DIFFICOLTÀ COMPLESSIVA: E
DURATA: 3,30h (1,30h per giungere in Ra Montejela) – DISTANZA: 7,25km – DSL: 693m+
DATA: 19 ottobre 2020
PREMESSE
Il gruppo della Croda Rossa continua ad esercitare su di me un’attrazione come mai, in precedenza, altre montagne. Comincio ora a cogliere il significato profondo di quelle frasi, pronunciate dai grandi alpinisti del passato, che restarono “stregati” e “catturati” dal fascino della Croda Rossa. Non sono parole proferite a caso. Uno tra tutti, Marino Dall’Oglio, mancato ottantanovenne nel 2013, ha dedicato la sua vita all’esplorazione di tale gruppo montuoso. Quanto a me, il potere attrattivo della Croda Rossa è ascrivibile a molteplici fattori. Sarà che è un gruppo montuoso selvaggio e, tendenzialmente, poco frequentato, complice il fatto che pochi sono i sentieri “ufficiali” che lo traversano. La causa, verosimilmente, sta nel fatto che la Croda Rossa, per via della sua roccia friabile o, come si usa dire, “marcia”, non è meta particolarmente ambita per chi pratica l’arrampicata. Sarà, poi, per via della sua conformazione geologica, che io sono solito definire, informalmente, “dolce”. Spesso, le Dolomiti vedono sorgere le proprie imponenti pareti da ripidi declivi boschivi o ghiaiosi. Nel caso della Croda Rossa, invece, alla base delle pareti rocciose si possono talvolta trovare verdi pascoli e amene radure prative in falsopiano (penso a Lerósa), magari costellate di graziosi laghetti alpini (penso all’Alpe di Fosés). Il tutto condito da una fauna che regna indisturbata, grazie alla rara frequentazione del comune escursionista che non ama – per fortuna – uscire dagli ufficiali sentieri tracciati, e da una flora unica; in merito, non può non suscitare profonda emozione camminare tra pini cembri antichi fino a cinque secoli e più. Infine, ai più sensibili, non potrà sfuggire che proprio in una grotta tra queste recondite pareti la predestinata principessa Moltina dell’epica Saga dei Fanes fu allevata e cresciuta dall’anziana Anguana… Tutto questo è la Croda Rossa: un gruppo montuoso che cela tra le proprie colorate vette ampie e remote valli. Quest’estate, mi sono cimentato nell’esplorazione del Valon de Colfiédo, di Valbónes e Valbónes de Inze, e della Val de Gòtres. Oggi sono andato alla scoperta di una nuova valle: Ra Montejèla, nota anche come Val Montesela, un ampio vallone compreso tra le pareti di Ra Geralbes e la Pala de Ra Fedes. Una curiosità etimologica: nonostante Paul Grohmann la chiamasse nel 1862 “Val Monticello”, interpretandone erroneamente il nome, il termine Montejèla (o Muntejèla, in badiotto) significa, invece, “piccolo pascolo” (nella lingua ladina infatti, “mónt”, sostantivo femminile, significa “pascolo alpestre”).
RELAZIONE DELL’ITINERARIO
Abbandonata l’auto presso il parcheggio del Rifugio Malga Ra Stua, 1695m, si procede per poche decine di metri lungo il sentiero n. 6, fino a superare l’innesto della mulattiera militare che conduce, con sentiero n. 8, a Forcella Lerósa. Si lascia quindi il sentiero n. 6 e si devia sui prati a monte del medesimo, individuando, in direzione NO, una nitida traccia che solca un piccolo dosso erboso, ai margini del bosco. In prossimità della traccia, si individua anche agevolmente un picchetto di legno con segnavia rosso, infisso a terra. Si entra nel bosco e si procede verso NO, mantenendo, per un centinaio di metri, una traiettoria tendenzialmente parallela al sentiero n. 6, più a valle. Prima di incontrare il Ru de re Cuódes (dall’ampezzano: “rio delle cuódes”, le pietre che si utilizzavano per affilare la lama delle falci), il cui suono d’acque già ci accompagna, nei pressi di una piccola radura erbosa, si inizia a salire in direzione E-SE, perdendo ogni riferimento di traccia.
Si prende quindi leggermente quota, procedendo lungo una linea di crinale che, tra antichi pini cembri ed alti abeti, conduce ad un’ampia radura prativa. La si traversa, mirando ora verso N – NE, fino a trovare, dopo i primi passi nel bosco, una chiara traccia che scende fino a intersecare le prime acque sorgive del Ru de re Cuódes.
Si accede quindi al rio, non senza qualche fatica, superando tronchi d’alberi schiantati, e lo si guada agevolmente procedendo su traccia verso N.
La traccia diventa ora larga e ben definita, quasi fosse una mulattiera e, superato un antichissimo pino cembro monumentale, piega leggermente verso NE, sino a condurre al Pian de Socroda (dall’ampezzano: “il pianoro sotto la montagna”, dove si allude evidentemente alla Croda Rossa), 1910m.
Si traversa ora il Pian de Socroda in direzione NE, per giungere alle prime lingue di frana che iniziano ad invaderne il margine superiore. Qui si intravedono alcuni ometti che indicano la via da seguire, camminando sul letto della frana.
Pochi metri e, sulla sinistra, due ometti indicano con precisione chirurgica la “porta” da varcare, abbandonando la frana ed immettendosi in una fitta macchia di pini mughi, in direzione N: è il c.d. sentiero “0”, oggi ufficialmente chiuso, che metteva in comunicazione Lerósa con il sentiero n. 26, nei pressi della Crosc del Grisc.
A questo punto, dopo aver salito per alcune decine di metri l’evidente traccia del sentiero “0”, è necessario abbandonarlo svoltando con decisione a destra, direzione NE. Il punto di svolta non è indicato e la traccia non è visibile. La soluzione più “comoda” implica di arrivare pressoché ai piedi di Ra Geralbes o Ra Jeràlbes (combinazione dall’ampezzano jèra “ghiaia” e dal latino albus “bianco”, stante a significare “la montagna dalle ghiaie bianche”), per poi deviare sulla destra costeggiando la parete. In alternativa e con via un pochino più audace, è possibile traversare direttamente il ripido pendio prativo più a valle della parete di Ra Geralbes.
Con un po’ di cautela, si traversa quindi il ripido declivio erboso, acquistando altitudine, fino a portarsi alla base di un salto roccioso alto un paio di metri. Invece di superarlo con facilissima arrampicata, ho preferito procedere alla sua base, salendo gradualmente verso destra sino ad incontrarne la fine e rimontarlo senza fatica alcuna. A questo punto, mi convinco che la corretta via debba effettivamente trovarsi sopra il piccolo salto roccioso. Tanto meglio: un’avventura alpina senza un pizzico di “ravanage” non è un’avventura!
Ci si trova ora, ai piedi della parete di Ra Geralbes, in una piccola conca, chiamata “Madonna della Solitudine”, con riferimento ad una statuetta votiva ivi collocata. Esplorando la piccola conca, sulla parete più interna di Ra Geralbes, è possibile individuare la vecchia scritta con freccia “Stua”, segno che, nei tempi che furono, ci doveva essere una qualche traccia che scendeva dal crinale prativo sovrastante la conca (ed infatti, salendolo in ricognizione, si notano i segni di un vecchio sentiero sull’erba). Dalla Madonna della Solitudine si risale il declivio coperto di sassi instabili per ritrovare una nitida traccia che conduce a Ra Montejela.
È trascorsa poco meno di un’ora e mezza, con una distanza coperta di 3km, ed eccomi alle porte di Ra Montejela, una magica e remota valle racchiusa tra le colorate pareti S di Ra Geralbes e le innevate pareti N della Pala di Ra Fedes. L’ambiente è magico, il panorama indescrivibile, la giornata meravigliosa. Chi visita questa paradisiaca valle desolata? Nessuno! Una volta, sorgeva un bivacco: il bivacco fisso Pia Helbig Dall’Oglio, moglie del compianto Marino Dall’Oglio, inaugurato il 19 settembre 1965. Doveva servire da ricovero per gli alpinisti desiderosi di raggiungere la vetta della Croda Rossa. Purtroppo, il bivacco divenne meta di qualche screanzato e, negli anni degradò a discarica. Fu quindi smantellato nel 2013, anno della morte del suo fautore, Marino Dall’Oglio. La demolizione del bivacco, combinata con la chiusura ufficiale del sentiero “0”, han certo ridotto drasticamente l’afflusso di escursionisti a Ra Montejela. Inoltre, la valle appare priva di agevoli forcelle che permettano di valicarne le pareti di contorno. Il solo valico ipotizzabile è costituito dalla Forcella Nord, che offre accesso al Cadin del Ghiacciaio. La Forcella Nord, ora innevata, appare tuttavia particolarmente ripida per una salita estiva (soprattutto, temo sia martoriata dalle scariche!!) e, per quanto ne so, ancora più ripido è l’opposto versante, al punto che dovrebbe essere necessario effettuare delle calate per discendere. Diventa sicuramente più appetibile per chi pratica lo sci alpinismo ovvero per chi intende scalare la via Grohmann. Sulla scorta di tali fattori, Ra Montejela è effettivamente un luogo selvaggio e deserto, per chi cerca, come il sottoscritto, una giornata di assoluto silenzio e contemplazione della natura.
Addentrandosi nella valle, si procede, dapprima, con continuo saliscendi per piccole conche prative; trattasi delle increspature frontali della colata di un antico rock glacier, probabilmente d’epoca Tardiglaciale (10.000 anni fa), ormai immoto e coperto di uno strato erboso. Superata l’antica fronte del rock glacier estinto, si accede alla sezione centrale della valle, più rocciosa, costellata di tanto in tanto da isolate macchie di pini mughi.
Giunto al limite di Ra Montejela, i pendii iniziano a salire. È il momento di tornare; il tiepido sole ottobrino, grazie alla rifrazione del manto nevoso, mi scalda piacevolmente e procedo in maniche corte, con vista panoramica sul Lavinores, 2411m, e sulla Croda de Antruiles, 2405m… una condizione di benessere unica ed esaltante, in perfetta sintonia con la natura, osservato costantemente da un vigile camoscio, padrone della valle, a poche centinaia di metri.
Giunto alla soglia di Ra Montejela, vi sono due possibilità di rientro. La prima, chiaramente, è ritornare sui propri passi, scendendo per la “Madonna della Solitudine”. Per mia natura, però, sarei un tipo da giri ad anello. Opto quindi per la seconda possibilità: scendere traversando le ghiaie della Pala de ra Fedes, mirando a Lerósa. Confesso che non era nei piani, memore anche di aver letto sulla guida Camillo Berti del 1991 la seguente considerazione: “non lasciarsi indurre ad abbreviare la prima parte del percorso traversando direttamente verso S dal bivacco Pia Helbig Dall’Oglio: l’attraversamento della colorata frana è inutilmente faticoso e pericoloso“. Di diverso avviso, invece, era Paolo Beltrame che, nella guida “Dolomiti. Croda Rossa D’Ampezzo – 101% vera montagna”, 2008, descrive il sentiero che supera lo spigolo di ingresso a Ra Montejela (nel mio caso, la via di uscita dalla valle) come “evanescente a causa del terreno franoso (disagevole ma per niente pericoloso)” e la traccia che traversa poi il ghiaione come “evidente quando scorre su ghiaie mentre tende a scomparire quando attraversa tratti di sassi più grossi; in questo caso fanno da segnavia gli ometti costruiti sul posto“. Faccio quindi una timida ricognizione ai margini della frana e, non scorgendo passaggi particolarmente ostici, mi sento di sposare l’interpretazione del Beltrame. Inoltre, il pensiero di scendere, là dove sono salito, per il ripido pendio erboso, mi convince senza dubbio a preferire la traversata del ghiaione! Tale convinzione è prontamente consolidata dalla vista di una tenue traccia che incide debolmente la frana.
Si taglia procedendo su cedevoli ghiaie, ma sempre con una pendenza poco sostenuta, tale da permettere un incedere sicuro e mai troppo faticoso, fino addirittura a trovare diversi ometti che indicano la via!
Il gioco sembra fatto quando ci si trova di fronte una sorpresina, già visibile dai margini di Ra Montejela: l’acqua ha eroso il ghiaione scavando una tipica V che interrompe bruscamente la traccia! Nessun problema: vorrà dire che scenderò lungo il canale scavato, tenendomi sul bordo orografico destro, fino a che i margini diminuiranno di altezza e sarà semplice attraversarlo. Seguirò poi l’estrema lingua della frana per attraversare i mughi e spuntare in un’amena radura di Tremonti, semipaludosa, che già ho avuto modo di visitare in passato. Alternativamente, volendo scegliere una soluzione più comoda, è possibile abbandonare la discesa sulla lingua franosa spostandosi più a sinistra, individuando nella linea di baranci un varco, su evidente traccia.
Giunti alla radura, si prosegue in direzione S, traversando un rio (oggi asciutto), fino ad intravedere il Casón di Leròsa, dove mi aspetta una deliziosa fonte di acqua sorgiva.
Dal Casòn di Lerósa, tagliando verso O per dolci prati, si finisce per intersecare la mulattiera sentiero n. 8 e, in una decina di minuti, si giunge al Rifugio Malga Ra Stua.
NOTA FINALE: come anticipato in sede introduttiva, l’itinerario descritto potrebbe essere definito come E. La scelta di attribuirgli la classificazione EE è dovuta alle seguenti valutazioni: 1) nella prima parte, l’itinerario si svolge in mezzo al bosco, senza alcuna traccia. Si richiede, quindi, una certa capacità di orientamento o, comunque, l’utilizzo dell’apposita tecnologia che segni la propria posizione sulla mappa; 2) abbandonando il sentiero “0” per dirigersi verso la “Madonna della Solitudine”, si taglia un ripido pendio erboso, privo di traccia, che richiede pazienza e passo fermo. Probabilmente, la via scelta non è corretta; la valutazione, tuttavia, è svolta sulla traiettoria da me compiuta, non su un’ipotetica soluzione alternativa; 3) l’attraversamento della frana/ghiaione, pur non presentando particolari rischi, richiede in alcuni punti passo fermo ed equilibrio, a causa dell’instabilità del terreno; 4) traversata la frana, per potersi immettere nella radura di Tremonti, è necessario lottare per poche decine di metri dentro una fitta macchia di pini mughi. Nulla di impossibile o difficile ma si richiede una certa “flessibilità mentale” 🙂