DIFFICOLTÀ COMPLESSIVA: EEA (solo tre brevi passaggi sono classificabili come EE; il resto dell’itinerario può essere considerato E. L’attrezzatura è facoltativa; sebbene gli accessi al canalone principale siano ora assistiti da corde, un escursionista esperto può semplicemente tenere la corda a mano per aiutarsi nella salita/discesa)
DISTANZA: 6,5 km – DURATA: 4.00 h – DSL: 450m D+
DATA: 3 e 30 settembre 2023 (con terza uscita di rifinitura in data 15 ottobre 2023)
Premesse
Un luogo assume significato in funzione della sua memoria. Ciò che agli occhi si profila come un’anonima sequenza di bosco, baranci e canaloni, di per sé priva di inedito pregio e bellezza, si riempie di contenuto rievocando le gesta ivi compiute a distanza di un secolo. E questo – lo valuterà poi il lettore – è quanto spero sia accaduto con il lavoro di ri-apertura del sentiero dei Volontari Alpini del Cadore e degli Alpini del Fenestrelle.
Il tutto è nato con la lettura del libro di Dino Colli et alia, “Itinerari segreti della Grande Guerra nelle Dolomiti”, vol. III, 2005, Guide Gaspari. Più precisamente, mi sono imbattuto nel capitolo, a mano di Giorgio Tosato, dedicato alla scomparsa traccia battezzata “Sentiero dei Volontari e degli Alpini del Fenestrelle”. Qui ho trovato due mappe, la prima evidentemente stilata in tempo di guerra. Eccole a seguire.
Come fare a resistere? Due indizi così preziosi… la seconda mappa, in particolare, così chiara e ben definita… Ho quindi recuperato una recente mappa cartacea e mi sono messo con pazienza e cura a disegnare la traccia del sentiero scomparso. L’itinerario che ne è risultato è un sentiero relativamente corto, circa 3 km, che si sviluppa sulla sezione meridionale del Forame. Il Forame, come lo descrive Antonio Berti, è
l’ultima propaggine nord del contrafforte roccioso nord-ovest del Gruppo del Cristallo; è una propaggine quasi tutta rocciosa e sabbiosa, bucherellata e frantumata per se stessa e per effetto del martellamento di fucili, mitragliatrici e cannoni
A. Berti, 1915-1917 Guerra in Ampezzo e Cadore, Mursia, 1992, pag. 85
Non a caso, “foràme” significa proprio burrone, fenditura rocciosa, ad indicare i vari impluvi e canaloni che solcano queste pendici. Da notare peraltro che, agli inizi del ventesimo secolo, i trinceramenti collocati sul Forame, ai piedi del Col dei Stombe, erano chiamati le “trincee di S. Blasius”, atteso che l’area sottostante il Rif. Ospitale porta ancora oggi il nome di San Biagio.
La più completa fonte storica che mi ha permesso di ricostruire vicende ed aneddoti della guerra nel Forame sono le narrazioni dell’alpino Edgardo Rossaro, pubblicate su “Con gli alpini in guerra sulle Dolomiti”, Mursia, 2018. A partire dall’estate 1916, in particolare, il territorio del Forame fu presidiato dal Battaglione Alpini Fenestrelle e dal Corpo Volontari Alpini del Cadore, comandato dal capitano Celso Coletti. Rossaro, arruolatosi tra i Volontari Alpini nel 1914, specificava che
il Corpo o Reparto Volontari Alpini del Cadore esisteva da anni, prima della guerra. Questo corpo, fondato dal maggiore Edoardo Coletti, era paragonabile ai Reparti Premilitari degli anni Trenta. Era nato per generazione spontanea in paesi di frontiera, dove il contatto con il secolare nemico e il ricordo delle antiche lotte sempre vivo nelle popolazioni, mantenevano uno stato di incompatibilità con il vicino. (…) I Volontari Alpini non vestivano la divisa né portavano stellette, ma li distingueva il solo cappello, di cui erano orgogliosi.
Successivamente, Antonio Berti definiva i Volontari come
una compagnia di autentici volontari, reclutati tra i montanari delle valli cadorine, originariamente destinati al servizio territoriale, ma, fin dal luglio 1915, schieratisi in prima linea e già provati da aspri combattimenti sul Peralba, a Passo Sesis, in Val Visdende.
In occasione della presente esplorazione, dapprima insieme al Gila, amico ed appassionato di storia militare, successivamente con gli storici compagni Paolo e Riccardo, cercheremo di individuare il sentiero che traversava il Forame, strategico passaggio della fanteria italiana dalle retrovie di Ponte Stombi alla prima linea delle Punte del Forame. Come si leggerà a breve, in occasione della prima uscita, abbiamo sì trovato il sentiero ma l’esplorazione si è fermata a metà esatta dell’itinerario, a causa di un ostacolo che abbiamo reputato “temporaneamente insuperabile”: l’entrata nel profondo canalone che taglia drasticamente i verdi costoni solcati dal sentiero. È servita una seconda uscita, armati di corde, piccolo seghetto per le situazioni disperate e grande pazienza per costruire i vari ometti, per completare nella sua interezza il sentiero e renderlo nuovamente praticabile all’escursionista che gradisca riscoprire un luogo profondamente impregnato di storia ed abbandonato da oltre un secolo. Infine, con una terza uscita, abbiamo rifinito tutto quello che ci era prima sfuggito, raccogliendo parte dei reperti e dello scatolame e ponendolo inequivocabilmente a mo’ di ometto.
Relazione dell’itinerario(I° tentativo)
Lasciata l’auto nei pressi del Rif. Ospitale, imbocchiamo il sentiero CAI n. 203, che inizia qualche metro a valle della passeggiata della Ferrovia, traversato il Rio Felizón. Il sentiero prende quota e devia a breve verso SE, costeggiando la ripidissima forra del Rio Bosco, all’imbocco della Val Grande. Si procede sino a trovare una piccola radura nella quale si innesta, sulla sinistra, il sentiero che conduce alla ferrata Ivano Dibona. Si prende quindi questo sentiero e lo si segue fino a quando il sentiero svolge una brusca curva sulla destra. Il sentiero dei Volontari e degli Alpini del Fenestrelle parte esattamente da questa curva a gomito (fig. 1). Trattasi di un’esile traccia nel bosco (fig. 2) che, attestandosi a quota 1750 ca, si spiega sulle pendici del Col dei Stombe (2013m), diventando a tratti più nitida laddove si traversano radure più spoglie di vegetazione (fig. 3). L’itinerario segue dapprima la direzione NO, per poi piegare verso E. Se talvolta la traccia tende a perdersi, ritroviamo la via rinvenendo antichi tagli di radici e baranci, ormai secchi e pietrificati (fig. 4).
Si prosegue ora in direzione E, spesso aderenti agli speroni rocciosi alla base del Col dei Stombe (fig. 5), iniziando a traversare una serie di canali. Quattro canali, per la precisione, nei quali entriamo ed usciamo senza alcuna difficoltà, incedendo su un terreno sicuro senza mai perdere la traccia.
Là dove la traccia si presenta ambigua, dividendosi, identifichiamo la corretta via, chiudendo con sassi l’imbocco errato e costruendo un ometto sul sentiero da tenere (fig. 6). Superati i canali, si giunge nei pressi di un trinceramento scavato nella roccia (fig. 7) nei cui pressi giacciono, inviolati, piccoli depositi di residuati della prima guerra mondiale (scarpe, gavette, scatolette di cibo, schegge di granate, proiettili… e tanto altro… (fig. 8 e 9).
Raccogliamo parte del materiale (lavoro questo svolto specialmente in occasione della terza uscita) (fig. 10) e lo poniamo a mo’ di ometto lungo il sentiero. Così i resti di una gavetta, di una stufa, di una vecchia pentola smaltata, le schegge di granata, le suole ed i tubi delle tende diventano utili indizi là dove la traccia tende a diventare incerta (fig. 11, 12, 13, 14).
Siamo ora giunti indicativamente a metà del sentiero, in corrispondenza di un albero schiantato alla base della cui zolla rinveniamo una moltitudine di scatolame; da qui in poi, la via è sbarrata da un fitto intrigo di baranci (fig. 11). Dalle trincee di cui al canalino prativo dove ci troviamo in presenza dell’albero schiantato, la pendenza del terreno è aumentata. Sopra la nostra testa, incombono oltre trecento metri di ulteriore montagna. Dovrebbe essere proprio in questa sezione del sentiero che, in data 2 marzo 1916, perdettero la vita 6 soldati del 92° Regg. Fanteria 1° compagnia, travolti da una valanga staccatasi alle ore 22.00. (fonte: pietrigrandeguerra.it).
In occasione di questa prima uscita, non abbiamo individuato il corretto passaggio per la prosecuzione del sentiero. A seguito di un faticoso ed inutile ravanage, abbiamo penetrato il fitto muro di mughi esattamente all’altezza dell’albero schiantato, giungendo nel canalone principale sul ciglio di una parete di oltre una decina di metri, a picco. A posteriori, come si descriverà infra, dall’albero schiantato la traccia sale di pochi metri dentro il canale prativo. Abbiamo collocato un vecchio tubo di stufa là dove il sentiero traversa i baranci e praticato qualche taglio essenziale, permettendo un più comodo accesso al canalone. Onde evitare di farsi male – il canalone è profondo, con cigli ripidi e dirupati – è opportuno individuarne con precisone l’accesso, entrando tra il tubo di stufa ed un taglio praticato ad hoc (fig. 16)
Relazione dell’itinerario(II° tentativo)
È trascorso poco meno di un mese ed eccoci nuovamente alle pendici del Forame, determinati a concludere quanto rimasto in sospeso. Oggi mi accompagnano gli amici Paolo e Riccardo; percepisco il loro entusiasmo e già dai primi passi realizzo che, costi quel che costi, oggi l’uscita non potrà dirsi terminata fino a che non avremo completato la ri-apertura del Sentiero dei Volontari Alpini del Cadore e degli Alpini del Fenestrelle. Ho riflettuto molto sulla strategia da adottare in questa seconda uscita ed ho concluso che la soluzione più saggia sia trovare ed imboccare il sentiero da N, sul versante del rio Felizòn, fino ricongiungerci là dove ci siamo fermati con il Gila un mese fa. Prendiamo quindi la mulattiera ai piedi del rif. Ospitale, tenendo la sinistra al bivio, così costeggiando la recinzione dell’acquedotto. Di lì a breve, deviamo verso E, sulla dx, entrando nel bosco senza traccia obbligata. In ordine sparso battiamo il bosco fino a che troviamo la traccia che risale, coincidente con il “camminamento perimetrale” riportato nella carta della prima guerra. La traccia risale gradualmente, giungendo pressoché sul margine del precipizio che sovrasta il greto del rio Felizòn (fig. 1), fino ad incrociare un largo valloncello detritico (fig. 2) entro cui ci immettiamo (fig. 3).
Risaliamo il greto ed iniziamo la ricerca di un qualsiasi indizio che ci lasci intuire l’attacco del sentiero abbandonato, che traversava in origine il valloncello su cui ci troviamo. Questi valloncelli, strette aperture nel bosco, rappresentavano gli obiettivi preferiti dall’artiglieria austriaca; i soldati italiani, infatti, nel percorrere il sentiero che stiamo oggi cercando, erano costretti ad abbandonare il riparo dei fitti mughi per passare da un ciglio all’altro dei canaloni, così esponendosi al tiro del nemico. Ecco un colpo caduto poche decine di metri più a monte del nostro sentiero (fig. 4); intorno, alcuni shrapnel ci ricordano quanto distruttivi fossero questi proiettili.
È probabilmente proprio nell’attraversamento di questo valloncello che si consumarono i tragici minuti descritti da Edgardo Rossaro:
Avevamo già superato il lungo camminamento, quando, a un alt, il tenente mi fece chiamare: si trattava di fare un piccolo disegno per un capitano, uno schizzo planimetrico delle posizioni avanzate. Affare di mezz’ora. Obiettai: «Ma come farò a raggiungerli? È quasi buio e io oltre il 3° posto di collegamento non conosco la strada». «Le manderò incontro un compagno pratico.» Infatti, prima ancora del 3° collegamento, trovai Da Rin che mi veniva incontro. Era ormai buio fitto; piovigginava. Ma il buon amico si appese alla schiena un fazzoletto bianco, perché potessi, seguendo quel segno più chiaro, trovare la direzione. «Sta attento, ora in questa valletta, perché fanno un continuo tiro di sbarramento. Segui la linea dei sassi che si vede più chiara, e parti di corsa subito dopo arrivata una granata. Andiamo uno per volta per offrire minor bersaglio. Per fortuna il punto pericoloso è breve». Proprio davanti a noi una granata scoppiò con uno schianto infernale e illuminò di luce livida la stretta fenditura tra due massicci. Doveva certo essere un grosso calibro. S’era appena spenta la fiammata che Da Rin disparve. «Ora tocca a me.» L’altro colpo non si fece attendere più di un minuto, il tempo per passare di corsa. Appena tornò il buio, dopo la fiammata, mi slanciai, purtroppo però senza vedere, ché il bagliore improvviso mi aveva del tutto accecato; cercai di andare diritto davanti a me, ma d’un tratto inciampai e prima che potessi rendermi conto, mi trovai come chiuso in una morsa, bocconi dentro la fenditura di una roccia. La situazione non era affatto piacevole: tentai di tirarmi fuori per fuggire, ma ero rimasto come avvitato in quella crepa, il sacco ci si’era incastrato e per quanto mi sforzassi non riuscivo più a cavarmi fuori. Sentivo la voce di Da Rin che gridava: «Presto Rossaro!» Spingevo con la forza della disperazione, puntando le mani e le ginocchia, quando intesi un sibilo terribile, poi uno schianto che fece tremare il sasso: mi trovai come avvolto da una vampata e sentii un terribile urto contro la persona (ma più grave al ventre e alla testa); avevo la sensazione di aver sfondate le orecchie e di essere ferito all’addome. Non so come fu che mi alzai, senza altra fatica e stavo fuori della buca a mezzo il corpo, cercando di sollevarmi, quando sentii che qualcuno mi toccava. Davanti a me stava Da Rin. Egli agguantò il mio fucile e presomi per un braccio mi trascinò via di corsa. Dietro un sasso si fermò: mi fece accucciare e, col viso contro il mio, doveva gridare, perché muoveva energicamente la bocca, ma io non sentivo nulla. A ogni modo intesi il gesto che doveva preoccuparsi di eventuali ferite. Portai le mani alla testa e al ventre; ma nulla di bagnato attestava sangue; dovetti costatare che non avevo alcuna ferita. Solamente ero rimasto sordo. La granata era scoppiata sull’orlo della spaccatura, ma, come sempre, l’esplosione avvenendo in altezza, mi lasciò incolume pure dandomi un fortissimo contraccolpo per lo spostamento d’aria.
Edgardo Rossaro, Id., pag. 114-115.
Dopo un inutile tribolare su e giù per il canalone, troviamo finalmente il sentiero (fig. 5)! Impossibile vederlo passandovi a fianco: solo da una posizione più a monte dentro il canalone riesco ad individuarne i vaghi profili celati da fitti baranci. Inizia quindi l’opera di ri-apertura, consistente nella costruzione di qualche evidente ometto (fig. 6), nella rimozione di pesanti macigni pericolanti (fig. 7), nel raro e centellinato taglio di qualche impenetrabile ramo di mugo (fig. 8), che occlude completamente il sentiero impendendo il transito.
Il sentiero si addentra nel bosco e la traccia, sebbene vaga, si intuisce abbastanza chiaramente. Rinveniamo innumerevoli tagli su antichi mughi pietrificati, praticati probabilmente durante la prima guerra mondiale, ed altri relativamente più recenti, evidentemente praticati da qualche cultore di questi luoghi che ci ha preceduto negli anni. Là dove troviamo qualche pietra nel bosco, componiamo un ometto (fig. 9).
Si giunge ora in un’area dove il bosco diviene più rado ed i mughi diminuiscono. La traccia tende a scomparire, coperta dalla folta erba. Il riferimento da scovare è un isolato macigno arenato sul tronco di un abete (fig. 10); si tratta di tenersi almeno una ventina di metri di dislivello più alti, mirando a monte, senza peraltro raggiungerla, una isolata parete rocciosa.
La traccia guadagna gradualmente quota e raggiunge un antico tronco morto, avvolto da filo spinato (fig. 11), per poi svolgere un netto zig-zag in salita (fig. 12).
Iniziano ora gli attraversamenti dei vari canaloni, alcuni più stretti altri più ripidi ed ampi (fig. 13, 14 e 15). In ogni caso, il sentiero guadagna ulteriormente quota, fino ad attestarsi intorno a 1800m. Ne deriva che tutti gli attraversamenti avvengono quasi a ridosso della parete rocciosa, nelle sezioni apicali dei canaloni… e, man mano che proseguiamo, ci imbattiamo in un numero sempre maggiore di resti della grande guerra: una scala (fig. 16), filo spinato, scarpe (fig. 17), resti di piatti, scatolame vario che, raccolto da terra, farà compagnia ai nostri ometti (fig. 18).
Dopo questo facile saliscendi tra i vari canali minori, si arriva finalmente al margine del canalone dove, un mese fa, mi ero dovuto fermare con il Gila. La prima scoperta è che il sentiero transita almeno un centinaio di metri più in alto rispetto dove, un mese fa, ero giunto. La seconda scoperta è che, con gran sorpresa, troviamo una corda, oramai dura come il legno, assicurata intorno al solido tronco di un abete (fig. 19). Qualcuno, quindi, è passato da queste parti, apparentemente negli ultimi trenta/quarant’anni. Dei boscaioli? Dei cacciatori? L’autore Giorgio Tosato? Qualcuno che, come noi, amava questi luoghi e voleva contribuire a mantenerne viva la memoria? Ringraziamo questo nostro predecessore, verosimilmente autore anche dei vari tagli di baranci (vedasi ai piedi del tronco), provvidenziali per il nostro orientamento, e fruiamo volentieri della corda per calarci in sicurezza dentro il profondo canale (fig. 20 e 21).
Giunti alla base dell’angusto canalone, si identifica con chiarezza la traccia, scavata con gli scarponi sul ripido pendio detritico, fino a trovare, sull’opposto versante, dieci metri di corda, allestita con comodi anelli per issarsi, che abbiamo assicurato ad un abete al fine di rimontare sul ripido e franoso ciglio (fig. 22, 23, 24).
Abbiamo quindi superato il canalone che un mese fa ci aveva bloccati nel senso opposto. Ora procediamo per pochi metri in mezzo ai baranci e spuntiamo in una radura, una decina di metri più in alto rispetto all’albero schiantato, punto d’arrivo della precedente esplorazione. Per la prosecuzione dell’itinerario, si faccia riferimento alla prima relazione, supra.
Note conclusive
Giorgio Tosato, autore del capitolo dedicato al sentiero in questione nel libro Itinerari Segreti della Grande Guerra nelle Dolomiti, già citato, concludeva la sua relazione con il seguente auspicio:
l’itinerario sommariamente descritto meriterebbe di essere ripristinato mediante il taglio dei mughi ed eventualmente con qualche opera di sicurezza negli attraversamenti dei valloncelli, diventando “il sentiero dei Volontari e degli Alpini del Fenestrelle” a ricordo dei sacrifici compiuti da questi uomini.
Con profondo orgoglio ed emozione, penso che la speranza dell’autore possa dirsi oggi esaudita. Il Sentiero dei Volontari Alpini del Cadore e degli Alpini del Battaglione Fenestrelle è da oggi finalmente percorribile, senza troppe difficoltà. Una serie di ometti sono stati collocati per permettere all’escursionista di non smarrire la via; una corda è stata lasciata sul ciglio ove non v’era agevolazione alcuna per entrare/uscire dal canalone; qualche raro taglio è stato praticato per permettere l’incedere là dove la natura aveva completamente coperto la traccia. Resta inteso che la traccia non è un sentiero CAI e non presenta tutta una serie di “garanzie”, in primis manutentive, che un sentiero CAI offre. Spesso è richiesto all’escursionista di aguzzare l’ingegno per indovinare dove la traccia si sviluppa, specie nei tratti ove il bosco è più rado ed il terreno erboso. Da qui, anche, la scelta di definirlo EE e non E, dovendo l’escursionista avere una minima capacità di movimento ed orientamento fuori da una nitida traccia.
Per completezza, come di consueto, rimando anche alla relazione dell’amico Paolo, che potrà offrire un ulteriore punto di vista!
Ringrazio infine la giornalista del Il Dolomiti, Sara De Pascale, per la gradita intervista e per l’articolo pubblicato!
Quante volte ho fissato la Croda Le Bance! Tanto, nelle esplorazioni della Val Cristallino quanto nel faticoso andirivieni lungo l’omonima Val de Le Bance! Tuttavia, le sue dimensioni “contenute” e la sua modesta altitudine hanno contribuito a porre la Croda Le Bance (talvolta anche “Le Banche”) in fondo alle mie priorità e, tutt’oggi, riservo a questo rilievo una giornata di meteo incerto, nella quale sarà meglio essere di ritorno nelle prime ore del pomeriggio. Eppure, la Croda Le Bance non è solo un banale spartiacque tra le due citati valli. Sebbene sotto un profilo geomorfologico appaia in tutto e per tutto come l’appendice settentrionale del Cristallino di Misurina, la Croda Le Bance gode invece di una notorietà storica non meno rilevante rispetto alle più alte cime circostanti. Il versante orientale, in particolare, ha ospitato le linee del fronte italiano durante la Prima Guerra Mondiale e la traccia che andremo a percorrere oggi dovrebbe coincidere con la cengia percorsa dai soldati italiani per congiungere le postazioni di guerra collocate nella forcella che separa Val de Le Bance da Val Cristallino con gli avamposti più settentrionali. Quanto alla salita della Croda Le Bance non è, come per molte esplorazioni Windchili, un itinerario inedito. È certamente un’escursione selvaggia in ambiente remoto ma più ometti indicano la traccia da percorrere. Non solo; la vetta ospita addirittura un “libro di vetta”, o meglio un barattolo di plastica che contiene un umido blocco note, le cui prime compilazioni risalgono al 1997. Anche in letteratura, la salita della Croda Le Bance trova il suo spazio, seppure modesto. In primis, ne parla Luca Visentini, nel suo ormai introvabile “Gruppo del Cristallo”. Ne parla poi un articolo pubblicato su Le Dolomiti Bellunesi, a mano di Roberto Vecellio, intitolato “Esplorazioni in Val di Landro e in Val Popena”. Infine, l’amico Riccardo, compagno di questa avventura, ha già salito la cima nel 2015. Per rendere più originale l’impresa, quindi, abbiamo deciso di compiere il giro ad anello della Croda Le Bance, traversando la forcella che separa Val de Le Bance dalla Val Cristallino. Il transito di tale forcella, apparentemente non più praticato da decenni, doveva invece risultare parte dell’itinerario classico di salita della cima del Cristallino di Misurina, già da fine ottocento. La via di ascesa più semplice e logica, infatti, prima che i soldati solcassero le pareti che si affacciano sulla Val de Le Barache di comode cenge nel corso del primo conflitto mondiale, era la salita dalla Val Cristallino per poi “scavallare” nella parte sommitale della Val de Le Bance, transitando appunto per la forcella in questione. Nel 1879, W. Eckerth scriveva
«chi vuol salire in vetta al Cristallino ha a disposizione due vie che dapprima portano insieme, su per la Val Cristallino, ad una sella profondamente incassata nella dorsale principale del Cristallino, fra il “Kofl” (ndr: Cima Le Bance) che costituisce l’ultimo rilievo a nord di questa dorsale e la cima Cristallino. All’inizio estate, di solito, si scavalca questa sella e si preferisce continuare per la Val Banche che in questa stagione, per lo più, è ancora piena di neve; a metà estate e in autunno, invece, quando la Val Banche è ormai senza neve fino in alto e perciò difficile da percorrere, si sale in cima direttamente dalla sella per il ripido versante nord delle rocce sommitali».
W. Eckerth, Il Gruppo del Monte Cristallo, 1891, Ed. La Cooperativa di Cortina, 1989
E pure Ugo di Vallepiana:
«Dall’inizio della Val Fonda, piegare a S e per cespugli portarsi nella Val Cristallina, risalirla raggiungendo una profonda insellatura aprentesi nella cresta N del Monte Cristallino».
Ugo di Vallepiana, Dolomiti di Cortina d’Ampezzo dal Cristallo per le Tofane alla Croda da Lago, Guide del CAI, pag. 17, 1925.
Oggi la situazione appare ben mutata: la Val Cristallino è divenuta una valle chiusa, totalmente selvaggia, sui cui ghiaioni non si può ormai scorgere alcuna traccia se non qualche vago e raro segno nella sezione basale, sul versante idrografico sinistro. La Val de Le Bance, di contro, appare ben solcata da innumerevoli tracce, ben distinte, ed il suo attraversamento rappresenta di certo la seconda soluzione di ascesa del Cristallino di Misurina, dopo la salita per la Val de Le Barache.
Relazione dell’itinerario
Abbandonata l’auto nei pressi della curva di ingresso alla Val Popena, si imbocca il sentiero CAI n. 222 e lo si segue per pochi minuti. Si giunge in una piccola radura prativa, ove sulla destra si inserisce, distintamente, una traccia (fig. 1). La si imbocca, piegando verso O, ed in breve ci si imbatte in un inaspettato cartello di fresca foggia che indica, sulla destra, la Croda de Le Bance. Siamo sorpresi… non era una cima remota e poco frequentata? Chi ha infisso questi cartelli? Un po’ sbigottiti, percorriamo la traccia in mezzo al bosco, fino a giungere ad un nuovo cartello che, sulla sinistra, segnala nuovamente la deviazione per la Croda de Le Bance (fig. 2). Una cosa è certa: oggi non ci perderemo!
Si sale ora, apparentemente all’interno del solco di una trincea, e si prende quota fino ad uscire dal bosco e trovarsi nella Val de Le Bance. La traccia è sempre piuttosto chiara e si guadagna ulteriormente quota, sul versante idrografico destro della valle, incedendo ora sulle ghiaie, fino a superare la quota apicale della macchia di baranci che colora il centro della sezione di base della Val de Le Bance. Si traversa quindi la valle, spostandosi sul versante orografico sinistro, alla base della Croda de Le Bance. A questo punto, si può scegliere di attaccare subito il ripido canale di ghiaie che scende subito a S della Croda Le Bance oppure, come pare consigliabile, guadagnare ulteriormente quota procedendo tra baranci e comode radure prative, sulla sinistra del ghiaione, per poi traversarlo e giungere alla parete della Croda Le Bance, da cui dipartono più cenge (fig. 3). Qui è facile sbagliare; la cengia corretta è quella più bassa di quota, che presenta continuità di sviluppo… ciò lo si può intuire solo percorrendo i primi metri di cengia.
La cengia taglia l’intera parete della Croda Le Bance verso N, talvolta restringendosi, alternando passaggi tra mughi con brevi traversamenti di modesti impluvi e facili paretine (fig. 4, 5, 6, 7, 8). In ogni caso, l’incedere risulta piacevole e sereno; sebbene alcuni passaggi richiedano piede fermo e sicuro, non v’è mai la percezione d’essere esposti. Sullo sfondo, le Tre Cime di Lavaredo sorvegliano la nostra avventura.
Si abbandona quindi la cengia e la traccia si spiega su una più morbida dorsale di radi mughi e conifere (fig. 9), per poi tagliare un piccolo impluvio ghiaioso e svolgere una curva netta tra gli alberi che ci riporta, poco più a monte, dentro il canale detritico traversato prima più a valle.
Ora l’itinerario si fa più aereo: il canale sale, a tratti verticalmente, e si superano facili roccette con passaggi di I grado. L’arrampicata è divertente, la roccia generosa d’appigli (fig. 10, 11, 12, 13).
Di lì a breve, il canale sbuca su un pianoro erboso, dorsale sommitale della Croda Le Bance. La percorriamo agevolmente (fig. 14), con panorama mozzafiato sul Cristallino di Misurina e sulla sottostante Val Cristallino, fino a giungere in vetta (fig. 15). A pochi metri dalla vetta, sotto un ometto di pietre (fig. 16), troviamo il “libro di vetta”, consistente in un barattolo di plastica contenente un blocco note. Non risultano visite annotate per l’anno in corso. In compenso, la memoria del libro di vetta risale fino al 1997, a testimonianza di quanto poco frequentata sia questa cima. Dalla posizione privilegiata in cui ci troviamo, possiamo vantare una nitida visione sulla parete N del Cristallino di Misurina, ed apprezzare i profili della Cengia Raule, già percorsa l’anno scorso (relazione itinerario) nonché stupirci per la ripidità del canale che conduce in Forcella Cristallino, raggiunta un paio d’anni fa (relazione dell’itinerario).
La discesa si svolge lungo il medesimo itinerario di salita, ridiscendendo il canalino (fig. 17) e ripercorrendo la cengia basale.
Terminata la cengia, invece di scendere in Val de Le Bance, decidiamo di scavalcare la sella che separa la Croda Le Bance dal Cristallino di Misurina per scendere in Val Cristallino; rimontiamo quindi il canalone detritico a S della Croda Le Bance, su ghiaie particolarmente mobili ed insidiose (fig. 18). Un luogo dove non sostare troppo, apparentemente soggetto a scariche dalla friabile parete S, a picco, della Croda Le Bance.
Completiamo la salita del canale e giungiamo ai piedi di un torrione, il Campanile Padre Pio (2260m), ove sono evidenti i resti di un baraccamento militare: il perimetro è delimitato da pietre; a terra giacciono due lunghi cilindri arrugginiti, antichi camini di stufe da campo; decine di caricatori di fucile sono sparsi a terra (fig. 19), insieme ad altrettanti lunghi chiodi e ad un secchio (fig. 20). Doveva essere una postazione privilegiata durante la guerra, al riparo del massiccio torrione roccioso, sicuro baluardo a protezione dei tiri dei pezzi austriaci collocati sul vicino Rauchkofel. Tra il Campanile Padre Pio e la Croda Le Bance, un piccola sella si affaccia sul Campanile Molin, la cui via di salita (VI grado) fu aperta nel luglio 1968 dal compianto e celebre Alziro Molin (fig. 21).
Il nostro itinerario, tuttavia, ci porta nella direzione opposta, continuando ad esplorare la sella a S del Campanile Padre Pio, muovendo in direzione del Cristallino di Misurina. Magnifica la vista del Campanile Padre Pio e della Croda Bance dalla dorsale su cui ci stiamo muovendo! (fig. 22).
Saliamo per poche decine di metri un pendio erboso e ci troviamo su un terrazzo di roccia aereo che si affaccia su una sottostante sella (fig. 23), prosecuzione della cresta che collega il Cristallino di Misurina con la Croda Le Bance. Tenendo la destra, scendiamo per una comoda forcelletta sulla nuova sella (fig. 24). Evitiamo di scendere verso la Val Cristallino imboccando il primo ripido ed insidioso canale detritico e preferiamo spostarci verso il centro della sella, perdendo quota su più stabili e sicure zolle erbose (fig. 25).
Siamo giunti nella tanto amata Val Cristallino e l’itinerario potrebbe dirsi concluso, imboccando la traccia che, inserendosi sul greto del rio (asciutto/sotterraneo) dal versante idrografico destro, ci riporta sul sentiero che poi conduce all’ingresso della Val Popena (vedi itinerario già percorso in occasione di questa discesa). Il tempo tuttavia sembra reggere e ci prendiamo la soddisfazione di toglierci uno sfizio: visitare quelle grotte/resti di baraccamento che si notano distintamente sul rilievo che divide la Val Cristallino dalla Val Fonda. Trattasi di un certo numero di grotte e/o rientranze scavate nella roccia (fig. 16), in prossimità di una stretta gola (fig. 27) situata poche decine di metri a monte di altrettanti resti di baraccamenti (è ancora evidente la spianata, artificiale, ove sorgevano). Riccardo riesce a intrufolarsi nelle due grotte collocate all’altezza della forcella sopra alla gola (fig. 28); trattasi di grotte senza sviluppo. A quanto si può evincere dai fori sulla parete, sono tunnel probabilmente iniziati e mai più portati a termine (fig. 29).
Saziata l’avidità di conoscenza, possiamo ora dirci appagati e scendere sulla via del ritorno!
DIFFICOLTÀ COMPLESSIVA: EE (le difficoltà “EE” sono limitate allo scavallamento della forcellina ed alla discesa nel tratto apicale della Val de le Barache. Il resto dell’itinerario può essere considerato “E”).
DISTANZA: 11 km – DURATA: 4,30 h – DSL: 1020 m D+
DATA: 16 ottobre 2022
PREMESSE
Siamo a metà ottobre. A Cortina, ieri notte, la temperatura è scesa a 4°C. È quindi finita la stagione delle esplorazioni in alta quota; pur non essendoci che pochi centimetri di neve, le cenge esposte a nord rischiano di essere coperte da lastre di ghiaccio ed il fondo ghiaioso dei pendii inclinati può risultare compatto come il cemento. È tuttavia un autunno straordinariamente mite – come il precedente – e, sotto i 2500m, il terreno si presenta ancora tipicamente estivo. È questo il momento migliore per dedicarsi a veloci esplorazioni non troppo impegnative. La prima che mi viene in mente è l’esplorazione dei Campanili di Val Popena Alta. Chi, salendo il Cristallino di Misurina per la val de le Barache, non è stato attratto da quella singolare formazione rocciosa a forma di cuore, collocata su una cresta che si diparte da Punta Michele? Io e Paolo sicuramente, in occasione dell’esplorazione di Forcella Michele (vedi l’itinerario). Ora, il cuore roccioso che, osservato dalle pendici del Cristallino, sembra poggiare in bilico sul fil di cresta, ha in verità un nome… è il Campanile Dibona, così nominato in quanto l’ardito Maestro Angelo Dibona lo scalò per la prima volta nel 1906. Al suo fianco, un dente roccioso isolato separa il Campanile Dibona da un massiccio sperone roccioso che conchiude la val de le Barache, meglio noto come “Guglia di Val Popena Alta”. Sono queste guglie la nostra meta odierna. Non, però, accedendo dalla val de le Barache ma dal versante sud, alla testata della val Popena Alta, da un circo di ghiaie alle pendici della massiccia dei Campanili di Popena e delle pareti del Piz Popena. Tale soluzione era stata già descritta nel 1925 da Ugo di Vallepiana, nel suo “Dolomiti di Cortina d’Ampezzo dal Cristallo per le Tofane alla Croda da Lago”. Non abbiamo tuttavia rinvenuto alcuna traccia di passaggio umano, probabilmente anche a dimostrazione del fatto che l’avvicinamento al Campanile Dibona, nota meta di scalata, si svolge prevalentemente dalla val de le Barache.
RELAZIONE DELL’ITINERARIO
Lasciata l’auto poco dopo il Passo Tre Croci, nei pressi di una vecchia casa cantoniera, là dove il Rio de Pòusa Marza incrocia la strada statale, si imbocca il sentiero n. 224, che inizia come comoda mulattiera, a tratti asfaltata. Si guadagna quota e, nei pressi di una curva della mulattiera, la si abbandona, piegando verso O ed entrando tra i mughi su distinta traccia di sentiero. Il sentiero prosegue sino alle pendici della Pòusa Marza, sempre verso O, fino a che, a quota 1936m, una traccia si stacca puntando diritta verso le rocce; tale traccia consente di montare sul sentiero n. 222, pochi metri più a monte. Ora, il sentiero si inerpica verso NNE sui c.d. Tàche (tacchi), una serie di prominenze che costituiscono un costone prativo degradante su ripide pareti rocciose affacciate sulla Pòusa Marza. Si giunge quindi ai piedi della parete rocciosa del Corno d’Angolo e, di lì a breve, si incontra il profondo impluvio detritico proveniente da Forcella Popena. Le pareti del canale sono tuttavia ben solcate da una traccia e l’attraversamento risulta agevole (fig. 1).
Superato l’impluvio, il sentiero sale fino alle rocce sovrastanti, dove un recente intervento ha permesso di posare un sistema di scalette e passerelle di legno che consentono di giungere agevolmente in Forcella Popena, 2214m.
In forcella, ci accolgono i ruderi del Rifugio Popena, costruito da Lino Conti ed aperto nel 1937 (fig. 3), purtroppo destinato ad un drammatico epilogo. Se già, infatti, la seconda guerra mondiale mise a dura prova l’attività ricettiva del rifugio, nel 1948 alcuni delinquenti vi entrarono nella stagione invernale e, dopo averlo saccheggiato, lo misero a fuoco. Rimangono oggi poche macerie (fig. 4).
Si segue ora il sentiero n. 222, scendendo verso la testata della Val Popena Alta, abbandonandolo dopo pochi metri per imboccare una nitidissima traccia che costeggia le pendici dei Campanili di Popena. Il punto d’arrivo, indicativamente, è un enorme blocco roccioso fessurato, che prende le sembianze di una “V”. Da qui, si risale faticosamente per pendii prativi, obliquando senza traccia obbligata verso i Campanili di Val Popena Alta (fig. 5 e 6).
Si traversa quindi agevolmente un largo impluvio detritico e si risale su ancor più ripido pendio, mirando ad un evidente canalone detritico e preferendo ai tratti rocciosi le ultime chiazze erbose (fig. 8).
Terminate le chiazze erbose, si entra nel canalone (fig. 9), tenendosi sulla sinistra (destra orografica) del medesimo (fig. 10), e lo si risale senza particolari difficoltà, sino a giungere su una sella (fig. 11) che congiunge la parte apicale dei due affioramenti rocciosi entro cui si apre il canalone.
Si segue ora il crinale della sella, puntando verso O, imboccando un nuovo canale che conduce sulla sinistra del Campanile Dibona (fig. 11). Ora, le Guglie di Val Popena Alta si affermano, imponenti, sul versante meridionale (fig. 12). Caratteristico appare il dente isolato che separa il Campanile Dibona dal Campanile di Val Popena Alta.
Praticando un po’ di divertente scrambling (fig. 13 e 14), si supera il canale e si giunge su una strettissima forcellina che separa il Campanile Dibona dagli affioramenti rocciosi di Punta Michele. Ai piedi del Campanile Dibona, un minuscolo terrazzino con muretto a secco si affaccia sull’ombroso versante N. La discesa dalla forcellina sulle ghiaie apicali è breve in termini di distanze ma non mi pare troppo agevole; consiste in tre piccoli salti di roccia caratterizzati però da fondo friabilissimo e marcio. Ugo di Vallepiana, nel 1925, la semplificava nei seguenti termini: «traversare un colletto aprentesi fra il Campanile di Dibona e la Punta Michele e scendere sul versante N. per la friabile gola e contornare il Campanile Dibona». Con più cauto approccio, preferisco salire ulteriormente lungo la dorsale che si dirama da punta Michele, alla ricerca di un più comodo e sicuro passaggio. Si percorre, pertanto, un’agibile e breve cengetta che aggira uno sperone roccioso e si sale di circa una decina di metri, su facili roccette, fino ad incontrare un’ulteriore forcellina (fig. 15). Ora la discesa appare decisamente più facile e sicura, priva di alcun salto di roccia.
La seconda forcellina è collocata a 2455m. La giornata è incantevole, il cielo è blu ed il sole in quota scotta ancora come in una giornata estiva. Non possiamo che esitare, contemplando il panorama circostante e crogiolandoci in questo remoto angolo del gruppo del Cristallo.
Un ultimo saluto al sole, che per un po’ non vedremo più, e giù sul versante N del Campanile Dibona! La discesa lungo il canalino detritico non presenta particolari difficoltà ma è pur sempre una discesa su terreno totalmente marcio e fuori traccia; pertanto, richiede un minimo di cautela (fig. 18).
Superati i primi metri a valle del canalino, ci si deve mantenere pressoché a ridosso della parete del Campanile Dibona (fig. 19), traversandone le pendici e tenendo nettamente la destra, entrando a stretto giro in un’area di grandi massi e sfasciumi (fig. 20). Superata quest’ultima sezione, continuando in diagonale verso destra, si entra dentro il ghiaione alle pendici del Campanile di Val Popena Alta. Qui il terreno diventa molto più morbido e, stringendo un po’ i denti, è possibile correrlo sciando fino a quasi intersecare il sentiero che taglia la Val de le Barache (fig. 21 e 22).
Giunti alla base della Val de le Barache, il gioco è fatto! Un ultimo sguardo all’immensa valle appena traversata, immaginandola esattamente un secolo fa, a soli quattro anni dalla fine della guerra. Doveva apparire colma di rifugi e baraccamenti, scatolame e teleferiche, essendo stata un’importante base logistica dell’esercito italiano per l’intera durata del conflitto. Scendiamo quindi per il sentiero n. 222a, fino a trovare il bivio per il sentiero n. 224 che ci fa rimontare il costone boschivo occidentale delle Pale di Misurina. Giunti sulla dorsale, un magnifico panorama si apre sulla vallata sottostante, e subito riconosciamo il lago di Misurina, nostra meta. Da qui a malga Misurina il percorso è breve e piacevole, sempre in discesa.
La lettura della relazione di Paolo, non potrà che arricchire di dettagli e particolari quanto finora esposto! Grazie mille inoltre a Paolo, come sempre, per aver montato il video dell’avventura!
DIFFICOLTÀ COMPLESSIVA: EEA. Discesa dalla Forcella del Rauhkofel alla Val Fonda: PD+. Traversata alpinistica di media lunghezza ed impegno fisico, con diversi passaggi di I grado, tendenzialmente sempre poco esposti, ed un paio di passaggi di II grado su roccia friabile. Necessità di allestire una sosta per una calata ripida di ca 10m (in salita, V grado).
DISTANZA: 15 km – DURATA: 7.30 h – DSL: 800 m D+
DATA: 14 agosto 2022
PREMESSE
Come ormai molte delle avventure Windchili, anche questa scaturisce da un precedente tentativo incompiuto dell’amico Riccardo di congiungere, in discesa, la Val della Fontana di Sigismondo con la Val Fonda transitando per Forcella del Rauhkofel. Siamo nel gruppo del Cristallo, versante orografico sinistro del rio Val Fonda, ambiente inviolato ed estremamente selvaggio, già in più di un’occasione meta d’esplorazione (vedi l’esplorazione del ghiacciaio del Cristallo e la discesa in Val Fonda da Forcella Michele). Informazioni su questo itinerario sono davvero scarne, come di consueto d’altro canto. La seguente è la terza relazione mai pubblicata della discesa in Val Fonda dal Monte Rauhkofel. La prima fu pubblicata da Theodor Wundt nel 1893, primo uomo a compiere la discesa sul versante est dalla cima del Rauhkofel ma non primo, invece, a compierne la salita. La prima ascensione del Rauhkofel, infatti, è datata 1883 e porta la firma W. Eckerth. Questi, tuttavia, non s’azzardò a scendere in Val Fonda, ritenendo che «dovunque avessimo tentato la discesa, saremmo sempre finiti sulle pareti compatte e verticali della Val Fonda, per le quali è assolutamente impossibile scendere». (W. Eckerth, Il gruppo del monte Cristallo – 1891, La Cooperativa di Cortina, 1989, pag. 102). Così impossibile non dev’essere sembrato a Wundt dodici anni dopo! Wundt, peraltro, scelse una traiettoria differente rispetto alla linea da noi studiata per quest’avventura, più diretta e più a N, calandosi direttamente dalla cima del monte Rauhkofel. Ecco le sue parole, corredate dalla celebre fotografia (fig. 1):
«Arrivando dall’alto su roccia molto friabile, avevamo raggiunto una cengia le cui rocce scivolose non potevano essere superate direttamente. Qui è stato necessario scendere in corda doppia. La fune è stata fatta girare intorno a un masso a questo scopo, e uno alla volta ci siamo imbragati ad essa e ci siamo tirati giù. (…) Il resto della discesa è stato facile, ma la passeggiata attraverso la Val Fonda è stata ancora più confortevole».
Vanderungen in den Ampezzaner Dolomiten, Deutsche Verlags-Anstalt, 1895, pag. 66
Successivamente a Wundt, si deve pazientemente attendere la penna di Marco di Tommaso, Cristina Bacci e Angelo Zangrando che, a distanza di 110 anni, descrivono la discesa del Rauhkofel nel libro “Avventure nelle Dolomiti Orientali” (Tamari Montagna Edizioni, 2005, pag. 74). In merito, gli autori scrivevano che l’itinerario è «quasi totalmente non segnalato su terreno impervio, destinato ad escursionisti esperti». Noi oggi abbiamo preferito una traiettoria più meridionale di quella identificata da Wundt, e solo per il primo tratto aderente a quella scelta da Di Tommaso e dai suoi compagni; il nostro percorso pertanto, parrebbe risultare assolutamente inedito. Non possiamo tuttavia dare per certo che l’odierna spedizione sia stata la prima a calcare tale traiettoria. Fin dai primi mesi di ostilità della prima guerra mondiale, infatti, il Monte Rauhkofel era «saldamente presidiato dagli austriaci, che occupavano con notevoli forze il rovescio delle forcellette di cresta». (A. Berti, 1915-1917, Guerra in Cadore e in Ampezzo, Mursia, pag. 104). Non minore importanza strategica, peraltro, rivestivano tali postazioni per gli italiani; dal Rauhkofel, infatti, il comando italiano temeva potessero essere sferrati fatali attacchi alle truppe che dal Ponte della Marogna avessero dovuto spingersi a Carbonin. Per tale ragione «violenti attacchi italiani, sferrati nell’autunno 1915 (11-12 settembre; 21-2 ottobre), nel corso di azioni di più ampio raggio, si erano infranti come ondate contro uno scoglio alla base del monte» (A. Berti, Id.). Non è quindi da escludere che qualche ardimentoso soldato, italiano o austriaco, abbia già faticosamente percorso la nostre odierna traiettoria! Un’ultima nota storica: le carte riportano spesso la dicitura “Rauchkofel – Monte del Fumo”. La cima, invero, si chiama “Rauhkofel – Monte Scabro”. La trasformazione toponomastica è ascrivibile ad un errore degli interpreti italiani che mutarono il tedesco “rau” (ruvido, scabro) con “rauch” (fumo).
La squadra per l’avventura esplorativa di oggi è composta da Paolo, Riccardo ed Edoardo (oltre, ovviamente, al sottoscritto!).
RELAZIONE DELL’ITINERARIO
Lasciata l’auto nei pressi di Carbonin, una mulattiera si innesta, a quota 1457, sulla passeggiata della ferrovia. La si imbocca e, dopo un breve tratto nel bosco, ci si addentra sulle ghiaie della Val della Fontana di Sigismondo, risalendo la valle su chiara traccia, dapprima sul versante orografico sinistro e, poi, su quello destro (fig. 2 e 3).
L’incedere è agevole fino all’attraversamento di un ripido impluvio che segna il termine della traccia (fig. 4). Ci si porta quindi sul greto e, senza via obbligata, si raggiunge in breve la parte apicale della Val della Fontana di Sigismondo, là dove i baranci lasciano il passo alle scomode ghiaie franate dal Rauhkofel e dalla Costabella (fig. 5).
La Forcella del Rauhkofel è ormai sempre più vicina; un ultimo ripido tratto di ghiaie (fig. 6) ed iniziamo ad avvistare i resti dei baraccamenti austriaci della prima guerra mondiale (fig. 7); già da metà settembre 1915, infatti, gli austriaci avevano occupato la sella, nel timore che i reparti italiani potessero inoltrarsi dentro la Valle della Fontana di Sigismondo e, da lì, cogliere alle spalle i presidi austriaci. Impressionante è la quantità di scatolame arrugginito ed ossa di ungulati (probabilmente cervi, viste le dimensioni!!!) (fig. 8), fortunato pasto dei soldati che qui sostarono.
Giunti in Forcella del Rauhkofel, 2250m, la vista è spettacolare. Da una forcelletta pochi metri prima della Forcella, sulla cresta rocciosa, si può ammirare verso N la cima del Rauhkofel, 2358m (fig. 9). Dalla Forcella del Rauhkofel, verso S, si profila maestoso il ghiacciaio del Cristallo, sovrastato dalle cime del Cristallo e del Piz Popena (fig. 10 e 11).
Inizia ora la parte più esplorativa e delicata dell’itinerario. Si valica la Forcella del Rauhkofel verso S e si scende, piuttosto agevolmente, tra innumerevoli resti di filo spinato, fino al verde pendio prativo; un vero e proprio giardino pensile rigoglioso, aereo, contornato da profondi precipizi (fig. 12 e 13).
Si scende quindi fino ai margini più bassi del prato, tenendo la sinistra, fino ad imboccare un ripido canale che scende verso E (fig. 14). Si inizia ora la discesa su terreno abbastanza solido (fig. 15); la roccia, infatti, è spesso levigata dall’acqua e la progressione in disarrampicata risulta gradevole e semplice (fig. 16) sino a che, nei pressi di una strettoia, ci troviamo di fronte ad un bel salto di circa una decina di metri (fig. 17). L’itinerario sino a qui svolto parrebbe ricalcare la linea scelta da Marco Di Tommaso e dai suoi compagni:
«Valicata verso sud la Forcella Rauhkofel, si scende nel versante opposto, seguendo una traccia di sentiero che, con numerosi zig-zag, solca il pendio erboso sotto il suddetto intaglio. Presso l’imbocco di un canale erboso, il sentiero scompare. Si scende per questo e, quando non è più possibile proseguire, si traversa verso destra su cengette (I) e si entra in uno parallelo».
A differenza di Di Tommaso, però, noi preferiamo una discesa più diretta e scegliamo di continuare nel canale.
Iniziamo quindi ad allestire una sosta con cordino dentro una rientranza della parete e friend di supporto su compattissima roccia (fig. 18) e ci caliamo, superando il ripido salto. Apro io, segue Riccardo e chiude Edoardo (fig. 19 e 20). Da notare che, nei pressi della base del salto, fuoriesce dalla roccia una timido rigolo d’acqua sufficiente, con estrema pazienza, a riempire una borraccia!
Giunti alla base del salto di roccia, assecondando il pendio che degrada verso sinistra, troviamo un nuovo salto, meno marcato ma comunque esposto, e lo aggiriamo sulla destra, scendendo per ripidi mughi. Si entra ora in un curioso antro (fig. 21), particolarmente marcio, dove si effettuano un paio di passaggi delicati: un primo traverso su roccia sporca (II+ grado) (fig. 22), prestando particolare attenzione al fondo viscido, conduce in uno stretto canale di mobili sfasciumi e, dopo pochi metri, un secondo passaggio su terreno e roccia ancor più sporca e marcia (II grado) permette di superare un piccolo salto (fig. 23). L’ambiente è favoloso: siamo dentro un stretta gola inclinata con impagabile panorama sul Piz Popena.
Usciti dalla stretta gola, si può procedere entrando simpaticamente dentro un cunicolo, cui tetto è un enorme masso incastrato nel canale oppure, in alternativa, scendere sulla sinistra del canale su facili roccette. Ovviamente, noi non potevamo non godere di questi trenta secondi da speleologi durante la nostra esplorazione! (fig. 24 e 25)
Si scende ora per poche decine di metri, fino a che il canale si apre: sulla sinistra, un alto affioramento roccioso, riconoscibile da un masso quadrato incastrato alla sua base (fig. 26); frontalmente, le ghiaie finisco tra baranci oltre i quali s’apre il baratro; a destra, una debole traccia di camosci entra tra i mughi. Si imbocca quest’ultima traccia e si perdono circa 20/30 metri di quota a zig-zag tra il costone di mughi ed il canalino detritico che solca la sinistra del costone (fig. 27 e 28).
Si giunge quindi alla medesima quota dove, a S, un impluvio taglia il costone barancioso. Si supera verso S l’impluvio, badando di traversarlo nella sezione apicale, per evitarne i ripidi margini franosi (fig. 29). Di lì, si continua a traversare le pendici rocciose di Costabella, tenendosi sempre piuttosto in quota per accedere più agevolmente al profondo impluvio di ghiaie che separa le pendici settentrionali del Monte Cristallo dalle pareti della Costabella, fino ad individuare una sorta di “scivolo” ghiaioso che consente di entrare nell’impluvio. È fondamentale individuare questo preciso punto di accesso in quanto il solo che permette di scendere più o meno agevolmente; come si evince dall’immagine di cui all fig. 30, infatti, ogni altra traiettoria comporterebbe una calata lungo ripidi margini rocciosi.
Una volta dentro il profondo impluvio che separa le pendici del Monte Cristallo dalla Costabella, si rimonta il ripido bordo e si individua facilmente il sentiero che conduce ai piedi del salto roccioso che separa la Val Fonda dal circo glaciale del Cristallo. Una capatina alla magica cascatella è d’obbligo (fig. 31 e 32)!
Senza via obbligata, individuando qualche ometto che di volta in volta, sul versante idrografico destro della Val Fonda, indica la traccia, si scende a valle, verso il Ponte della Marogna (fig. 33 e 34), per rimontare poi l’argine artificiale sulla sinistra, in corrispondenza della casetta di legno. Di qui si scende l’argine sulla sinistra, abbandonando la Val Fonda e dirigendosi, su comoda mulattiera, verso Carbonin in mezzo al bosco.
NOTE CONCLUSIVE
L’itinerario è divertente e non presenta particolari difficoltà tecniche, salvo la necessità di allestire una singola sosta per calata di 10 m. Il panorama, per l’intero svolgimento, è mozzafiato: Piz Popena, ghiacciaio del Cristallo e Monte Cristallo sono la cartolina che ci accompagna dalla Forcella del Rauhkofel alla Val Fonda. Unica sorpresa: ad eccezione del filo spinato in Forcella Rauhkofel, non abbiamo rinvenuto alcun reperto bellico. Ciò è davvero singolare, considerate le premesse storiche. Evidentemente, il versante meridionale del Rauhkofel doveva apparire ai soldati italiani veramente inaccessibile, al punto da concentrare tutti i tentavi di conquista sul versante settentrionale. Salvo prova contraria, possiamo quindi fieramente affermare di essere stati i primi, oggi, ad aprire questa nuova traiettoria di discesa!
DIFFICOLTÀ COMPLESSIVA: EEA. Cengia “Raule”: PD-, con unico passaggio esposto di II grado, che richiede assicurazione e passo sicuro.
DISTANZA: 17,8km – DURATA: 8.20 h – DSL: 1300 m D+
DATA: 18 giugno 2022
PREMESSE
Con questa traversata andiamo a completare tutte le possibili interpretazioni di itinerario (note) nel massiccio centrale del Cristallino di Misurina. Lo spunto viene dall’amico Riccardo, anch’egli appassionato esploratore di nuove vie e di antiche tracce dimenticate. A sua volta, Riccardo ha seguito le orme di Vittorino Mason che, in memoria di un amico perito in montagna, ha nominato tale cengia “Raule”, descrivendone per la prima volta l’itinerario nel “Libro delle Cenge, 56 vie orizzontali nelle Dolomiti”, datato 2013. Successivamente, la cengia Raule è stata percorsa e descritta da Fabio Cammelli, nel numero di Le Alpi Venete, primavera/estate 2020. Hanno raccolto l’invito ad esplorare questa cengia sconosciuta gli amici Paolo ed Edoardo.
RELAZIONE DELL’ITINERARIO
Lasciata l’auto nei pressi del Ponte de la Marogna, si traversa il greto verso SE fino a risalirne la sponda ed imboccare una debole traccia parzialmente coperta dalla florida vegetazione. Si cammina pochi minuti nel bosco per poi entrare in una radura costituita da una lingua franosa (bolli su alberi e rocce); la si traversa in diagonale e si rimonta per una nitida traccia nel bosco che subito prende quota. In pochi minuti si giunge alla postazione militare con lapide commemorativa della prima guerra mondiale (fig. 1) (per questo primo tratto, vedasi anche la relazione della salita alla forcella Cristallino).
Si aggira sulla sinistra la lapide e si segue la traccia, badando di non farsi tentare dal proseguire nel corso delle innumerevoli trincee che tagliano il bosco. In questo tratto, la traccia si snoda all’incirca presso la sponda orografica destra del rio che proviene dalla Val Cristallino; si ode il gentile fragore delle cascatelle, senza però mai vederne il corso. Nel giro di pochi minuti si giunge ad un punto chiave: la traccia entra perpendicolare nel solco di una trincea, ai piedi di una ripida collinetta. L’intuito suggerirebbe di procedere a destra, ove la trincea appare più aperta e di facile percorribilità; al contrario, la traccia prosegue a sinistra: un grosso masso sul sentiero reca un bollo scolorito che indica e conferma la via. Di lì a breve il sentiero diventa sempre più evidente ed aperto, fino a procedere in falsopiano. Si procede quindi in direzione del ponte di Val Popena Alta. Secondo la cartografia Tabacco, si tratterebbe ora di imboccare un traccia che si innesta perpendicolarmente, a monte, in corrispondenza di un rio che taglia la traccia principale. Il rio appare asciutto e consiste in una lingua franosa che si appoggia timidamente al sentiero. Noi abbiamo scelto di risalire nel bosco ma la traccia riportata dalla Tabacco non la abbiamo mai incrociata. Dopo una ventina di minuti di salita, invece, ci troviamo finalmente su un sentiero che sembra un’autostrada, con tanto di ometti, proveniente da SE… dovrebbe trattarsi della traccia più alta che collega l’imbocco della Val Popena Alta, nei pressi del sentiero 222, con la Val de le Bance… resta fermo il fatto che in pochi minuti questo nuovo sentierone ci porta sul versante orografico destro della deserta Val de le Bance (fig. 2).
Entrati in val de le Bance, si comincia a risalire il ghiaione, dapprima tenendosi sul versante orografico destro, per poi tagliare nettamente in diagonale la valle portandosi sull’opposto versante orografico (fig. 3), ai piedi della strozzatura tra la Croda de le Bance e lo sperone settentrionale della Croda Mosca, ove idealmente dovrebbe scorrere il rio che solca la valle (fig. 4)… pensare che esattamente 143 anni fa W. Eckerth saliva questa valle insieme a Michel Innerkofler, descrivendo il rumoreggiare della cascata all’interno della forra. Giunti alla base della strozzatura, si consiglia di non imboccare direttamente il greto del rio ma di salire con facile arrampicata sulle rocce alla base della parete sul versante orografico destro. Ciò permette di superare un paio di non agevoli piccoli salti di roccia.
Si sale quindi lungo i gradoni rocciosi sulla sponda orografica destra del rio (fig. 5), fino ad intravedere un ometto sul versante opposto, che ci indica l’obbligo di traversare il rio e risalire ai piedi della Croda Mosca (fig. 6). Scrivo “obbligo”, non a caso; procedendo, infatti, lungo il solco del rio, ci si imbatte in un salto di roccia alto poco più di un paio di metri il cui superamento in salita richiede abilità d’arrampicatore non scontate (vedasi il superamento di tale salto in discesa in fig. 33, 34 e 35 in occasione della discesa di val de le Bance il 30 ottobre 2021).
Più si sale più la val de le Bance assume le sembianze di una brulla gola il cui fondo instabile rallenta la salita (fig. 7). Scriveva W. Eckerth nel 1879 sulla valle de le Bance che,
«chiusa ai lati dalle ripide pareti delle dorsali del Cristallino, essa si restringe in forma di gola nella parte superiore restando illuminata dal sole per breve tempo soltanto intorno a mezzogiorno».
La salita si svolge ora a ridosso della parete della Croda Mosca (fig. 8), fino a quando risulta più saggio spostarsi sul versante orografico opposto con facile arrampicata, per approdare su una comoda cengia che permette di proseguire evitando le mobili ghiaie del centro valle (fig. 9). Percorrendo la cengia, superando agevolmente qualche semplice salto di roccia e sempre tenendosi sul versante orografico sinistro della valle, si supera finalmente l’impervia strozzatura e si entra nella parte apicale della Val de le Bance, decisamente più amena e gradevole (fig. 10).
La tentazione di risalire questo magnifico nuovo ambiente è forte ma non è questa la via da seguire oggi; si devono salire, invece, le facili roccette che si ergono sulla destra (sinistra orografica), fino ad approdare ad un largo e pianeggiante crinale che separa la val de le Bance da un’ampia conca che poi degrada per ripidi pendii in val Cristallino (fig. 11). Tale postazione ci offre a settentrione un panorama senza pari, con insolita prospettiva delle Tre Cime di Lavaredo (fig. 12). Si scorge nitidamente, inoltre, la cengia Raule che taglia la parete giallastra del Cristallino di Misurina (fig. 13).
È ora opportuno mettersi in sicurezza: per raggiungere la cengia, infatti, si arrampica con facili passaggi di I° ma con una certa esposizione sulla conca sottostante (fig. 14).
In pochi minuti, giungiamo in cengia, ai piedi della parete. Il versante orientale della cengia Raule non è proprio quanto di più comodo si possa immaginare. La cengia è stretta, in leggera discesa; la parete che si erge sopra di noi ci spinge in fuori e l’esposizione sulla conca sottostante gioca il suo fattore psicologico (fig. 15). Progrediamo, legati in conserva corta, transitando in un paio d’occasioni carponi per mantenerci il più possibile aderenti alla parete (fig. 16 e 17), fino a raggiungere lo sperone settentrionale della cengia, che finalmente si apre in un comodo balcone di ghiaia (fig. 18). Funge da ometto un pesante fondello di proiettile della prima guerra (fig. 19).
Una volta aggirato lo sperone settentrionale della cengia Raule, affacciandosi sulla val Cristallino, la cengia prosegue, ampia ed in leggera salita, lungo la parete occidentale del Cristallino, in direzione dell’omonima forcella bipartita (fig. 20).
La progressione non presenta difficoltà alcuna, fino ad un repentino restringimento della cengia, con successiva interruzione della medesima nel vuoto. A distanza di poco meno di un metro, la cengia ricomincia, franosa. Sappiamo che sull’altra sponda dovrebbe trovarsi un vecchio chiodo… si tratta però di arrivarci sull’altra sponda! Ed ecco qui il deus ex machina, Edoardo! Con ferma precisione e sangue freddo, traversa in spaccata il baratro ed arrampica agevolmente sulla sponda franata della cengia. In pochi secondi individua il chiodo ed assicura noi tutti (fig. 21)! Sotto un profilo tecnico, il passaggio non risulta difficile: si tratta di effettuare una spaccata con piede su comodo appoggio per poi scendere di poco meno di un metro su più ampi appoggi per i piedi e di lì rimontare la cengia.
Una volta assicurati, Paolo approccia il salto (fig. 22) ed infine è il turno del sottoscritto che chiude la cordata (fig. 23).
Il passaggio chiave indicato è collocato circa a metà della cengia Raule. Superatolo, la cengia torna ad essere agevolmente percorribile, spesso ampia (fig. 24), talvolta richiedendo il superamento di brevi ripidi tratti dal fondo friabile (fig. 25) ovvero piccoli nevai (fig. 26 e 27).
La cengia Raule volge ormai al termine, conducendo nella parte apicale del canalone orientale che sovrasta la val Cristallino. Si supera un breve ripido tratto (fig. 28) che conduce sulle nevi del canalone e qui comincia una divertente discesa sulla morbida neve, che quasi inviterebbe alla corsa 😉 (fig. 29).
La discesa lungo la val Cristallino quasi ci permette di sciare, per brevi momenti, sul mobile fondo del ghiaione. La val Cristallino è una miniera di reperti bellici. Resti di granate e residuati sono disseminati in ogni dove tra le ghiaie, confermando ancora una volta quanto avevamo riscontrato nell’avventura del 30 ottobre 2021: la val Cristallino è una valle inaccessibile e completamente deserta, non frequentata da anima viva. Le distanze sembravano più corte… ci impieghiamo un’eternità a percorrere tutta la lunghezza della valle (fig. 30) fino ad immetterci nel greto del rio che raccoglie le acque di fusione dell’intera valle. Scendiamo lungo il solco dissestato del rio, che presto diventa asciutto, fino a raggiungere un grande masso con dei sassi posti sopra a mo’ di ometto (fig. 31): tale segnale preannuncia un sentiero che, pochi metri a valle, si dirama sulla destra per inoltrarsi tra i baranci (fig. 32), conducendo in breve all’ampia traccia percorsa all’andata in direzione della val Popena Alta. Appena montati su tale traccia, sarà opportuno deviare a sinistra giungendo in breve alla lapide commemorativa e, quindi, al ponte de la Marogna.
DIFFICOLTÀ COMPLESSIVA: EEA+. Da Forcella Cristallino alla spalla meridionale del Cristallino di Misurina: AD-
Traversata alpinistica lunga e fisicamente molto impegnativa. Da forcella Cristallino alla spalla meridionale del Cristallino di Misurina, necessità di alternare progressione in conserva con soste da allestire con chiodi, affrontando passaggi fino a III+ (non v’è presenza di spit).
DISTANZA: ca 20 Km – DURATA: 11 h – DSL: 1434 m D+
DATA: 30 ottobre 2021
PREMESSE
Chiudiamo la stagione “estiva” con l’itinerario più esplorativo e, sicuramente, più difficile dell’anno: la traversata della Val Cristallino, fino a forcella Cristallino, per poi raggiungere la spalla meridionale del Cristallino di Misurina aprendo una nuova via che, per temporanea assenza di estro poetico chiamiamo “Cristallino Ovest”. Dalla cima del Cristallino di Misurina, discesa per la via normale, aperta da Paul Grohmann e l’albergatore di Carbonín Georg Ploner il 16 agosto 1864, fino alla Forcella de Le Bance. Dalla forcella, traversata in discesa della Val de Le Bance e chiusura dell’anello. Un’avventura fisicamente molto impegnativa, anche perché per il 95% del giro si cammina sempre fuori sentiero, su fondo impervio, con pendenze spesso sostenute, specie nella discesa verso S da Forcella Cristallino. Un itinerario che richiede necessariamente l’uso della corda e di quanto necessario per approntare le opportune soste (chiodi da fessura e blocchi da incastro). Giunti in Forcella Cristallino, qualora non si gradisse affrontare la via “Cristallino Ovest”, è possibile scendere fino alla confluenza con il canalone che scende da Forcella Michele; se da un lato si evita l’arrampicata in salita, dall’altro non ci si può però esimere dalla disarrampicata in discesa della seconda metà inferiore del ripido e dirupato canale che scende da Forcella Cristallino. La salita del canalone che scende da Forcella Michele è invece più agevole, nonostante sia necessario affrontare un salto di roccia alto circa quattro metri, in corrispondenza della strettoia tra la parete S del Cristallino di Misurina e la parete N della dorsale di Popena (per maggiori dettagli, si veda la relazione sulla discesa del canalone di Forcella Michele, svolta a luglio 2021). Compagno d’avventura è oggi Edoardo, delle Guide Alpine di Cortina, con cui abbiamo avuto il piacere di condividere l’ascensione della Furcia dai Fers da Tamersc appena quindici giorni fa e che si è nuovamente reso disponibile ad affrontare un itinerario esplorativo che, fin da subito, si è rivelato particolarmente avventuroso.
RELAZIONE DELL’ITINERARIO
Lasciata l’auto presso il ponte de la Marogna, 1472 m, si traversa il greto asciutto della Val Fonda e ci si addentra subito nel bosco, sul versante orografico destro. Dopo poche decine di metri, il bosco si dirada e si cammina ora su una frana, risalendola ancora per poche decine di metri, sino a che si individua una traccia che si immette nuovamente nel bosco. La traccia è piuttosto evidente ed in breve conduce alla c.d. “lapide della Valfonda”, riscoperta e restaurata nel 1982. La lapide, datata 31 agosto 1916, reca incisi 269 nomi, tutti i componenti della 6a Compagnia, facente parte della Brigata Umbria, del 53° Reggimento di Fanteria Vercelli (fig. 1).
Si continua a seguire la traccia, ora leggermente in salita, tenendo sulla destra il rio che funge da spartiacque della Val Cristallino. Intorno a quota 1600 m, si abbandona la traccia e si cerca di deviare verso S (destra), aprendosi un varco tra i baranci. (ndr: a posteriori, la corretta via consiste nel procedere dentro il bosco lungo la traccia, senza abbandonarla. Poi, quando la traccia inizia a procedere su falsopiano, si innesta a monte nella traccia principale un sentierino: questo sentierino consente di raggiungere in breve il greto del torrente). La soluzione migliore è scendere quanto prima sul greto del rio. Noi abbiamo invece temporeggiato, fino quasi a raggiungere le pendici rocciose settentrionali della Croda de Le Bance, con grande fatica facendoci strada tra i mughi. Ritrovato finalmente il greto, lo si risale senza possibilità di errore. Ci meravigliamo, quando troviamo infisso perpendicolare nel greto del rio un binario di rotaia, probabilmente della prima guerra mondiale (che ci fa una rotaia qua???) (fig. 2).
Si continua la risalita del greto, sino a che si apre finalmente di fronte a noi la visione della Val Cristallino, in tutta la sua interezza (fig. 3). La salita avviene sempre in ombra ma senza trovare traccia di ghiaccio sul fondo; sebbene al ponte de la Marogna il termometro segnasse -4°C, il clima è particolarmente secco, da giorni, e non v’è umidità che ghiaccia la superficie delle pietre che calpestiamo. La Val Cristallino è davvero una valle deserta, esplorata a fine dell’800 dai primi scalatori che affrontavano la salita del Cristallino di Misurina. Questi, tuttavia, non percorrevano interamente la valle, fino alla Forcella Cristallino, ma la abbandonavano verso metà, per salire, verso E, alla sella che separa le pendici N del Cristallino di Misurina dalla Croda de Le Bance. Da questa sella, salivano poi al Cristallino di Misurina attraverso la parte sommitale della Val de Le Bance. Scriveva W. Eckerth nel 1876:
«Chi vuol salire in vetta al Cristallino ha a disposizione due vie che dapprima portano insieme, su per la Val Cristallino, ad una sella profondamente incassata nella dorsale principale del Cristallino, fra il “Kofl” (nda: Cima Le Bance) che costituisce l’ultimo rilievo a nord di questa dorsale e la cima del Cristallino. All’inizio estate, di solito, si scavalca questa sella e si preferisce continuare per la Val Banche che in questa stagione, per lo più, è ancora piena di neve; a metà estate e in autunno, invece, quando la Val Banche è ormai senza neve fino in alto e perciò difficile da percorrere, si sale in cima direttamente dalla sella per il ripido versante nord delle rocce terminali».
W. Eckerth, Il Gruppo del Monte Cristallo, 1891, Ed. La Cooperativa di Cortina, 1989.
Aggiungeva Eckerth una breve descrizione della Val Cristallino, pronunciandosi come segue: «Dalla forcella, che appare bipartita da un roccione centrale, ripidi canaloni nevosi scendono su un circo di ghiaie e sfasciumi. Questo circo, a sua volta, ha varie diramazioni ed è in parte coperto di neve e ghiaccio».
Noi scegliamo di non seguire le istruzioni di W. Eckerth ma di percorrere invece interamente la Val Cristallino, fino all’omonima forcella. Giunti là dove la valle si restringe improvvisamente, la pendenza inizia ad incrementare drasticamente e l’incedere sul ghiaione, il cui fondo è compatto e scivoloso, risulta sempre meno agevole. Procediamo, quindi, dapprima tenendoci all’estrema destra del ghiaione, sfruttando i generosi appigli che offre la parete rocciosa, per poi sfruttare una comoda fessura che ci permette di montare sopra il costone roccioso che costeggia il ghiaione (fig. 4, 5, 6 e 7). In verità, pochi metri dopo la fessura su cui saliamo, si trova un accesso molto più semplice, che non richiede di arrampicare, e permette di salire sul costone roccioso ancora più facilmente. Su questo terreno la progressione risulta sicuramente più comoda!
Ancora una volta, realizziamo quanto la valle che stiamo traversando sia remota e selvaggia; ad ogni passo, troviamo reperti bellici di ogni sorta, che lasciamo in loco a memoria degli aspri combattimenti che tormentarono questa valle, contesa tra italiani e austriaci, nel corso della prima guerra mondiale. Giungiamo ora ad un bivio o, meglio, alla confluenza di due canali. Il canale più a sinistra (E), appare stretto e coperto nella parte sommitale di neve. Il canale di destra, invece, sembra meno ripido e già intravediamo Forcella Cristallino baciata dal sole. Edoardo traversa la confluenza per verificare la percorribilità del canale a E (fig. 8) ma, dopo una breve perlustrazione, conveniamo di salire il più ampio canale di destra.
Iniziamo ora una salita che si rivela da subito tutt’altro che semplice. Il terreno è instabile e ad ogni passo muoviamo scariche di pietre. Scegliamo quindi di salire su due linee diverse: Edoardo, alla base della parete di sinistra (fig. 9 e 10), mentre io mi porto alla base della parete di destra, iniziando una dura salita che, tecnicamente, sembra più essere un lungo traverso in diagonale delle pendici rocciose (fig. 11).
Finalmente, giungiamo in Forcella Cristallino. Una luce violenta, accompagnata da un teso vento che si incanala in forcella, mi riempi gli occhi che, da ore, erano ormai abituati all’ombra. Tempo di abituare gli occhi alla nuova luce e metto a fuoco il luogo in cui siamo giunti. Forcella Cristallino è una minuscola sella che, sul versante S, degrada drasticamente in un ripido e stretto canale, marcio e dirupato. Il versante S scende così ripidamente che potremmo sederci a cavallo della sella (fig. 12). W. Eckerth lo descriva a fine ottocento come «un canalone roccioso che scende verso il bordo settentrionale del ghiacciaio di Popena» (si pensi a quanto è arretrata oggigiorno la fronte del ghiacciaio!!!). Visto dal basso, nei pressi della confluenza con forcella Michele, veniva descritto come
«un canalone che sale ripido ad una forcella divisa in due da un roccione centrale. Sul ramo sinistro della forcella si eleva la cima più alta dello sperone occidentale del Cristallino, mentre sul ramo destro sorgono le rocce della cima principale».
Entrambi siamo sorpresi; non ci aspettavamo un terreno così poco praticabile. Alla base del canale, nell’ombra, intravediamo la confluenza con l’angusto canale che scende da Forcella Michele, già percorso a luglio in discesa per esplorare il circo glaciale del ghiacciaio di Popena. Non ci perdiamo d’animo (almeno ora staremo un po’ al sole!) e ci imbraghiamo per calarci nel canale (fig. 13).
Edoardo appronta un ancoraggio intorno a un solido masso ed io inizio la disarrampicata. I primi metri del canale sono terrosi ed il piede solca piacevolmente il fondo. Dopo pochi metri, tuttavia, il terreno diventa roccioso. Ogni appiglio che prendo sulla parete mi si sgretola in mano e, complice il vento che si incanala nella gola, mi ritrovo presto occhi e bocca pieni di polvere. Tutto quello che tocco è marcio e, prima di poter fare affidamento su un appiglio, devo letteralmente smontare la parete per trovare qualcosa di solido! Procediamo con singoli tiri di una ventina di metri: appena riesco a trovare un anfratto riparato nella roccia, mi ci inserisco, così che Edoardo possa scendere a sua volta, senza che le scariche di pietre provocate dal suo passaggio mi investano. Con questa tecnica, facciamo tre calate. La prima e la seconda calata risultano abbastanza semplici da affrontare in disarrampicata (fig. 14, 15 e 16). La terza, invece, più ripida, prevede il superamento di un salto di roccia di circa un paio di metri d’altezza, ben levigato dalle acque piovane e privo di appigli (fig. 17 e 18).
Tutto ciò avviene al cospetto della magnifica cima del Popena, 3152 m, dell’Ago Loschner, 2939 m, di Punta Michele, 2898 m, e… del magico Ghiacciaio di Popena, la cui fronte abbiamo esplorato a luglio di quest’anno (leggi la relazione dell’itinerario) e che in questo periodo appare, naturalmente, meno innevato (fig. 19).
Conclusa la terza calata, ci troviamo a dover scegliere tra due itinerari alternativi. Il più “sicuro” e scontato prevederebbe la discesa fino alla confluenza con il canale che scende da Forcella Michele. Conosco quel canale, per averlo percorso in discesa tre mesi e mezzo fa: è ripido, ma non troppo, ed il fondo, per lo meno fino alla strettoia di metà canale, è ghiaioso. Chiaramente, tale soluzione implicherebbe un’ulteriore perdita di quota, per poi dover riguadagnarla superando una nuova forcella (Forcella Michele) con dura salita. Alternativa più intelligente ma di per certo più audace è traversare il costone della montagna, in direzione O, trovando una via che ci permetta di arrivare alla spalla meridionale del Cristallino di Misurina (dove, per intenderci, conduce il sentiero che sale dalla Val Popena, attraverso una nuova e comoda ferrata). L’idea è allettante ma non sappiamo quali incognite potremmo trovare. Alla fine, poiché la fortuna aiuta gli audaci – per lo meno sulla carta 🙂 – optiamo per la seconda strategia. Procediamo quindi di conserva, traversando un costone roccioso con saliscendi su agevole cengia (fig. 20), per poi salire di pochi metri, individuando un’ulteriore cengia (fig. 21).
Arriviamo quindi ad una parete che forma una sorta di diedro. Da qui, Edoardo sale per circa una decina di metri e predispone una prima sosta (fig. 22 e 23).
La fatica inizia a farsi sentire… sarà che non arrampicavo da dieci anni :-), ma sento i muscoli che rispondono pigramente per l’ipossia (e siamo solo a 2500 metri circa!). Inoltre, sono completamente sudato – la parete è in pieno sole – e disidratato. Mi sento un po’ mentalmente fiaccato ma realizzare che stiamo aprendo una nuova via mi rinfranca l’animo ed arrampico cercando di controllare bene la respirazione e muovermi il più fluidamente possibile. Superato il primo tiro, giungiamo in una ampia e comoda cengia, dove posso tirare un po’ il fiato. Ora siamo di fronte ad una parete verticale di almeno un’altra decina di metri. Edoardo la scala con la stessa facilità con cui si potrebbe portare a spasso un cagnolino con una mano mentre con l’altra mano si chatta (fig. 24). Sono impressionato dalla forza e dalla tecnica del mio odierno compagno d’avventura. Non mi resta che contemplare, ammirato, ed imparare (fig. 25).
Giunto in cima alla parete verticale, sento Edoardo approntare una seconda sosta. Questa volta, piantando i chiodi da roccia che, saggiamente, ha portato con sé. Inizio quindi a scalare ma, per la solita legge sull’entropia, accade l’inghippo: la corda si incastra in una fessura rocciosa mentre sto svolgendo un traverso diagonale in salita, creando un angolo che, in caso di caduta, mi farebbe violentemente “sbandierare”, prima di andare in tiro. Tenendomi saldamente all’appiglio con una mano, cerco di liberare con l’altra la corda, dandole delle poderose frustate che, tuttavia, non la svincolano dall’incastro. Mi tocca disarrampicare un paio di metri e riprovare a sbloccare la corda che non ne vuole sapere di liberarsi. Ritorno quindi alla base della parete e, solo nel momento in cui riporto la corda in linea verticale, riesco a tirarla fuori dall’abbraccio dello spigolo malandrino. Questa operazione deve essere durata almeno cinque minuti, che mi hanno ulteriormente prosciugato di energie. Ciononostante, l’arrampicata di questo tratto verticale, che Edoardo valuta essere un III+, mi offre grandissima soddisfazione. Dalla sommità del salto verticale, si procede agevolmente in leggera salita su una stretta cengia, in conserva, fino a raggiungere la cresta della la spalla meridionale del Cristallino di Misurina. Qui, finalmente, mi reidrato e mangio un po’ di frutta secca. Mi sembra di rinascere. Siamo entrambi profondamente soddisfatti di aver aperto una nuova via sulla parete ovest del Cristallino di Misurina (la nuova via, in verità, l’ha aperta Edoardo. Io mi sono limitato a seguirlo. Nonostante ciò, il nobile Edoardo lascia a me l’onore di battezzarla!). Sarà trascorsa almeno un’ora e mezza da Forcella Cristallino ed il sole di fine ottobre inizia a velarsi, sopra le maestose vette del Cristallo e del Piz Popena (fig. 26). Nel 1864, Grohmann descriveva così il panorama che ora ammiriamo: “la vista giù, verso Carbonin e Landro, è bella, quella sul Piz Popena e sul Cristallo è grandiosa e selvaggia“.
Ora si sale lungo la spalla meridionale, su traccia obbligata e ben indicata, superando sulla sinistra alcune gallerie di guerra, fino a giungere in breve ed agevolmente alla vetta del Cristallino di Misurina, 2775 m (fig. 27 e 28)!
Dalla vetta, scendiamo ora in direzione E, verso Forcella de Le Bance, per la stessa via di salita scelta da Grohmann e Ploner nel 1864, data della prima ascensione ufficiale. La discesa è abbastanza agevole; un alternarsi di strette e brevi cenge con facili roccette da disarrampicare. È sufficiente prestare un po’ di cautela a non scivolare sulla ghiaia del pendio. Giunti in prossimità di Forcella de Le Bance, la parete diventa più ripida (fig. 29) e le strette cenge più esposte. Preferisco chiedere a Edoardo di procedere in conserva e, così, superiamo facilmente anche gli ultimi metri.
Forcella de Le Bance, al contrario di Forcella Cristallino, è una comoda ed ampia sella che mette in comunicazione la Val de Le Bance con la Val de Le Barache, già visitata a luglio di quest’anno (maggiori dettagli sull’itinerario). La Val de Le Bance appare però parzialmente coperta da neve polverosa ed il terreno è molto più duro e compatto di quello trovato nella parallela Val Cristallino. Quanto aveva ragione W. Eckerth quando, nel 1879, descriveva la Val de Le Bance come una
«valle esposta a nord e resta in ombra quasi tutto il giorno. Chiusa ai lati dalle ripide pareti delle dorsali del Cristallino, essa si restringe in forma di gola nella parte superiore restando illuminata dal sole per breve tempo soltanto intorno al mezzogiorno».
Ciò si traduce, per me, in una discesa particolarmente faticosa… sarà che le gambe iniziano a sentire la fatica… ma non riesco a sentirmi sicuro ad ogni passo su questo terreno (fig. 30).
La discesa continua, estenuante, fino alla sella che mette in comunicazione la dorsale del Cristallino di Misurina con la Croda de Le Bance. Da questa altezza, non troviamo più neve ma il fondo resta particolarmente insidioso, durissimo, e lo scarpone continua a non riuscire a scavare il minimo gradino in discesa (fig. 31 e 32).
A questo punto, il pendio diventa sempre più moderato e, con esso, diminuiscono le mie difficoltà di progressione. Ci troviamo però di fronte ad un salto di roccia, alto circa un paio di metri. Non possiamo aggirarlo e siamo costretti a preparare un ancoraggio intorno ad un pesante masso, per effettuare una veloce calata.
Ormai inizia ad imbrunire e siamo effettivamente piuttosto stanchi. Ci troviamo circa a metà della Val de Le Bance. Accendo quindi la lampada frontale ed iniziamo un cammino infinito sulle ghiaie nella parte finale della valle, fino ad addentrarci nei tanto amati baranci, dove perdiamo la traccia (che invece prosegue sul versante idrografico destro della valle) e procediamo per un tempo che mi sembra interminabile verso valle, correggendo di tanto in tanto la traiettoria e seguendo come linea ideale lo spartiacque della Val de Le Bance (fig. 36).
Dopo un’infinita lotta dentro i mughi, intercettiamo, finalmente, la traccia che, nel bosco, mette in comunicazione Malga Mosca con il ponte de La Marogna, dove abbiamo l’auto. La traccia ci sembra un’autostrada, dopo undici ore di cammino fuori sentiero. Percorrendola in direzione NO, giungiamo finalmente alla meta, alle ore 20.20, stravolti ma soddisfatti!
DIFFICOLTÀ COMPLESSIVA: EEA. Discesa di Forcella Michele: F+ (traverso a metà del canale di Forcella Michele: II-III grado); salto di roccia in Val Fonda: PD (al massimo qualche passaggio di II grado). DURATA: 8.30 h – DISTANZA: 19 km – DSL: 1100m D+
PREMESSE
Nell’agosto del 2020, ho iniziato con l’amico Paolo l’esplorazione della Val Fonda, che particolarmente si presta ad innumerevoli interpretazioni alpinistiche in stile “Windchili”. Traversato l’anno scorso il ghiacciaio del Cristallo, e l’omonimo passo (chi volesse può curiosare qui), decidiamo quest’anno di traversare Forcella Michele (2591m), che separa la dorsale del Popena dal massiccio del Cristallino, ed esplorare poi il ghiacciaio di Popena, comunemente considerato “estinto”. L’attraversamento estivo di Forcella Michele, con calata nella conca glaciale sottostante, non trova precedente alcuno online, fatta eccezione per qualche scarna descrizione di salite invernali con sci d’alpinismo. La guida Camillo Berti del 1991 riporta che il canalone è percorribile «ma escursionisticamente difficile ed assolutamente sconsigliabile in presenza di neve dura o ghiaccio, senza adeguata attrezzatura (ramponi, piccozza e corda)» (C. Berti, Dolomiti della Val del Boite, Nuove edizioni Dolomiti, p. 195). La cartografia non indica alcuna traccia. Solo sulla carta Kompass edizione 2003, è indicata una traccia che dalla Val Fonda conduce alla dorsale del Popena. Non, tuttavia, a Forcella Michele. Le immagini satellitari, invece, permettono di apprezzare l’esistenza di un traccia che dalla Val Fonda sale alla conca del ghiacciaio di Popena, dirigendo apparentemente a Forcella Michele o Forcella Cristallino. Tale vecchia traccia, tuttavia, risulta improvvisamente interrotta essendo stata sommersa dalle colate di ghiaie scese dalle pareti sovrastanti. Sulla base di simili presupposti, non possiamo esimerci dal tentare questa nuova ed inedita traversata estiva. Lo stesso vale per l’esplorazione del ghiacciaio di Popena. Trovandosi nascosto alla vista dei rari escursionisti che si cimentano nella traversata del ghiacciaio del Cristallo (e soprattutto non conducendo da nessuna parte), resta una meta assolutamente remota e di scarso interesse escursionistico. Coglieremo inoltre l’occasione per fare una capatina anche al ghiacciaio del Cristallo, al fine di verificarne lo stato e confrontarlo con quanto esplorato l’estate scorsa. In ultima, proveremo a cercare quella via alternativa che ci viene suggerita per superare il salto di roccia che conduce nella parte inferiore della Val Fonda, evitando di entrare nella gola dove scorre la cascatella. In occasione di questa uscita, per dare maggiore forza e sicurezza alla “spedizione esplorativa”, si è unito a noi, accettando con entusiasmo la sfida, anche Giacomo, guida alpina di Cortina!
DESCRIZIONE DELL’ITINERARIO
Parcheggiata l’auto presso il Ponte Val Popena Alta, 1658m, imbocchiamo il sentiero 222 che, costeggiando il Rio Popena, risale gradualmente la Val Popena Alta. Al momento, presso il Ponte Val Popena Alta, un cartello comunica che il sentiero 222 è chiuso al transito. È probabile che tale indicazione trovi ragione in un leggero smottamento del costone sul versante orografico sinistro del Rio Popena, che ha cancellato il sentiero, a pochi minuti dall’imbocco del medesimo. Si procede comunque agevolmente, senza particolare difficoltà e pericolo, sulla stabile ghiaia della frana, per pochi metri, sino a riguadagnare l’evidente traccia del sentiero. Il sentiero continua ora dentro il greto ghiaioso del Rio Popena (fig. 1) fino a rimontare in leggera salita sul versante orografico sinistro, staccandosi così dal torrente.
Qui la deviazione non è evidente, tant’è che ci siamo trovati in un’amena radura prativa, circa una cinquantina di metri oltre il bivio (fig. 2).
Ritrovato il sentiero, prendendo gradualmente quota, si apre un magnifico panorama sulla Val Popena Alta (fig. 3) e, di lì a breve, si arriva all’innesto del sentiero 222a, che inizia la risalita in direzione O.
Si giunge quindi ad un bivio, dove una freccia sull’erba allestita con dei sassi ci indica di tenere la sinistra, procedendo sul sentiero più basso (fig. 4). Mantenendo sulla sinistra il Campanile di Val Popena Alta, il sentiero 222a conduce, risalendo con ampi tornanti (fig. 5), alla Val de le Barache, valle adibita durante la prima guerra mondiale a postazione di baracche e teleferiche che salivano alla sovrastante Forcella Michele, meta della nostra odierna salita (fig. 6 e 7).
Giunti ai piedi delle pareti del Cristallino, si trova una recentissima via ferrata che consente di evitare la salita all’interno del canalone detritico (salita precedentemente utilizzata per guadagnare quota). La ferrata si rivela estremamente piacevole, con semplici passaggi aerei sempre però su roccia ben solida e pulita, senza mai trovarci in esposizione (fig. 8, 9, 9a, 9b).
Terminata la via ferrata, si traversa uno stabile ponte di legno nei pressi di un enorme chiodo di ferro utilizzato probabilmente durante la prima guerra mondiale per l’assicurazione e le calate di materiale (fig. 10). Si sale quindi a zig zag tra piccole cenge franose e canali detritici, sempre comunque senza alcuna esposizione, sino a giungere, intorno a quota 2630m, presso i resti di alcuni baraccamenti tra tronchi di larice, chiodi e filo spinato (fig. 11 e 12). Scriveva Antonio Berti:
«dal villaggio (ndr: Val delle Baracche) un ardito sentiero ricavato con sostegni, scavi, riporti di notevole impegno, risaliva a zig zag la parte superiore del valloncello per poi arrampicarsi sulle rocce del versante orientale del Cristallino fino a raggiungere la cresta meridionale del monte poco sopra Forcella Michele».
A. Berti, 1915-1917 Guerra in Ampezzo e Cadore, Mursia, 1992, pag. 116.
Dopo una breve pausa ristoratrice iniziamo la discesa verso Forcella Michele, avvalendoci di comode tracce e transitando nei pressi di due caverne scavate nella roccia durante le prima guerra mondiale. Forcella Michele è ora in vista. Per raggiungerla è necessario effettuare un breve traverso diagonale su terreno friabile (fig. 13) ed eccoci in forcella, a 2591m (fig. 14).
Ora inizia la parte più difficile 🙂 nonché l’incognita principale della nostra esplorazione. L’aspetto positivo è che il canalone che scende verso NO dalla Forcelle Michele non mostra una pendenza particolarmente sostenuta. Di contro, il terreno si rileva piuttosto insidioso, marcio e frammisto di grosse rocce franate dai ripidi pendii sovrastanti (fig. 15, 16, 16a). Non è quindi possibile ipotizzare una spensierata e fluida discesa su ghiaione… anche perché dopo una ventina di metri inizia la neve, che copre ancora tutto il canalone fino alla sua base! Procediamo, quindi, con particolare cautela, senza peraltro indossare i ramponi, visto che la neve non è poi così compatta (fig. 17 e 17a). Nel mentre, veniamo avvolti dalla nuvola ed inizia a piovere! L’ambiente è severo; sulle pareti del Cristallino scorgiamo postazioni di guerra sulle pendici del Cristallino e, nei primi metri di discesa, il ghiaione ci svela un caricatore di fucile, una pallottola e filo spinato in abbondanza. Presto detto: esattamente qui si trovava la linea del fronte italiano durante la prima guerra mondiale!
Ed ecco il primo ostacolo! Là dove la gola si restringe, la neve alla base si è sciolta, erosa dalle acque piovane convogliate dalle sovrastanti pareti. Ciò ha comportato che si sia venuto a creare un ben poco affidabile ponte di neve, con sotto un bel buco di oltre due metri. Giacomo scende in perlustrazione sotto il ponte di neve, per cercare un possibile passaggio, ma il salto diventa ancora più profondo e ci andremmo a complicare ulteriormente la vita (fig. 18). Non ci resta che scegliere la via più ripida e predisporre un ancoraggio per calarci per circa cinque metri al di là di un enorme masso squadrato (fig. 19). Osservandone le forme ben squadrate, suppongo trattasi verosimilmente di un masso franato da una delle sovrastanti cime che è rotolato fino ad incastrarsi nella gola. Sarei propenso a scommettere che Camillo Berti non ha rinvenuto tale “occlusione”, con conseguente salto a valle, nelle ricognizioni svolte negli anni ’80, altrimenti avrebbe classificato la via come non escursionisticamente percorribile.
Iniziamo quindi la calata. Apre il sottoscritto che, piuttosto che calarsi, si cimenta in un traverso lungo la parete marcia, pulendo detriti e ricavando appigli apparentemente affidabili (fig. 20). Segue Paolo e chiude Giacomo calandosi in corda doppia (fig. 21 e 22).
Superato il salto di roccia, la discesa non presenta ulteriori ostacoli e si svolge agevole sino all’intersezione del canalone che scende da Forcella Cristallino (fig. 23 e 24), dove deviamo con decisione a destra, verso S, così tenendoci a ridosso delle pareti della dorsale del Popena, uscendo dal canalone innevato.
Decidiamo di prendere come punto di riferimento una curiosa “porta” (fig. 26) che conduce ad un comodo e breve ghiaione (fig. 27), dal quale poi traversiamo un nevaio e, con facile discesa, approdiamo sull’antico terreno morenico del ghiacciaio di Popena.
IL GHIACCIAIO DI POPENA
Scriveva W. Eckerth nel 1886, esplorando il gruppo del Cristallo in compagnia della guida Michel Innerkofler:
«il ghiacciaio di Popena si trova ai piedi delle pareti Nord-occidentali della dorsale del Popena e si estende da una quota di 2600m fino a meno di 2500m. A seconda della stagione appare coperto di neve o da uno strato di ghiaia e può facilmente esser preso per un semplice circo di ghiaie e neve».
W. Eckerth, Il gruppo del Monte Cristallo, 1891, Ed. Cooperativa di Coortina, 1989, p. 163
Ulteriormente Eckerth sottolineava che «il ghiacciaio di Popena è tanto nascosto quanto impervio e quindi non deve far meraviglia che la sua esistenza sia quasi sconosciuta» (W. Eckerth, Id., p. 133). Effettivamente, salendo per la Val Fonda, non è possibile avere visione della conca glaciale superiore conchiusa ai piedi delle pareti N – NO del monte Popena. Sarà forse questo il motivo per cui, dagli anni ’30 agli anni ’60, i glaciologi non hanno rivolto approfondite attenzioni al ghiacciaio di Popena. Le ultime significative osservazioni prima di questo “vuoto” temporale, furono svolte dal glaciologo Celli, il quale, nell’agosto del 1933, rilevava che «la fronte glaciale arriva col suo lobo più avanzato, coperto da detriti, alla quota 2370 circa, presso un grosso masso (…)». (Bollettino del Comitato Glaciologico Italiano, vol. 14, 1934). Bisogna poi aspettare i primi anni ’60, per apprezzare una nuova e significativa manifestazione di interesse verso tale apparato glaciale. In particolare, con riferimento agli anni 1960-61, il glaciologo Piera Nicoli osservava che il ghiaccio di Popena era “in regresso”, con una superficie di 19 ettari ed un “innevamento frontale scarso” (Bollettino del Comitato Glaciologico Italiano, 1962). A distanza di venticinque anni, nell’agosto del 1986, il glaciologo Perini approfondiva ulteriormente il tenore delle osservazioni e rilevava che
«la crepacciatura è evidente solo sulla sinistra, a quota 2530, dove il ghiaccio aggira uno spuntone roccioso. La zona frontale è sempre sommersa da detriti morenici, che lasciano solo in parte intravvedere il ghiaccio». Riscontrava, inoltre, un «leggero ritiro frontale, anche se tutto l’apparato glaciale sembra stabile; non si notano archetti morenici frontali
Geografia Fisica e Dinamica Quaternaria, vol. 10, 1987
Nell’agosto dell’anno successivo, il Perini registrava quanto segue:
un leggero rigonfiamento evidenzia, quest’anno, nettamente la fronte; corpi di ghiaccio morto, staccatisi presumibilmente di recente, sono presenti nella parte destra frontale. I crepacci sono sempre ben evidenti sulla sinistra orografica, nella parte alta, alcuni profondi 8-9 metri.
GFDQ, vol. 11, 1988
Pochi anni dopo, nell’estate del 1991, il Perini osservava che «la situazione di questa ghiacciaio è di una certa stabilità, dovuta anche al riparo esercitato dalle alte pareti del Piz Popena». (GFDQ, vol. 15, 1992) e, nell’agosto del 1993, «sempre più massiccia la copertura detritica che maschera la zona frontale; al di sopra del grande accumulo morenico situato poco a monte, invece, il ghiaccio è abbastanza pulito».
Successivamente, nell’agosto del 1995, Perini rilevava che
«è in aumento il detrito galleggiante; vistose sono alcune bedieres, con cospicua acqua di scorrimento. A monte del grande cono si è formato un laghetto di sbarramento morenico di 70-80 mq, su cui si immerge anche il ghiaccio».
GFDQ, vol. 19, 1996
Nell’agosto del 1996, il glaciologo constatava la diminuzione dello spessore del ghiacciaio, rilevando che «dal confronto fotografico con foto di 15 anni fa, impressionante è ora la notevole riduzione di spessore del ghiaccio, che è di parecchi metri» (GFDQ, vol. 20, 1997). Con la fine degli anni ’90, le misurazioni del ghiacciaio da parte dei glaciologi venivano interrotte, come anticipava il Perini in sede di visita nell’agosto del 1997:
«il detrito galleggiante ricopre ormai gran parte della superficie glaciale e una profonda bédière incide il ghiaccio dal settore centrale sino a quasi alla fronte. (…) Se la situazione di copertura detritica e di infossamento del corpo glaciale si accentueranno nei prossimi anni, sempre più difficilmente si potranno eseguire dei controlli significativi».
GFDQ, vol. 21, 1998
Veniamo quindi alle osservazioni svolte in sede di sopralluogo, in data 18 luglio 2021. Avvicinandoci alla presunta fronte del ghiacciaio di Popena, rileviamo, innanzitutto, un considerevole arretramento della fronte rispetto alle misurazioni svolte nel 1933. In particolare, abbiamo identificato quel “grosso masso” individuato dal glaciologo Celli quale limite della fronte… masso che, sicuramente, non si è mosso di un centimetro in novant’anni! Si è invece sicuramente mossa la fronte del ghiacciaio di Popena, che risulta drasticamente arretrata. Difficile stabilire a che quota sia la fronte, considerato l’importante innevamento residuo e l’abbondante copertura di detrito. In merito, si segnala una recente e significativa frana dalle pareti del Popena, che ricopre la neve dell’ultima stagione invernale. (fig. 31).
Si rileva, inoltre, l’estinzione del laghetto di sbarramento morenico riscontrato dal glaciologo Perini nell’agosto del 1995. Lo stesso laghetto, veniva ancora riportato nella carta Tabacco, edizione 2017. Non è invece più rilevato nelle ultime edizioni. Ritengo di poterne individuare la collocazione corretta, a quota 2300m circa, dove sorge una modesta depressione colma di neve velata di detrito finissimo. È probabile che, in occasione di importanti precipitazioni, questo avvallamento raccolga le acque di confluenza dell’intera conca glaciale del ghiacciaio di Popena (fig. 32). Inoltre, transitando presso i margini del laghetto estinto, si ode nitidamente il gorgoglio delle acque di fusione del ghiacciaio di Popena, che scorrono sotto la neve e si perdono nelle rocce per poi riemergere in Val Fonda. In questo avvallamento, dovrebbe anche confluire un ruscelletto che sorge intorno ai 2600m, sulle pareti poco sottoPunta Michele. Di sicuro, tuttavia, è scomparso il ghiaccio che si immergeva nel laghetto, come da rilevazione del glaciologo Perini nell’estate del 1994.
Considerato lo stato di persistente innevamento residuo, risulta impossibile svolgere ulteriori osservazioni sullo stato del ghiacciaio di Popena. Ciò che si può ipotizzare, anche sulla scorta delle osservazioni svolte dai glaciologi fino agli anni ’90, è che il ghiacciaio di Popena sia tutt’altro che estinto. Se è indubitabile, infatti, che lo spessore del ghiaccio sia drasticamente diminuito negli anni, comportando una significativa regressione della fronte, è altrettanto vero che le continue scariche dalle pareti circostanti hanno agito quale copertura della superficie glaciale. È infatti verosimile che il ghiacciaio di Popena sia ormai rivestito da un’alternanza di strati di detriti franosi, sui quali si deposita la neve stagionale, che a sua volta è stata coperta da detriti franosi nelle stagioni calde, per poi essere nuovamente sommersi dalla neve invernale, e così via. Non potendo svolgere ulteriori osservazioni, decidiamo, muovendo dal crinale più esterno della morena (fig. 33), di aggirare lo sperone di Popena, il più strettamente possibile (fig. 34), e recarci presso la fronte del ghiacciaio del Cristallo, per valutarne lo stato.
Dopo una faticosa risalita dei ripidi e antichi depositi morenici del ghiacciaio del Cristallo, giungiamo finalmente ai suoi piedi (fig. 35). Come per il ghiacciaio di Popena, siamo impossibilitati dallo svolgere le opportune osservazioni sullo stato del ghiacciaio del Cristallo, a causa del persistente innevamento residuo. Per mera curiosità, si osservi il confronto tra l’attuale innevamento, in data 19 luglio 2021, e la situazione riscontrata nell’agosto 2020 (fig. 36). La speranza è che le considerevoli precipitazioni nevose registrate nella stagione invernale 2021 siano tali da aver contribuito a preservare quanto è rimasto dei ghiacciai dolomitici (se non, addirittura, ad incrementarne leggermente la massa!).
IL SUPERAMENTO DEL GRADONE ROCCIOSODELLA VAL FONDA
A questo punto, non ci resta che proseguire per l’ultimo obiettivo: trovare quell’antico sentiero (attrezzato?) che permette di superare il salto di roccia della Val Fonda, senza entrare nella gola con la cascata. A fine ottocento, Theodor Wundt scriveva che, risalendo la Val Fonda, il gradone
«è formato da pareti rocciose verticali, non facili da superare. Anche qui Michel (nda: Innerkofler) aveva raccomandato cautela. ‘Assicurati di trovare la via giusta, altrimenti puoi arrampicarti lì dentro tutto il giorno e non andare oltre».
Questo era il monito del grande alpinista Innerkofler all’epoca. Più recentemente, Camillo Berti scrive che «il passaggio si trova sulla sinistra idrografica ed è caratterizzato da un vecchio piolo di ferro contorto» (C. Berti, Id.). Fabio Cammelli, nella guida “Dolomiti – Monte Cristallo”, scrive che un tempo
«i salti di roccia sotto il circo glaciale superiore della Val Fonda venivano superati salendo a lato delle cascate con le quali l’acqua di fusione del ghiacciaio precipitava verso valle: si trattava di una breve ma non facile arrampicata su rocce sovente ricoperte da un sottile strato di ghiaccio».
Aggiunge Cammelli che nella primavera del 1885, il CAI Alpino Austro Tedesco
«fece sistemare un buon sentiero che dai pressi dell’imboccatura della Val Fonda s’innalzava lungo il fianco sinistro della valle (destra orografica) per poi proseguire a mezzacosta tenendosi alto sopra l’alveo del torrente. Giunti sotto il gradone roccioso (…), il sentiero si portava sull’opposta sponda grazie a una passerella formata da due tronchi, per poi salire alla base del salto roccioso soprastante, che a sua volta veniva superato grazie all’aiuto di una scala a pioli incastrata ad arte nella roccia».
F. Cammelli, Dolomiti – Monte Cristallo, 101% Vera Montagna, Ed. Paolo Beltrame, 2010, p. 92.
Prima dell’allestimento di simile struttura, nel 1862, Paul Grohmann scriveva
«per arrivare al passo (ndr: del Cristallo) bisogna attraversare il ghiacciaio, il cui accesso è all’estremità della Val Fonda lungo l’acqua che proviene dai nevai. Un tempo questo accesso era abbastanza curioso perché occorreva passare carponi attraverso un foro sotto la roccia; ma adesso, a quanto mi è stato detto, il foro è crollato e non esiste più».
Quanto sopra è confermato dallo stesso Eckerth, che nel 1891 scriveva
«Questi salti si superano con l’aiuto di una scala a pioli di legno incastrata con arte nella roccia. Prima che la scala fosse costituita, i salti di roccia si superavano salendo a lato delle cascatelle, un’arrampicata di più di un quarto d’ora a breve distanza dall’acqua spumeggiante, il che, nelle mattinate fredde, non era tra le cose più gradevoli».
Ciò premesso, Cammelli scrive che (perlomeno fino al 2010)
«presso l’imboccatura di un largo e ripido canale, si scorgono tre tronchi di legno posizionati orizzontalmente su piani sovrapposti (…). Il primo tronco di legno è situato circa tre metri più in alto rispetto alla base del canale: lo si raggiunge risalendo un corto ma ripido salto di rocce friabili (talora bagnate; I e II grado). Oltrepassato un secondo tronco, posto poco sopra il primo, si sale più facilmente sino a portarsi all’altezza di un terzo tronco incastrato: da qui non si prosegue più all’interno del canale bensì si continua a sinistra, verso l’esterno, per poi rientrare nella spaccatura lungo una breve e comoda cengetta rocciosa, che corre obliquamente da sinistra verso destra. Seguono due corti gradoni un po’ più ripidi e impegnativi (ma sempre ben appigliati; I e II grado; alcuni spit su cui eventualmente far sicurezza) che consentono di uscire dal canale e di raggiungere, alla propria sinistra, un piccolo pulpito roccioso. In breve, grazie anche all’aiuto di alcuni vecchi fittoni metallici, si superano le soprastanti facili roccette e si perviene al bordo superiore del gradone roccioso di sbarramento della Val Fonda».
F. Cammelli, Id., p. 198
Noi, nell’estate del 2020, non abbiamo trovato alla base del gradone roccioso alcuna traccia del presunto sentiero attrezzato, così come descritto dai sopra menzionati autori, né tantomeno alcuna evidenza dei tronchi citati dal Cammelli. Provenendo dalla conca glaciale superiore della Val Fonda, invece, riscontriamo effettivamente l’esistenza di una traccia di sentiero e qualche ometto, una ventina di metri a sinistra dell’intaglio con la cascata. La traccia interseca presto un non insignificante canale di sfogo di acqua e ghiaia che, nel tempo, hanno completamente eroso il margine superiore del salto di roccia, il quale appare come roccia viva levigata e coperta di detrito (fig. 37).
Si superano un paio di gradoni e ci si trova sullo strapiombo. Da qui, in discesa verticale, si distinguono subito i tre/quattro grossi e vetusti fittoni con anello citati da Fabio Cammelli (un paio abbastanza mobili), entro i quali verosimilmente era assicurata una corda nei tempi che furono (forse installati proprio dal CAI Alpino Austro-Tedesco nell’intervento del 1885) (fig. 38). Organizziamo quindi una prima calata verticale, che ci permette di superare i due primi salti di roccia (fig. 39).
Completata la prima calata, si apre sotto di noi il profondo canale che fende la roccia in diagonale, entro cui, tuttavia, non rinveniamo alcuna traccia dei famosi tronchi descritti da Cammelli nella sua guida. Svolgiamo quindi la seconda calata. L’arrampicata si rivela abbastanza difficile poiché ogni appiglio trasuda acqua e si stacca. Tanto vale calarci di peso, anche per agevolare Giacomo che ci sta facendo sicura presso la sosta allestita sull’ultimo gradone di roccia prima dello strapiombo. Scendo io, poi Paolo (fig. 40) ed infine Giacomo (fig. 41).
A posteriori, resto nel dubbio se sia più conveniente percorrere la via appena svolta oppure la gola con la cascata, come fatto l’anno precedente in agosto. Probabilmente, in salita sceglierei la traccia odierna mentre in discesa ritengo più comodo e diretto scendere per la cascata, calandosi in doppia assicurati al robusto anello infisso nella roccia poco dopo l’ingresso nella gola. Da segnalare, inoltre, l’assenza di ometti o altro tipo di segnalazione volto a indicare l’imbocco del canale di risalita; o lo si conosce, oppure non lo si trova. Ad ogni modo, il salto della Val Fonda resta un ostacolo da affrontare sempre con le dovute cautele, poiché la roccia marcia ed il terreno bagnato riservano sempre qualche imprevisto. La foto scattata dall’amico Riccardo nei pressi di forcella Rauhfofel rappresenta esaustivamente le due possibili soluzioni di salita/discesa. In corrispondenza del cerchio rosso, è infisso il grosso e robusto anello nella roccia per assicurarsi (fig. 41a).
Ciò detto, abbandonata la frana ai piedi del salto roccioso, si ritrova il sentiero che traversa l’intera Val Fonda (fig. 42, 42a e 43).
Inizia ora una lunga discesa, camminando su terreno sempre instabile, lasciando alle spalle la cascata della Val Fonda (fig. 44) e guadando di volta in volta i vari rami del rio, scegliendo la strada che sembra più diretta e con il fondo di sassi meno grossi :-). Si procede fino a che, in corrispondenza del restringimento della gola della Val Fonda, si trova una vecchia traccia, che risale leggermente il costone tra frane e pini mughi, sul versante orografico destro del rio. Trattasi del già menzionato sentiero allestito dal CAI Alpino Austro-Tedesco nella primavera del 1885, che permette un incedere più rilassato e, soprattutto, consente un transito più sicuro in caso di pioggia, evitando di trovarsi nel bel mezzo del restringimento della gola sul greto del rio che ingrossa ricevendo le acque delle pareti circostanti e dell’intero circo glaciale del Cristallo/Popena.
Si arriva, infine, al parcheggio di Ponte de la Marogna, 1470m, dove abbiamo la seconda macchina per rientrare al parcheggio presso il Ponte di Val Popena Alta.
Ecco il video completo dell’itinerario montato ad arte da Paolo!
Per ulteriori informazioni circa il descritto itinerario, e soprattutto per apprezzarne adeguatamente l’intensità e le emozioni, rimando alla lettura dell’affascinante relazione scritta dall’amico Paolo.
DIFFICOLTÀ COMPLESSIVA: EEA – Canale Val Fonda: II grado – Ghiacciaio: F+ DURATA: 8/9 h – DISTANZA: 19 km – DSL: 1330 m+
DATA: 8 agosto 2020 (con aggiornamenti sullo stato del ghiacciaio del Cristallo a luglio 2021, agosto 2022 e agosto 2023)
PREMESSE (follow ENG)
È da anni che ho in mente di fare questo giro: la traversata della Val Fonda, da Ponte de la Marogna, superando il ghiacciaio del Cristallo per giungere al Passo del Cristallo, 2808m, e da lì discendere al passo Tre Croci per la ripida Graa de Cirigières. La titubanza nell’affrontare tale itinerario nasce dal fatto che, ad oggi, non si trovano recensioni complete di questa traversata in periodo estivo, complice anche il fatto che, per la maggior parte del tragitto, non si tratta di un vero e proprio sentiero numerato ma di una traccia. Le vecchie guide cartacee restano abbastanza sul vago. La Fabio Cammelli del 1994 parla di “traversata alpinistica di alta difficoltà”, considerando però l’itinerario nel verso opposto, con partenza dal Tre Croci. Online, esiste un unico reportage, molto accurato, datato 2013, dove però non si raggiunge il passo Cristallo. L’incognita resta, ovviamente, lo stato di innevamento del ghiacciaio. Da non dimenticare, infatti, che il ghiacciaio del Cristallo era pur sempre uno dei più estesi ghiacciai delle Dolomiti, con i suoi 35 ettari misurati nel 1957, e che qui, nell’agosto del 1888, perse la vita il celebre alpinista Michele Innerkolfer, cadendo in un crepaccio a seguito del crollo di un ponte di neve (che aveva già percorso nella salita con i suoi clienti poche ore prima).
Nel 1893, Theodor Wundt descrive il ghiacciaio del Cristallo come un “selvaggio ghiacciaio, ripido e lacerato da numerosi crepacci. Le sue masse di ghiaccio pendono come cresciute sulle pareti rocciose e si estendono come fiumi ghiacciati fino alle vette più alte” (Wanderungen in den Ampezzaner Dolomiten, p. 61). Il CAI di Conegliano, nell’estate del ’69, evidenziava “crepacci laterali, bocche di ghiacciaio e morene affioranti”. Il glaciologo G. Perini osservava nell’agosto dell’81 “crepacci più marcati sul lato destro del ghiacciaio”. La guida Camillo Berti del ’91 parla di “canalone di ghiaccio crepacciato che richiede esperienza alpinistica su ghiaccio ed attrezzature adeguate”. La guida Fabio Cammelli del ’94 descrive il tratto apicale del ghiacciaio come “assai ripido e crepacciato”. La guida di sci alpinismo Burra-Galante del 2014, afferma che il ghiacciaio “presenta anche crepacci, generalmente occlusi dagli accumuli di valanga”. Il CAI di Conegliano, nell’aprile 2015, evidenzia un “grosso serracco” a pochi metri dal passo Cristallo. A questo punto, sono vinto dalla curiosità di esplorare questo ghiacciaio! Ed eccoci quindi qui con il capace compagno di cordata Paolo, che ha prontamente accettato di accompagnarmi in questa avventura!
RELAZIONE DELL’ITINERARIO
Lasciata la macchina a Ponte de la Marogna, ci si incammina in direzione S sull’ampio greto del torrente fino ad inoltrarsi, superato un tipico canyon dalle pareti strapiombanti, nella selvaggia e remota val di Fonda.
Si procede, sempre verso S, guadagnando lentamente quota, guadando un paio di volte il rio Fonda e risalendo la valle su ghiaie e rocce instabili, fino a presto smarrire la traccia vera e propria.
Il punto di riferimento diviene quindi una cascata da avvicinare sul fronte occidentale, fino a che si individua una timida traccia che sale tra ghiaie e chiazze d’erba.
La traccia devia quindi con decisione verso W, per poi ripiegare in salita in direzione E. A questo punto, ci si trova ai piedi di un salto di roccia che, come un enorme scalino, separa la val Fonda dal circo del Cristallo. La traccia diviene sempre più incerta, fino a perdersi tra gli smottamenti che l’hanno sormontata.
Si procede quindi con passo fermo e sicuro su terreno franoso, puntando al canalone da cui scende ripido il rio Fonda. Rigorosamente muniti di caschetto, si inizia la salita di uno dei tratti più delicati dell’itinerario, definiti dalla guida C. Berti, ed. ’91, come “turisticamente non facile“. Si suggerisce di guadare il rio e portarsi sulla parete sinistra del torrente per iniziare a salire i primi metri.
Poco dopo, risulta necessario attraversare nuovamente il rio portandosi al centro del canale su un affioramento roccioso compreso tre le acque vivaci che scendono a sinistra con cascatella e quelle più timide che scendono sulla destra del canalone. Si procede quindi arrampicando, cercando di mantenere una traiettoria il più possibile vicina al torrente a sinistra. Si superano tre salti rocciosi particolarmente insidiosi, non tanto per la difficoltà tecnica della scalata quanto perché gli appigli risultano particolarmente inaffidabili, cedendo alla minima pressione. Attenzione, inoltre, alle rocce sdrucciolevoli su cui si cammina. NOTA: a tre quarti della salita si trova un punto di sosta attrezzata. In caso si provenga dal verso opposto, appare sensato svolgere la discesa in corda doppia. Procedendo invece nella direzione da noi preferita, il primo può agevolmente assicurare ad una corda chi, più sotto, dovesse trovarsi in difficoltà. In alternativa, è possibile non entrare nel canale del torrente ma salire, in prossimità del grande masso di cui in fig. 4, imboccando un ripido canale ove nella primavera del 1885 il CAI Alpino Austro-Tedesco aveva allestito un sentiero attrezzato. Maggiori dettagli sull’ubicazione di tale accesso e sulla descrizione del sentiero attrezzato possono reperirsi qui.
Superato il balzo di roccia, l’ambiente muta completamente. Il circo del Cristallo si perde a vista d’occhio nella sua maestosità, sovrastato sul versante orientale dalle ripide ghiaie del circo glaciale del Piz Popena.
La linea immaginaria da tenere è ora centrale, mirando al canale N tra cima Cristallo e il Cristallo di mezzo, fino a raggiungere quota 2300 circa, su area più pianeggiante, dove a fine nell’800 il ghiacciaio premeva imponente (fig. 11). Da questa posizione si possono finalmente ammirare il ghiacciaio del Cristallo, sormontato dall’omonimo ripido passo.
IL GHIACCIAIO DEL CRISTALLO
Un ghiacciaio è, innanzitutto, storia. Una storia che ho voluto approfondire, prima di compiere questa traversata, per meglio capire i mutamenti che la nostra montagna sta subendo.
Paul Grohmann, nel 1862, scriveva: “Da Carbonin sono stato tre volte al passo del Cristallo e due volte ho trovato facile la traversata del ghiacciaio, ma quanto invece ci andai la prima volta con Ploner e Angelo Dimai, il centro del ghiacciaio, ove questo assume la sua massima pendenza, era sconvolto da numerosi crepacci, per cui, per passare, dovemmo usare corda e piccozza, impiegando ben quattro ore sino al passo (…)”. Pochi anni dopo, W. Eckert descriveva l’attraversamento del ghiacciaio avvenuto in data 24 luglio del 1879: “Un grande buco imbutiforme si apriva nel centro del circo glaciale e dava nell’occhio in modo particolare, facendo pensare all’esistenza di un crepaccio colmo di neve; una cinquantina di metri più su, due crepacci aperti indicavano in modo assolutamente inequivocabile una spaccatura che attraversava tutto il ghiacciaio. A quota 2650, divisi da un ponte di neve piuttosto largo che saliva dal fondo, si aprivano altri due crepacci, notevolmente più grandi dei precedenti, rilevatori di una seconda gigantesca spaccatura che a sua volta tagliava il ghiacciaio per traverso. I crepacci erano larghi circa 3 metri, profondi 4 e lunghi da 6 a 8. Le parete laterali scendevano lisce e verticali sul fondo che era coperto di neve e apparentemente piuttosto piatto, sicché i crepacci sembravano due strette stanze scoperchiate. Finalmente, a quota 2700, dove il ghiacciaio diventa improvvisamente più ripido, appariva quell’enorme crepaccio che non si riempie mai di neve, neanche negli inverni più nevosi (…) Questo crepaccio era poco più largo ma notevolmente più profondo del precedente e le sue pareti non scendevano verticali, ma inclinate l’una verso l’altra cosicché esso tanto più si restringeva quanto più diventava profondo. Il suo bordo dalla parte del passo sovrastava quello inferiore di almeno due metri e nessun ponte di neve scavalcava completamente lo spacco. Per superarlo bisognava scendere per un ponticello di ghiaccio, coperto di neve, che attraversava trasversalmente la spaccatura dalla quale, arrivati circa nel mezzo, si poteva raggiungere un ponte di neve inarcantesi arditamente verso l’orlo superiore“. Scriveva J. Rabl nel 1882: “a causa della ripidezza della falda rocciosa su cui poggia (il ghiacciaio) esso è molto crepacciato e presenta una bella fronte glaciale solcata da azzurri seracchi iridescenti“. (Führer durch das Pusterthal u. die Dolomiten). Nell’agosto del 1888, uno dei ragazzi accompagnati dalla guida M. Innerkolfer, tragicamente perita nel crollo del ponte di neve sul crepaccio di quota 2700m, riferiva di essere caduta nel fondo, a ben 20 metri di profondità. Il 26 agosto 1933, il glaciologo Celli scriveva che il ghiacciaio “inizia al passo del Cristallo con larghezza di poco superiore al centinaio di metri e scende allargandosi man mano, contenuto tra le ripide pareti del Cristallo e del Popéna, sino al termine dello sperone N del Popéna, ove presenta una fronte di quasi 500m di larghezza“. Il ghiacciaio – aggiungeva Celli – “ha lunghezza nel senso del pendio di circa 1200m, larghezza media di circa 325m e inclinazione media di circa 25°. (…) In proiezione orizzontale la superficie risulta di 36 ettari. (…) La quota più bassa del ghiacciaio fu riscontrata a 2308m“. Celli, inoltre, misurò la fronte del lobo orientale a 2320m e quella del lobo occidentale a 2295m. A distanza di quasi vent’anni, il 30 agosto 1950, il glaciologo Nicoli rimisurava l’altitudine dei due lobi del ghiacchiaio: 2270m il lobo orientale e 2305m il lobo occidentale. Trascorsi trent’anni, nell’agosto del 1981, il glaciologo G. Perini registrava una quota minima del fronte a 2330m. Osservando la cartagrafia, la Tabacco ed. ’85 mostrava come il ghiacciaio, nella parte sommitale, si ergesse ancora fino il passo Cristallo, e come fosse costituito da tre elementi: un ghiacciaio principale, che sale al passo del Cristallo tra il sottogruppo del Piz Popéna e le cime del Cristallo; un grande nevaio, centrale, che scende dal c.d. canale nord, tra la vetta principale del Cristallo, 3205m, e la vetta del Cristallo di mezzo, 3154m; un terzo nevaio minore, che scende da un canalino tra la cima del Cristallo di mezzo e la cima Nord-Ovest, 2950m. “Nella parte mediana del ghiacciaio – osservava Perini nell’estate del ’85 – si notano numerosi crepacci aperti“. A distanza di pochi più di trent’anni dalle prime osservazioni del glaciologo Perini, molto è cambiato…Consultando la carta Tabacco ed. 2017, si osserva come il ghiacciaio si sia ritirato fino a quota 2400m, abbandonando a est, sotto le pendici del Popéna, un isolotto di ghiacciaio a sé stante (il distaccamento del lobo orientale era invero avvenuto già nel 2007). La parte sommitale non raggiunge più il passo del Cristallo ma è retrocessa di una trentina di metri circa. Il secondo nevaio, a ovest del canale nord, è scomparso. Nell’agosto del 2018, Perini misura una regressione di 14 metri del fronte rispetto al 2015. Scrive Perini: “Il ghiacciaio (…) è completamente asimmetrico, perché il lobo sinistro (…) è risalito ormai al di sopra del grande affioramento roccioso. (…) La fronte del ghiacciaio, in corrispondenza del lobo destro, scende ancora al di sotto dell’affioramento roccioso. Questa terminazione, coperta da uno strato spesso di detriti, è ancora parzialmente visibile grazie ad un leggero rigonfiamento“. Vediamo ora la carta Tabacco ed. 2019. Sebbene il fronte si attesti sempre intorno a quota 2400m, il ghiacciaio si è paurosamente ristretto in larghezza! Il nevaio del canale nord, inoltre, non è più segnato…
Ed ecco qui i rilevamenti svolti in questa spedizione ricognitiva! Si confermano le osservazioni del Perini in merito all’asimmetria del ghiacciaio. Difficile stabilire, tuttavia, dove inizi il vero ghiacciaio, a causa della presenza di detriti e di un nevaio, sulla fronte occidentale, già da quota 2350m. Nevaio, che peraltro, copre interamente il canale N tra la cima del Cristallo e il Cristallo di mezzo.
Si raggiunge quindi la base del massiccio affioramento roccioso che divide il ghiacciaio in due lobi. Il lobo orientale ha una fronte apparentemente netta e visibile, a quota 2390, in corrispondenza del menzionato affioramento. Fabio Cammelli, nella sua guida “Dolomiti – Monte Cristallo” datata 2010, suggerisce di attaccare il ghiacciaio dal lobo orientale (F. Cammelli, Dolomiti – Monte Cristallo. Collana 101% Vera Montagna, Ed. Paolo Beltrame, 2010, p. 198). (fig. 13a). Questa è infatti la traiettoria che, fin dalle prime esplorazioni del ghiacciaio, è stata sempre preferita. Così descriveva la scalata del ghiacciaio del Cristallo Theodor Wundt, nell’ultima decade dell’ottocento: “Dapprima abbiamo scavalcato l’estesa morena a sinistra del ghiacciaio fin quasi ai piedi delle rocce. Questa è coperta di macerie e difficile da scalare. Poi siamo saliti sul ghiaccio nudo tra i crepacci fino al ghiacciaio e l’abbiamo attraversato a sinistra, non lontano dalle falesie del Piz Popena“. (libera traduzione da Wanderungen in den Ampezzaner Dolomiten, 1893).
Oggi, il lobo occidentale ci appare più agevolmente percorribile. Favoriscono tale scelta anche le osservazioni delle immagini satellitari che evidenziano maggiore crepacciatura sul lobo orientale del ghiacciaio (vedi infra). Anche la traccia presente sulla cartografia suggerisce di attaccare il ghiacciaio dal lobo orientale dove, peraltro, non riscontriamo che qualche timida traccia di nevaio. Saliamo per diversi metri sulla roccia viva, segnata negli anni dall’azione erosiva del ghiacciaio; sulla sinistra, una sottile striscia di nevaio, e sulla destra un bel ruscello di acqua di fusione, al punto che inizio fortemente a dubitare vi possa essere alcunché di simile ad un ghiacciaio in questo tratto.
A quota 2490m, abbiamo completato la salita del lobo occidentale e ci troviamo a monte dell’affioramento roccioso, sul quale è ben visibile la linea di erosione svolta dal ghiacciaio nei tempi che furono. Tale linea ci permette di comprendere quanto alto fosse il ghiaccio rispetto ad oggi! Basti osservare le foto degli anni ’80 e ’90 per distinguere chiaramente come l’affioramento roccioso fungesse da “freno” di tutta la fronte del ghiacciaio.
A questo punto, troviamo una comoda placca coperta di detriti morenici a monte dell’enorme gradone centrale e ci prepariamo per la traversata del ghiacciaio e l’ascensione al passo. Non c’è traccia alcuna da seguire (e, d’altro canto, non abbiamo incontrato nessuno fino ad ora). Fabio Cammelli, nella sua guida “Dolomiti – Monte Cristallo” del 2010, scrive che il percorso da seguire “è soggetto di anno in anno a sensibili cambiamenti, a seconda del grado di innevamento e della presenzadi crepacci. Non solo, ma il rapido e progressivo scioglimento delle nevi nel corso dell’estate, fa sì che la scelta della via di salita debba essere adattata alla situazione oggettiva, che può variare anche di settimana in settimana”. (F. Cammelli, Dolomiti – Monte Cristallo. Collana 101% Vera Montagna, Ed. Paolo Beltrame, 2010, p. 198). Il ghiacciaio, comunque, è, per la maggior parte, coperto di neve e sale con un’inclinazione di circa 25°. I ramponi fanno quindi facilmente presa e la progressione risulta sicura. Decidiamo, quindi, di salire mantenendoci leggermente sulla destra. Dopo una cinquantina di metri, al centro, è possibile ammirare l’unica zona di ghiaccio vivo non coperta da neve.
Un possibile crepaccio longitudinale coperto dallo strato superficiale del nevaio… sarebbe molto utile capire quanta neve c’è sopra il ghiaccio vivo.
Si procede quindi deviando leggermente a sinistra, portandosi sopra l’area di ghiaccio vivo, a centro del ghiacciaio, e si guadagna rapidamente un piacevole quasi-pianoro che permette di rilassare le gambe. Qui si traversa leggermente in direzione E per entrare nel tratto apicale più ripido del ghiacciaio. Come si vedrà in fig. 22c, sconsiglio di procedere più alti verso la parete del Cristallo per la presenza di un paio di crepacci periferici che formano due grandi virgole nei pressi dello sperone roccioso. Nei pressi del restringimento del ghiacciaio, inoltre, dovrebbe trovarsi il famigerato crepaccio dove perì Innerkofler. In merito, Fabio Cammelli scrive che “intorno a quota 2700 si trova un lungo e profondo crepaccio trasversale: il ponte di neve che veniva usato una volta per superarlo, e il cui crollo fu la causa della tragedia in cui perse la vita la guida Michel Innerkofler, non esiste praticamente più, anche perché sia la larghezza che la lunghezza del crepaccio si sono ridotte in maniera significativa nel corso degli ultimi anni.” Cammelli suggerisce, quindi, di oltrepassare quest’area tenendosi il più possibile sulla sinistra (destra orografica del ghiacciaio) (F. Cammelli, Id., p. 198). Nel 1893, Theodor Wundt descriveva ben diversamente il “famigerato passaggio”: “come una fessura spalancata, copre l’intera larghezza del ghiacciaio. Il suo bordo dall’altro lato solleva il bordo da questo lato, e enormi blocchi di ghiaccio pendono qua e là. Quando lo superai, c’era in mezzo un grande ponte di neve che, se calpestato con attenzione, offriva una resistenza sufficiente al peso del corpo” (Id. p. 38).
L’ultimo tratto richiede maggiore impegno, sia a causa dell’incremento dell’inclinazione del pendio sia, soprattutto, al fatto che la parete del Piz Popéna è particolarmente vicina. Per questo, scelgo una traccia praticamente verticale, procedendo a fatica con passo incrociato. Tale strategia, certamente sfiancante, si rivela vincente. A breve, infatti, un masso di 10Kg rotola giù dal Piz Popéna e rimbalza ad una ventina di metri da me, per poi iniziare a rotolare sempre più veloce a valle. Fortuna che Paolo era quasi sulla mia linea e si limita a fare un paio di passi più verso il centro del pendio! La pendenza aumenta gradualmente appropinquandosi al passo, che sta esattamente sulla linea dell’orizzonte in fig. 22. E’ per questo che, fino all’ultimo, siamo rimasti sulla neve, dove i ramponi ci garantivano una presa sicura. Salendo sulla prima roccia che si incontra, infatti, per ogni passo che si compie, si scende di mezzo metro sulla ghiaia franosa.
Il passo è ormai raggiunto, a 2808m. Come si evince dalla foto, la terminale del ghiacciaio (o, piuttosto, il nevaio) ha inizio ad una ventina di metri a N del passo, subito sotto un salto di roccia alto un paio di metri. Il serracco evidenziato nell’aprile del 2015 dal CAI di Conegliano non esiste più. Suppongo che, in periodo primaverile, possa trovarsi in corrispondenza di quel salto di roccia, considerata l’improvvisa pendenza che assume il canalone. Ciò detto, è doveroso svolgere una breve considerazione finale sul tema. Percorrendo il ghiacciaio in agosto, abbiamo riscontrato la pressoché assenza di notevoli crepacci “visibili” ed una zona particolarmente limitata di ghiaccio vivo. Il famoso e profondo crepaccio descritto da W. Eckerth nel 1879 e poi da Cammelli nel 2010, a quota 2700, è sicuramente “ridimensionato” ma non è certo scomparso. Il ghiacciaio del Cristallo è quindi tutt’altro che estinto e non può essere traversato senza adottare le opportune cautele (cioè, come minimo, in cordata e con i ramponi). Come si può osservare dalle seguenti immagini satellitari scattate nel primo periodo autunnale, quando la neve dell’inverno precedente si è oramai sciolta, il ghiacciaio, al di sopra dell’affioramento roccioso, presenta evidenti crepacci, sia trasversali che longitudinali. La seconda foto comprova la conformazione dei crepacci nella prima parte del ghiacciaio. Probabilmente, non ne abbiamo riscontrato l’esistenza in quanto erano coperti da un compatto strato di neve, ma esistono visibili crepacci nell’area compresa tra il lobo orientale e il centro del ghiacciaio poco sopra l’affioramento roccioso. Da evitare quindi in ogni periodo dell’anno, a mio avviso, la traversata del lobo orientale e preferire, comunque, una traiettoria di salita a metà via tra le pareti del Cristallo e il centro del ghiacciaio.
Da non sottovalutare, infine, un paio di crepacci periferici nei pressi dell’imbocco dell’ultimo ripido e più stretto canalone, sotto le pareti del Cristallo e un altro a ridosso delle pareti del Piz Popena. È probabile che un unico grande crepaccio trasversale: quello a 2700 dove perse la vita Innerkofler. Si consiglia, quindi, di tenersi ben centrali all’entrata dell'”imbuto”.
Aggiornamento luglio 2021
La Campagna Glaciologica Italiana 2021 evidenzia una sostanziale espansione della finestra rocciosa che separa i due lobi ed un’evidente riduzione dello spessore del ghiacciaio. Il lobo sinistro, come già riscontrato negli anni precedenti, è a tal punto regredito che risulta ora essere “un settore laterale della fronte” (GFDQ, vol. 45, 2022). Documentazione fotografica per l’anno 2021 disponibile a seguito di ricognizione al seguente link.
Aggiornamento agosto 2022
L’innevamento superficiale è pressoché assente. Tale situazione permette di individuare distintamente i numerosi crepacci che solcano il ghiacciaio, compreso il famigerato crepaccio nei pressi dell’imbuto tra le pendici del Monte Cristallo e del Piz Popena.
Aggiornamento agosto 2023
L’amico Riccardo ha visitato il ghiacciaio, senza peraltro giungere al Passo del Cristallo a causa delle incessanti scariche che tormentavano la sezione apicale del ghiacciaio. Il ghiaccio appare irriconoscibile, quasi completamente coperto da detrito galleggiante.
Anche il livello dei ghiacci sul versante idrografico destro del ghiacciaio appare calato mettendo a confronto un immagine del 2020 con una del 2023.
La discesa dal passo Cristallo
Il passo Cristallo non è proprio un luogo comodo e ameno dove sostare ma piuttosto una ripida e stretta forcella, con un panorama spettacolare sul ghiacciaio del Cristallo a N e sul Sorapis a S. E pensare che, il 18 maggio 1916, le truppe italiane vi collocarono un presidio stabile, i cui resti sono ancora visibili sulle pendici del Piz Popéna!!! (A. Berti, 1915-1917 Guerra in Ampezzo e Cadore, Mursia, 1992, pag. 82).
I primi 50m di discesa verso il passo Tre Croci sono particolarmente impegnativi, a causa della marcata pendenza e del terreno friabile. Affrontando in salita l’ultimo tratto che conduce al passo del Cristallo, Leone Sinagalia scriveva, tra il 1893 e il 1895: “arriviamo a una gola nevosa che scende abbastanza ripida a valle, alla nostra sinistra: qui pieghiamo acutamente a Ovest (lasciando la via per il Passo, che è poco più alto) e attraversiamo diagonalmente la neve ghiacciata, incidendo qualche gradino per maggior sicurezza” (L. Sinigaglia, Ricordi di arrampicate nelle Dolomiti – 1893-1895, ed. La Cooperativa di Cortina, 2003, p. 47). A distanza di oltre un secolo, la neve ghiacciata in estate è ormai un ricordo sul versante meridionale del passo del Cristallo. La pendenza, però, si è ben mantenuta! È quindi consigliabile evitare una discesa (ed analogamente una salita) diretta. La soluzione adottata dal Sinigaglia a fine ottocento sembra invece tutt’ora la preferibile: si procede, quindi, per brevi salti di roccia, tenendo la destra, fino ad immettersi pochi metri sotto il passo nel canale detritico. Il canale deve essere traversato con passo fermo e sicuro, a causa del terreno particolarmente friabile, fino a portarsi sotto la parete del Piz Popena. Il rischio non è solo di scivolare quanto di essere investiti da rocce smosse da chi precede nella discesa.
Superato questo tratto insidioso, la traccia scende, segnalata da ometti, lungo il versante orientale della valle, sul comodo e piacevole ghiaione della Graa de Cirigières, per poi deviare in diagonale verso W, di nuovo sotto le pareti del Cristallo. Si traversa quindi agevolmente un facile canale scavato da una frana per rimontare il sentiero che costeggia il muro del Cristallo scendendo verso S.
A questo punto, ci si trova di fronte ad un bivio. A sinistra il sentiero si perde in una immensa frana; a destra il sentiero procede diritto, perdendosi tuttavia anche esso in un profondo canalone scavato da una più recente frana. Risulta quindi più sicuro risalire in diagonale portandosi alla base della parete, dove è possibile traversare il canale, peraltro non senza difficoltà. Le rocce sono infatti instabili ed il fondo particolarmente franoso. Tale passaggio richiede passo sicuro.
Ora le difficoltà sono finalmente superate e si scende ad ampie serpentine tra pini mughi e bosco fino al Passo Tre Croci.
Per una visione ancora più completa, vi invito a leggere anche la relazione del mio amico Paolo, grande compagno in questa traversata, e la rappresentazione virtuale dell’itinerario su mappa!
ENGLISH VERSIONE – PREMISE
I’ve been thinking over this trek for years: make the crossing of Val Fonda, starting from Ponte de la Marogna, rising all the Val Fonda, crossing the Ghiacciaio del Cristallo, up to Passo del Cristallo, 2808m, then down to passo Tre Croci through the steep Graa de Cirigières. On the other hand, my concern is that I can’t find any complete summer reviews about this trek. One of the main reason is that most of the trek is not on marked path but on a track, so people avoid it (I assume). Even the old guide books are quite evasive on that trail. “High difficult alpine crossing” says the Fabio Cammelli guide book edition ’94, considering the trail in the opposite direction. Online, there is just one very good summer review but it’s dated 2013 and the alpinisit did not reach the passo Cristallo. Needless to say that the uncertainity pertains to the snow condition of the glacier. Indeed, it must not been forgotten that the Cristallo glacier was one of the largest glacier of the Dolomites, with 35 hectares measured in 1957, and here, in August 1888, the renowned alpinist Michele Innerkolfer died falling in a crevesse after the collapse of the snow bridge (already crossed during the ascent with his clients few hours before) (fig. 0). During the summer of ’69, the CAI, division of Conegliano, pointed out “lateral crevasses, glacier openings and outcropping moraines”. In August ’81, the glaciologist G. Perini observed “more marked crevasses on the right side of the glacier“. The Camillo Berti guide book, ed. ’91, described a “frozen crevassed couloir requiring alpine experience and proper equipment“. The Cammelli guide book, ed. ’94, described the upper part of the glacier as “very steep and crevassed“. The ski-mountaineering Burra-Galante guide-book, ed. 2014, says that the glacier “shows crevasses, generally covered by avalanche snow accumulation“. The CAI of Conegliano highlights “a large serac” a few meters from passo Cristallo. Having said that, the curiosity is just too strong. So here we are with the skill friend and climbing partner Paolo, who promptly accepted to join me in this adventure!
DESCRIPTION
We leave the car at Ponte de la Marogna and we walk S, on a large stream bed, until we cross a typical canyon with steep walls and we enter the wild and remote val di Fonda (fig. 1). Then we go on, always S direction, slowly gaining elevation, crossing a couple of time the stream Fonda and climbing the valley on unsteady gravels and rocks, until the path disappears (fig. 2). The direction to follow is now a small cascade, to be approached from the western side of the valley. On the right of the cascade, a faded path rises among gravels and leaks of green grass (fig. 3). The path now goes straightly to W and then moves again to E. At this point, we are at the bottom of the large rock ledge that divides the val di Fonda from the Circo del Cristallo. The path is more and more uncertain till is completely deleted by landslides (fig. 4). It is now necessary to move on with steady steps on uncertain and unstable terrain toward the couloir where the stream Fonda drops. Helmets on, one of most difficult part of the trek starts now. “Turistically not easy” said the C. Berti guide-book, ed. ’91. My advice is to cross the stream and go on the left wal to climb the first meters (fig. 5 – 6). Then, it is better to cross again the stream and stay at the middle of the couloir, between the lively stream that drops on the left and more timid stream the comes down on the right side. Now we start climbing, trying to keep a line the nearest possible to the left stream. We climb trhee insidious rocky ledges, not because of the climbing difficulty but because the rock is very uncertain, collpasing at the minimum hand pressure. In addition, the rocks are wet and slippery so pay attention! NOTE: at the half of the climb, there is an equipped climbing rest point. In case you come downhill from the opposite direction, it seems to be smart to rappelling. Climbing from val di Fonda, as we do, the leader can fix a rope to secure the others who are in difficulties. On the other hand, I think it is possible to climb the right wall of the gully instead of entering it. That route seems to be more direct but it is surely more exposed (fig. 7 – 8). W. Eckert wrote in 1891: “These ledges can be overtaken thanks to a wooden staircase perfectly wedged in the rocks. Before the staircase was installed, the ledges could be overtaken only climbing at the side of the cascades; a 15 minutes climb very near to the bubbling water that was not among the nicest things in the cold mornings“. After 130 years, climbing this couloir happens the same way! Once the gully is passed, you enter in a enter a completely different scenario. The glacial cirque of Cristallo is lost of an eye, surrounded by the steep gravel of the Piz Popèna on the eastern side (fig 9). Now the imaginary line to follow is the canale N between the summit of Cristallo and Cristallo di mezzo, until a plateau located at 2300m of altitude. Here, you finally have a complete view of the Cristallo glacier, sorrounded by the steep passo Cristallo.
THE CRISTALLO GLACIER
A glacier is history, first of all. An history that I decided to learn before making this crossing, in order to better understand the changings that our mountains are facing. On July 1879, W. Eckerth described the glacier as it follows: “a large funnel-shaped hole lies at the middle of the glacier, likely hiding a crevasse full of snow; fifty meters up, two open crevasses showed a crack crossing all the glacier. At 2650 meters of altitude, separated by a snow bridge, there were other two crevasses, larger than the other mentioned before, that indicate a second very large crack which cuts across the glacier. These crevasses were 3m wide, 4m deep and 6/8m long. The lateral walls fall smooth and vertical to the bottom, which was covered by snow and apparently flat. Finally, at 2700m of altitude, where the glacier becomes suddenly steeper, an enormous crevasse appeared, and the snow never managed to fill it, not even during the most snowy years. (…) This crevasse was slightly wider than the former but very deeper and the walls did not fall vertically but inclined toward each other. The edge from the side of the Passo del Cristallo was higher 2 meters than the lower edge and there was no bridge to completely cross the hole. In order to pass it, it was necessary to get off from a small iced bridge, covered by snow, and cross the crack where, in the middle, there was another small bridge of snow that reaches the high edge” (fig. 0). In 1882, J. Rabl wrote: “because of the steepness of the layer where the glacier lies, it is full of crevasses and it shows a nice front crossed by light blue iridescent seracs“. (Führer durch das Pusterthal u. die Dolomiten). On August 1888, the young man fallen in the crevasse together with his guide, M. Innerkolfer, who tragically died, said he felt 20 for meters down in the crevasse. On August 26, 1933, the glaciologist Celli wrote that the Cristallo glacier “starts at passo del Cristallo, with a width of more then 100m and comes down the valley broadening, between the steep walls of the Cristallo and Popéna, till the end of the N ridge of the Popéna, where it has a front of almost 500m width“. The glacier – he said “has a lenght of around 1200m, average width of around 325m and inclination of around 25° (…) On horizontal proiection, the area is around 36 hectares (…) The lowest front stays at 2308m of altitude“. In particular, Celli measured the eastern lobe front at 2320m of altitude and the western one at 2295. After almost twenty years, the glaciologist Nicoli measured the altitude of the lobes of the glacier again, on August 30, 1950: 2270m the eastern lobe and 2305m the western lobe. After thirty years, the glaciologist G. Perini measured the minimum front altitude of the glacier at 2330m of altitude, in August ’81. The Tabacco map, ed. ’85, showed that the upper part of the glacier covered the passo Cristallo and the glacier was made by three elements: a principal glacier, who raised between the Piz Popéna and the Cristallo peaks; one steep snowfield, coming down through the so called “Canale Nord”, between the Cristallo summit, 3205m, and the Cristallo di mezzo summit, 3154m; another smaller snowfield, descending between the Cristallo di mezzo summit and the North-West summit. “In the median area of the glacier – write Perini in the summer of ’85 – there are several open crevasses“. Again, after more than 30 years, a lot has changed. Checking the Tabacco map, ed. 2017, it is possible to see that the front has regressed around 2400m of altitude, leaving East, under the Popéna walls, an isolated island of ice (actually the separation of the eastern lobe happened in 2007). The upper part doesn’t reach the passo Cristallo anymore but is regressed of around 30m. The first snowfield, located west of Canale Nord, has disappeared. In August 2018, the glaciologist Perini measured a regression of the front of around 14m compared to 2015. “The glacier (…) is completely asymmetric, because the left lobe is raised up the big rocky outcrop. (…) The front of the right lobe still goes down the rocky outcrop. This front, covered by a thick lay of debris, is still visible thanks to a slight bulge“. Let’s see now the Tabacco map, ed. 2019. Even though the front stays around the 2400m of altitude, the glacier has dramatically narrowed! Then, the snowfield located in Canale Nord it is not shown anymore… And now we are: today, 8 August 2020, with the skilled climbing partner Paolo, who promptely accepted to join me in this adventure! So let’s see the measures made during this expedition! We confirm the data gathered by Perini regarding the asymmetry of the glacier. Unfortunately, it seems quite difficult to understand where the glacier starts, because of a lot of snowfields and debris above it. In particular, there is a large snowfield which maybe covers the western lobe and its front stays at 2350m of altitude. In addition, this snowfield also completely covers the couloir canale N, between the Cristallo and Cristallo di mezzo. Is any glacier still over there, under the snow??? We really don’t know! (fig. 12 – 13). Then we reach the bottom of the massive rock which separates the glacier into two lobes. The eastern lobe has a front which is aupposedly neat and visible, at 2390m of altitude. We decide to climb the right side on the western lobe, as suggested by the Tabacco map. Over there, there is some very shy trace of snow. We climb for a few meters on the vivid rock, marked by the glacier erosion during the years. I deeply doubt that somekind of glacier can stay under my feet.. (fig. 14 – 15 – 16). At 2490m of altitude, we have completely crossed the western lobe and we are at the top of the big rock that divide the glacier. It is well visible a line on the rock where the glacier used to hit and erode over the past years. It is incredible to realize how high was the eight of the glacier compared to nowadays!!! (fig. 17) Then we find an easy plaque to sit and we prepare the equipment to cross the glacier. The ice is covered by snow and the glacier has an inclination of around 25°. The crampons have a great grip and the climb is pretty safe and easy. After fifty meters, it is possible to see the only uncovered living ice of the glacier (fig. 18 – 19). A possible crevasse (fig. 20). We turn slightly left to the middle of the valley, at the top of the iced bulge, entering a less steep area where we can relax our legs. Here, we cross E in order to face the last steeper part of the glacier (fig. 21). This last part is more demanding, both because of the high steep and, above all, because of the Piz Popéna wall which is very near. That is why I choose to prefer a central line, going ahead with a difficult crossed step. This strategy, which is surely very tiring, reveals to be the best. Indeed, a 10kg rock falls down from the Popéna out of the blue, twenty meters far from me and quickly flies down the glacier. Lucky Paolo who is more or less in my line and he just walks two steps to the middle of the glacier! (fig. 21 – 22). The passo is now reached, at 2808m. As we see in the picture, the glacier (or the snowfield) starts just thirty meters N down the passo Cristallo, behind a 2m eight cliff. The serac highlighted by the CAI, Conegliano, in April 2015 does not exist anymore. It is likely that, during spring, the serac could be over that cliff, considering the sudden steepness that the gully has. Having said that, a brief comment must be done. We haven’t found any important visible crevasses and we have seen just a limited small area of lively ice, crossing the glacier in August. The famous and deep crevasse described by W. Eckerth in 1879 at 2700 of altitude seems to be disappeared. Anyway, his doesn’t mean that the glacier can be safely crossed without the due diligence (i.e. securing themselves with a rope). Looking at the following satellite pictures taken in autumn (fig. 22a – 22b), I think, when the summer snow is melted, it is possible to easily see several crevasses, around the big rocks that divides the glacier in two lobes. The second picture confirms the shape of the crevasses in the first part of the glacier. It is likely that we haven’t found them since they are covered by the snow. Here the location of the most important ones: 46.579911, 12.205201; 46.579772, 12.205146; 46.579286, 12.204673; 46.579421, 12.204602; 46.579397, 12.204429; 46.579728, 12.205755. So, in conclusion, I would never suggest to cross the eastern lobe and, in any case, I would always prefer to keep an imaginary line in the middle between the Cristallo wall and the centre of the glacier. In addition, don’t forget a couple of two crevasses which stay near the restriction that leads to the upper part of the glacier: they are just under the rocks of the Cristallo (fig. 22c)
THE DESCENT FROM PASSO CRISTALLO
The passo Cristallo is not the easiest and best place to stay to relax but it is more similar to a steep and thin fork, with a beautiful N view of the Cristallo glacier and a S view of the Sorapis (fig. 23 – 24 – 25). The first fifty meters downhill from passo Cristallo are very challenging. The descent first occurs among moderate rock ledges, then crossing a very steep gully of crumbling rotten rocks, getting to the wall of the Piz Popéna. The risk is not only to slip down but to be hit by rocks moved from others in the upper part of the gully (fig. 26). Once this dangerous part is passed, the path goes down, following some “ometti”, toward the eastern side of the valley. Then, it turns again right, toward the Cristallo, crossing all the valley on the easy “ghiaione” of the Graa de Cirigières. The path now easily crosses a gully made by a landslide and the runs along the wall of the Cristallo (fig. 27). We now reach a junction: on the left, the path suddenly disappears into an enormous and tremendous landslide. We should take the right path but, again, it disappears into a more recent landslide. The solution is now to go up a few meters, next to the bottom of the Cristallo wall and try to cross the landslide on a very crumbling and unsafe terrain. This action requires steady step and concentration (fig. 28). The risks are now overtaken and the track goes downhill in broad serpentines, among mountain pines and the wood.