pressure. In addition, the rocks are wet and slippery so pay attention! NOTE: at the half of the climb, there is an equipped climbing rest point. In case you come downhill from the opposite direction, it seems to be smart to rappelling. Climbing from val di Fonda, as we do, the leader can fix a rope to secure the others who are in difficulties. On the other hand, I think it is possible to climb the right wall of the gully instead of entering it. That route seems to be more direct but it is surely more exposed (fig. 7 – 8). W. Eckert wrote in 1891: “These ledges can be overtaken thanks to a wooden staircase perfectly wedged in the rocks. Before the staircase was installed, the ledges could be overtaken only climbing at the side of the cascades; a 15 minutes climb very near to the bubbling water that was not among the nicest things in the cold mornings“. After 130 years, climbing this couloir happens the same way! Once the gully is passed, you enter in a enter a completely different scenario. The glacial cirque of Cristallo is lost of an eye, surrounded by the steep gravel of the Piz Popèna on the eastern side (fig 9). Now the imaginary line to follow is the canale N between the summit of Cristallo and Cristallo di mezzo, until a plateau located at 2300m of altitude. Here, you finally have a complete view of the Cristallo glacier, sorrounded by the steep passo Cristallo.
THE CRISTALLO GLACIER
A glacier is history, first of all. An history that I decided to learn before making this crossing, in order to better understand the changings that our mountains are facing. On July 1879, W. Eckerth described the glacier as it follows: “a large funnel-shaped hole lies at the middle of the glacier, likely hiding a crevasse full of snow; fifty meters up, two open crevasses showed a crack crossing all the glacier. At 2650 meters of altitude, separated by a snow bridge, there were other two crevasses, larger than the other mentioned before, that indicate a second very large crack which cuts across the glacier. These crevasses were 3m wide, 4m deep and 6/8m long. The lateral walls fall smooth and vertical to the bottom, which was covered by snow and apparently flat. Finally, at 2700m of altitude, where the glacier becomes suddenly steeper, an enormous crevasse appeared, and the snow never managed to fill it, not even during the most snowy years. (…) This crevasse was slightly wider than the former but very deeper and the walls did not fall vertically but inclined toward each other. The edge from the side of the Passo del Cristallo was higher 2 meters than the lower edge and there was no bridge to completely cross the hole. In order to pass it, it was necessary to get off from a small iced bridge, covered by snow, and cross the crack where, in the middle, there was another small bridge of snow that reaches the high edge” (fig. 0). In 1882, J. Rabl wrote: “because of the steepness of the layer where the glacier lies, it is full of crevasses and it shows a nice front crossed by light blue iridescent seracs“. (Führer durch das Pusterthal u. die Dolomiten). On August 1888, the young man fallen in the crevasse together with his guide, M. Innerkolfer, who tragically died, said he felt 20 for meters down in the crevasse. On August 26, 1933, the glaciologist Celli wrote that the Cristallo glacier “starts at passo del Cristallo, with a width of more then 100m and comes down the valley broadening, between the steep walls of the Cristallo and Popéna, till the end of the N ridge of the Popéna, where it has a front of almost 500m width“. The glacier – he said “has a lenght of around 1200m, average width of around 325m and inclination of around 25° (…) On horizontal proiection, the area is around 36 hectares (…) The lowest front stays at 2308m of altitude“. In particular, Celli measured the eastern lobe front at 2320m of altitude and the western one at 2295. After almost twenty years, the glaciologist Nicoli measured the altitude of the lobes of the glacier again, on August 30, 1950: 2270m the eastern lobe and 2305m the western lobe. After thirty years, the glaciologist G. Perini measured the minimum front altitude of the glacier at 2330m of altitude, in August ’81. The Tabacco map, ed. ’85, showed that the upper part of the glacier covered the passo Cristallo and the glacier was made by three elements: a principal glacier, who raised between the Piz Popéna and the Cristallo peaks; one steep snowfield, coming down through the so called “Canale Nord”, between the Cristallo summit, 3205m, and the Cristallo di mezzo summit, 3154m; another smaller snowfield, descending between the Cristallo di mezzo summit and the North-West summit. “In the median area of the glacier – write Perini in the summer of ’85 – there are several open crevasses“. Again, after more than 30 years, a lot has changed. Checking the Tabacco map, ed. 2017, it is possible to see that the front has regressed around 2400m of altitude, leaving East, under the Popéna walls, an isolated island of ice (actually the separation of the eastern lobe happened in 2007). The upper part doesn’t reach the passo Cristallo anymore but is regressed of around 30m. The first snowfield, located west of Canale Nord, has disappeared. In August 2018, the glaciologist Perini measured a regression of the front of around 14m compared to 2015. “The glacier (…) is completely asymmetric, because the left lobe is raised up the big rocky outcrop. (…) The front of the right lobe still goes down the rocky outcrop. This front, covered by a thick lay of debris, is still visible thanks to a slight bulge“. Let’s see now the Tabacco map, ed. 2019. Even though the front stays around the 2400m of altitude, the glacier has dramatically narrowed! Then, the snowfield located in Canale Nord it is not shown anymore… And now we are: today, 8 August 2020, with the skilled climbing partner Paolo, who promptely accepted to join me in this adventure! So let’s see the measures made during this expedition! We confirm the data gathered by Perini regarding the asymmetry of the glacier. Unfortunately, it seems quite difficult to understand where the glacier starts, because of a lot of snowfields and debris above it. In particular, there is a large snowfield which maybe covers the western lobe and its front stays at 2350m of altitude. In addition, this snowfield also completely covers the couloir canale N, between the Cristallo and Cristallo di mezzo. Is any glacier still over there, under the snow??? We really don’t know! (fig. 12 – 13). Then we reach the bottom of the massive rock which separates the glacier into two lobes. The eastern lobe has a front which is aupposedly neat and visible, at 2390m of altitude. We decide to climb the right side on the western lobe, as suggested by the Tabacco map. Over there, there is some very shy trace of snow. We climb for a few meters on the vivid rock, marked by the glacier erosion during the years. I deeply doubt that somekind of glacier can stay under my feet.. (fig. 14 – 15 – 16). At 2490m of altitude, we have completely crossed the western lobe and we are at the top of the big rock that divide the glacier. It is well visible a line on the rock where the glacier used to hit and erode over the past years. It is incredible to realize how high was the eight of the glacier compared to nowadays!!! (fig. 17) Then we find an easy plaque to sit and we prepare the equipment to cross the glacier. The ice is covered by snow and the glacier has an inclination of around 25°. The crampons have a great grip and the climb is pretty safe and easy. After fifty meters, it is possible to see the only uncovered living ice of the glacier (fig. 18 – 19). A possible crevasse (fig. 20). We turn slightly left to the middle of the valley, at the top of the iced bulge, entering a less steep area where we can relax our legs. Here, we cross E in order to face the last steeper part of the glacier (fig. 21). This last part is more demanding, both because of the high steep and, above all, because of the Piz Popéna wall which is very near. That is why I choose to prefer a central line, going ahead with a difficult crossed step. This strategy, which is surely very tiring, reveals to be the best. Indeed, a 10kg rock falls down from the Popéna out of the blue, twenty meters far from me and quickly flies down the glacier. Lucky Paolo who is more or less in my line and he just walks two steps to the middle of the glacier! (fig. 21 – 22). The passo is now reached, at 2808m. As we see in the picture, the glacier (or the snowfield) starts just thirty meters N down the passo Cristallo, behind a 2m eight cliff. The serac highlighted by the CAI, Conegliano, in April 2015 does not exist anymore. It is likely that, during spring, the serac could be over that cliff, considering the sudden steepness that the gully has. Having said that, a brief comment must be done. We haven’t found any important visible crevasses and we have seen just a limited small area of lively ice, crossing the glacier in August. The famous and deep crevasse described by W. Eckerth in 1879 at 2700 of altitude seems to be disappeared. Anyway, his doesn’t mean that the glacier can be safely crossed without the due diligence (i.e. securing themselves with a rope). Looking at the following satellite pictures taken in autumn (fig. 22a – 22b), I think, when the summer snow is melted, it is possible to easily see several crevasses, around the big rocks that divides the glacier in two lobes. The second picture confirms the shape of the crevasses in the first part of the glacier. It is likely that we haven’t found them since they are covered by the snow. Here the location of the most important ones: 46.579911, 12.205201; 46.579772, 12.205146; 46.579286, 12.204673; 46.579421, 12.204602; 46.579397, 12.204429; 46.579728, 12.205755. So, in conclusion, I would never suggest to cross the eastern lobe and, in any case, I would always prefer to keep an imaginary line in the middle between the Cristallo wall and the centre of the glacier. In addition, don’t forget a couple of two crevasses which stay near the restriction that leads to the upper part of the glacier: they are just under the rocks of the Cristallo (fig. 22c)
THE DESCENT FROM PASSO CRISTALLO
The passo Cristallo is not the easiest and best place to stay to relax but it is more similar to a steep and thin fork, with a beautiful N view of the Cristallo glacier and a S view of the Sorapis (fig. 23 – 24 – 25). The first fifty meters downhill from passo Cristallo are very challenging. The descent first occurs among moderate rock ledges, then crossing a very steep gully of crumbling rotten rocks, getting to the wall of the Piz Popéna. The risk is not only to slip down but to be hit by rocks moved from others in the upper part of the gully (fig. 26). Once this dangerous part is passed, the path goes down, following some “ometti”, toward the eastern side of the valley. Then, it turns again right, toward the Cristallo, crossing all the valley on the easy “ghiaione” of the Graa de Cirigières. The path now easily crosses a gully made by a landslide and the runs along the wall of the Cristallo (fig. 27). We now reach a junction: on the left, the path suddenly disappears into an enormous and tremendous landslide. We should take the right path but, again, it disappears into a more recent landslide. The solution is now to go up a few meters, next to the bottom of the Cristallo wall and try to cross the landslide on a very crumbling and unsafe terrain. This action requires steady step and concentration (fig. 28). The risks are now overtaken and the track goes downhill in broad serpentines, among mountain pines and the wood.