DIFFICOLTÀ COMPLESSIVA: EE (le difficoltà “EE” sono limitate allo scavallamento della forcellina ed alla discesa nel tratto apicale della Val de le Barache. Il resto dell’itinerario può essere considerato “E”).
DISTANZA: 11 km – DURATA: 4,30 h – DSL: 1020 m D+
DATA: 16 ottobre 2022
PREMESSE
Siamo a metà ottobre. A Cortina, ieri notte, la temperatura è scesa a 4°C. È quindi finita la stagione delle esplorazioni in alta quota; pur non essendoci che pochi centimetri di neve, le cenge esposte a nord rischiano di essere coperte da lastre di ghiaccio ed il fondo ghiaioso dei pendii inclinati può risultare compatto come il cemento. È tuttavia un autunno straordinariamente mite – come il precedente – e, sotto i 2500m, il terreno si presenta ancora tipicamente estivo. È questo il momento migliore per dedicarsi a veloci esplorazioni non troppo impegnative. La prima che mi viene in mente è l’esplorazione dei Campanili di Val Popena Alta. Chi, salendo il Cristallino di Misurina per la val de le Barache, non è stato attratto da quella singolare formazione rocciosa a forma di cuore, collocata su una cresta che si diparte da Punta Michele? Io e Paolo sicuramente, in occasione dell’esplorazione di Forcella Michele (vedi l’itinerario). Ora, il cuore roccioso che, osservato dalle pendici del Cristallino, sembra poggiare in bilico sul fil di cresta, ha in verità un nome… è il Campanile Dibona, così nominato in quanto l’ardito Maestro Angelo Dibona lo scalò per la prima volta nel 1906. Al suo fianco, un dente roccioso isolato separa il Campanile Dibona da un massiccio sperone roccioso che conchiude la val de le Barache, meglio noto come “Guglia di Val Popena Alta”. Sono queste guglie la nostra meta odierna. Non, però, accedendo dalla val de le Barache ma dal versante sud, alla testata della val Popena Alta, da un circo di ghiaie alle pendici della massiccia dei Campanili di Popena e delle pareti del Piz Popena. Tale soluzione era stata già descritta nel 1925 da Ugo di Vallepiana, nel suo “Dolomiti di Cortina d’Ampezzo dal Cristallo per le Tofane alla Croda da Lago”. Non abbiamo tuttavia rinvenuto alcuna traccia di passaggio umano, probabilmente anche a dimostrazione del fatto che l’avvicinamento al Campanile Dibona, nota meta di scalata, si svolge prevalentemente dalla val de le Barache.
RELAZIONE DELL’ITINERARIO
Lasciata l’auto poco dopo il Passo Tre Croci, nei pressi di una vecchia casa cantoniera, là dove il Rio de Pòusa Marza incrocia la strada statale, si imbocca il sentiero n. 224, che inizia come comoda mulattiera, a tratti asfaltata. Si guadagna quota e, nei pressi di una curva della mulattiera, la si abbandona, piegando verso O ed entrando tra i mughi su distinta traccia di sentiero. Il sentiero prosegue sino alle pendici della Pòusa Marza, sempre verso O, fino a che, a quota 1936m, una traccia si stacca puntando diritta verso le rocce; tale traccia consente di montare sul sentiero n. 222, pochi metri più a monte. Ora, il sentiero si inerpica verso NNE sui c.d. Tàche (tacchi), una serie di prominenze che costituiscono un costone prativo degradante su ripide pareti rocciose affacciate sulla Pòusa Marza. Si giunge quindi ai piedi della parete rocciosa del Corno d’Angolo e, di lì a breve, si incontra il profondo impluvio detritico proveniente da Forcella Popena. Le pareti del canale sono tuttavia ben solcate da una traccia e l’attraversamento risulta agevole (fig. 1).
Superato l’impluvio, il sentiero sale fino alle rocce sovrastanti, dove un recente intervento ha permesso di posare un sistema di scalette e passerelle di legno che consentono di giungere agevolmente in Forcella Popena, 2214m.
In forcella, ci accolgono i ruderi del Rifugio Popena, costruito da Lino Conti ed aperto nel 1937 (fig. 3), purtroppo destinato ad un drammatico epilogo. Se già, infatti, la seconda guerra mondiale mise a dura prova l’attività ricettiva del rifugio, nel 1948 alcuni delinquenti vi entrarono nella stagione invernale e, dopo averlo saccheggiato, lo misero a fuoco. Rimangono oggi poche macerie (fig. 4).
Si segue ora il sentiero n. 222, scendendo verso la testata della Val Popena Alta, abbandonandolo dopo pochi metri per imboccare una nitidissima traccia che costeggia le pendici dei Campanili di Popena. Il punto d’arrivo, indicativamente, è un enorme blocco roccioso fessurato, che prende le sembianze di una “V”. Da qui, si risale faticosamente per pendii prativi, obliquando senza traccia obbligata verso i Campanili di Val Popena Alta (fig. 5 e 6).
Si traversa quindi agevolmente un largo impluvio detritico e si risale su ancor più ripido pendio, mirando ad un evidente canalone detritico e preferendo ai tratti rocciosi le ultime chiazze erbose (fig. 8).
Terminate le chiazze erbose, si entra nel canalone (fig. 9), tenendosi sulla sinistra (destra orografica) del medesimo (fig. 10), e lo si risale senza particolari difficoltà, sino a giungere su una sella (fig. 11) che congiunge la parte apicale dei due affioramenti rocciosi entro cui si apre il canalone.
Si segue ora il crinale della sella, puntando verso O, imboccando un nuovo canale che conduce sulla sinistra del Campanile Dibona (fig. 11). Ora, le Guglie di Val Popena Alta si affermano, imponenti, sul versante meridionale (fig. 12). Caratteristico appare il dente isolato che separa il Campanile Dibona dal Campanile di Val Popena Alta.
Praticando un po’ di divertente scrambling (fig. 13 e 14), si supera il canale e si giunge su una strettissima forcellina che separa il Campanile Dibona dagli affioramenti rocciosi di Punta Michele. Ai piedi del Campanile Dibona, un minuscolo terrazzino con muretto a secco si affaccia sull’ombroso versante N. La discesa dalla forcellina sulle ghiaie apicali è breve in termini di distanze ma non mi pare troppo agevole; consiste in tre piccoli salti di roccia caratterizzati però da fondo friabilissimo e marcio. Ugo di Vallepiana, nel 1925, la semplificava nei seguenti termini: «traversare un colletto aprentesi fra il Campanile di Dibona e la Punta Michele e scendere sul versante N. per la friabile gola e contornare il Campanile Dibona». Con più cauto approccio, preferisco salire ulteriormente lungo la dorsale che si dirama da punta Michele, alla ricerca di un più comodo e sicuro passaggio. Si percorre, pertanto, un’agibile e breve cengetta che aggira uno sperone roccioso e si sale di circa una decina di metri, su facili roccette, fino ad incontrare un’ulteriore forcellina (fig. 15). Ora la discesa appare decisamente più facile e sicura, priva di alcun salto di roccia.
La seconda forcellina è collocata a 2455m. La giornata è incantevole, il cielo è blu ed il sole in quota scotta ancora come in una giornata estiva. Non possiamo che esitare, contemplando il panorama circostante e crogiolandoci in questo remoto angolo del gruppo del Cristallo.
Un ultimo saluto al sole, che per un po’ non vedremo più, e giù sul versante N del Campanile Dibona! La discesa lungo il canalino detritico non presenta particolari difficoltà ma è pur sempre una discesa su terreno totalmente marcio e fuori traccia; pertanto, richiede un minimo di cautela (fig. 18).
Superati i primi metri a valle del canalino, ci si deve mantenere pressoché a ridosso della parete del Campanile Dibona (fig. 19), traversandone le pendici e tenendo nettamente la destra, entrando a stretto giro in un’area di grandi massi e sfasciumi (fig. 20). Superata quest’ultima sezione, continuando in diagonale verso destra, si entra dentro il ghiaione alle pendici del Campanile di Val Popena Alta. Qui il terreno diventa molto più morbido e, stringendo un po’ i denti, è possibile correrlo sciando fino a quasi intersecare il sentiero che taglia la Val de le Barache (fig. 21 e 22).
Giunti alla base della Val de le Barache, il gioco è fatto! Un ultimo sguardo all’immensa valle appena traversata, immaginandola esattamente un secolo fa, a soli quattro anni dalla fine della guerra. Doveva apparire colma di rifugi e baraccamenti, scatolame e teleferiche, essendo stata un’importante base logistica dell’esercito italiano per l’intera durata del conflitto. Scendiamo quindi per il sentiero n. 222a, fino a trovare il bivio per il sentiero n. 224 che ci fa rimontare il costone boschivo occidentale delle Pale di Misurina. Giunti sulla dorsale, un magnifico panorama si apre sulla vallata sottostante, e subito riconosciamo il lago di Misurina, nostra meta. Da qui a malga Misurina il percorso è breve e piacevole, sempre in discesa.
La lettura della relazione di Paolo, non potrà che arricchire di dettagli e particolari quanto finora esposto! Grazie mille inoltre a Paolo, come sempre, per aver montato il video dell’avventura!
DIFFICOLTÀ COMPLESSIVA: EEA. Discesa di Forcella Michele: F+ (traverso a metà del canale di Forcella Michele: II-III grado); salto di roccia in Val Fonda: PD (al massimo qualche passaggio di II grado). DURATA: 8.30 h – DISTANZA: 19 km – DSL: 1100m D+
PREMESSE
Nell’agosto del 2020, ho iniziato con l’amico Paolo l’esplorazione della Val Fonda, che particolarmente si presta ad innumerevoli interpretazioni alpinistiche in stile “Windchili”. Traversato l’anno scorso il ghiacciaio del Cristallo, e l’omonimo passo (chi volesse può curiosare qui), decidiamo quest’anno di traversare Forcella Michele (2591m), che separa la dorsale del Popena dal massiccio del Cristallino, ed esplorare poi il ghiacciaio di Popena, comunemente considerato “estinto”. L’attraversamento estivo di Forcella Michele, con calata nella conca glaciale sottostante, non trova precedente alcuno online, fatta eccezione per qualche scarna descrizione di salite invernali con sci d’alpinismo. La guida Camillo Berti del 1991 riporta che il canalone è percorribile «ma escursionisticamente difficile ed assolutamente sconsigliabile in presenza di neve dura o ghiaccio, senza adeguata attrezzatura (ramponi, piccozza e corda)» (C. Berti, Dolomiti della Val del Boite, Nuove edizioni Dolomiti, p. 195). La cartografia non indica alcuna traccia. Solo sulla carta Kompass edizione 2003, è indicata una traccia che dalla Val Fonda conduce alla dorsale del Popena. Non, tuttavia, a Forcella Michele. Le immagini satellitari, invece, permettono di apprezzare l’esistenza di un traccia che dalla Val Fonda sale alla conca del ghiacciaio di Popena, dirigendo apparentemente a Forcella Michele o Forcella Cristallino. Tale vecchia traccia, tuttavia, risulta improvvisamente interrotta essendo stata sommersa dalle colate di ghiaie scese dalle pareti sovrastanti. Sulla base di simili presupposti, non possiamo esimerci dal tentare questa nuova ed inedita traversata estiva. Lo stesso vale per l’esplorazione del ghiacciaio di Popena. Trovandosi nascosto alla vista dei rari escursionisti che si cimentano nella traversata del ghiacciaio del Cristallo (e soprattutto non conducendo da nessuna parte), resta una meta assolutamente remota e di scarso interesse escursionistico. Coglieremo inoltre l’occasione per fare una capatina anche al ghiacciaio del Cristallo, al fine di verificarne lo stato e confrontarlo con quanto esplorato l’estate scorsa. In ultima, proveremo a cercare quella via alternativa che ci viene suggerita per superare il salto di roccia che conduce nella parte inferiore della Val Fonda, evitando di entrare nella gola dove scorre la cascatella. In occasione di questa uscita, per dare maggiore forza e sicurezza alla “spedizione esplorativa”, si è unito a noi, accettando con entusiasmo la sfida, anche Giacomo, guida alpina di Cortina!
DESCRIZIONE DELL’ITINERARIO
Parcheggiata l’auto presso il Ponte Val Popena Alta, 1658m, imbocchiamo il sentiero 222 che, costeggiando il Rio Popena, risale gradualmente la Val Popena Alta. Al momento, presso il Ponte Val Popena Alta, un cartello comunica che il sentiero 222 è chiuso al transito. È probabile che tale indicazione trovi ragione in un leggero smottamento del costone sul versante orografico sinistro del Rio Popena, che ha cancellato il sentiero, a pochi minuti dall’imbocco del medesimo. Si procede comunque agevolmente, senza particolare difficoltà e pericolo, sulla stabile ghiaia della frana, per pochi metri, sino a riguadagnare l’evidente traccia del sentiero. Il sentiero continua ora dentro il greto ghiaioso del Rio Popena (fig. 1) fino a rimontare in leggera salita sul versante orografico sinistro, staccandosi così dal torrente.
Qui la deviazione non è evidente, tant’è che ci siamo trovati in un’amena radura prativa, circa una cinquantina di metri oltre il bivio (fig. 2).
Ritrovato il sentiero, prendendo gradualmente quota, si apre un magnifico panorama sulla Val Popena Alta (fig. 3) e, di lì a breve, si arriva all’innesto del sentiero 222a, che inizia la risalita in direzione O.
Si giunge quindi ad un bivio, dove una freccia sull’erba allestita con dei sassi ci indica di tenere la sinistra, procedendo sul sentiero più basso (fig. 4). Mantenendo sulla sinistra il Campanile di Val Popena Alta, il sentiero 222a conduce, risalendo con ampi tornanti (fig. 5), alla Val de le Barache, valle adibita durante la prima guerra mondiale a postazione di baracche e teleferiche che salivano alla sovrastante Forcella Michele, meta della nostra odierna salita (fig. 6 e 7).
Giunti ai piedi delle pareti del Cristallino, si trova una recentissima via ferrata che consente di evitare la salita all’interno del canalone detritico (salita precedentemente utilizzata per guadagnare quota). La ferrata si rivela estremamente piacevole, con semplici passaggi aerei sempre però su roccia ben solida e pulita, senza mai trovarci in esposizione (fig. 8, 9, 9a, 9b).
Terminata la via ferrata, si traversa uno stabile ponte di legno nei pressi di un enorme chiodo di ferro utilizzato probabilmente durante la prima guerra mondiale per l’assicurazione e le calate di materiale (fig. 10). Si sale quindi a zig zag tra piccole cenge franose e canali detritici, sempre comunque senza alcuna esposizione, sino a giungere, intorno a quota 2630m, presso i resti di alcuni baraccamenti tra tronchi di larice, chiodi e filo spinato (fig. 11 e 12). Scriveva Antonio Berti:
«dal villaggio (ndr: Val delle Baracche) un ardito sentiero ricavato con sostegni, scavi, riporti di notevole impegno, risaliva a zig zag la parte superiore del valloncello per poi arrampicarsi sulle rocce del versante orientale del Cristallino fino a raggiungere la cresta meridionale del monte poco sopra Forcella Michele».
A. Berti, 1915-1917 Guerra in Ampezzo e Cadore, Mursia, 1992, pag. 116.
Dopo una breve pausa ristoratrice iniziamo la discesa verso Forcella Michele, avvalendoci di comode tracce e transitando nei pressi di due caverne scavate nella roccia durante le prima guerra mondiale. Forcella Michele è ora in vista. Per raggiungerla è necessario effettuare un breve traverso diagonale su terreno friabile (fig. 13) ed eccoci in forcella, a 2591m (fig. 14).
Ora inizia la parte più difficile 🙂 nonché l’incognita principale della nostra esplorazione. L’aspetto positivo è che il canalone che scende verso NO dalla Forcelle Michele non mostra una pendenza particolarmente sostenuta. Di contro, il terreno si rileva piuttosto insidioso, marcio e frammisto di grosse rocce franate dai ripidi pendii sovrastanti (fig. 15, 16, 16a). Non è quindi possibile ipotizzare una spensierata e fluida discesa su ghiaione… anche perché dopo una ventina di metri inizia la neve, che copre ancora tutto il canalone fino alla sua base! Procediamo, quindi, con particolare cautela, senza peraltro indossare i ramponi, visto che la neve non è poi così compatta (fig. 17 e 17a). Nel mentre, veniamo avvolti dalla nuvola ed inizia a piovere! L’ambiente è severo; sulle pareti del Cristallino scorgiamo postazioni di guerra sulle pendici del Cristallino e, nei primi metri di discesa, il ghiaione ci svela un caricatore di fucile, una pallottola e filo spinato in abbondanza. Presto detto: esattamente qui si trovava la linea del fronte italiano durante la prima guerra mondiale!
Ed ecco il primo ostacolo! Là dove la gola si restringe, la neve alla base si è sciolta, erosa dalle acque piovane convogliate dalle sovrastanti pareti. Ciò ha comportato che si sia venuto a creare un ben poco affidabile ponte di neve, con sotto un bel buco di oltre due metri. Giacomo scende in perlustrazione sotto il ponte di neve, per cercare un possibile passaggio, ma il salto diventa ancora più profondo e ci andremmo a complicare ulteriormente la vita (fig. 18). Non ci resta che scegliere la via più ripida e predisporre un ancoraggio per calarci per circa cinque metri al di là di un enorme masso squadrato (fig. 19). Osservandone le forme ben squadrate, suppongo trattasi verosimilmente di un masso franato da una delle sovrastanti cime che è rotolato fino ad incastrarsi nella gola. Sarei propenso a scommettere che Camillo Berti non ha rinvenuto tale “occlusione”, con conseguente salto a valle, nelle ricognizioni svolte negli anni ’80, altrimenti avrebbe classificato la via come non escursionisticamente percorribile.
Iniziamo quindi la calata. Apre il sottoscritto che, piuttosto che calarsi, si cimenta in un traverso lungo la parete marcia, pulendo detriti e ricavando appigli apparentemente affidabili (fig. 20). Segue Paolo e chiude Giacomo calandosi in corda doppia (fig. 21 e 22).
Superato il salto di roccia, la discesa non presenta ulteriori ostacoli e si svolge agevole sino all’intersezione del canalone che scende da Forcella Cristallino (fig. 23 e 24), dove deviamo con decisione a destra, verso S, così tenendoci a ridosso delle pareti della dorsale del Popena, uscendo dal canalone innevato.
Decidiamo di prendere come punto di riferimento una curiosa “porta” (fig. 26) che conduce ad un comodo e breve ghiaione (fig. 27), dal quale poi traversiamo un nevaio e, con facile discesa, approdiamo sull’antico terreno morenico del ghiacciaio di Popena.
IL GHIACCIAIO DI POPENA
Scriveva W. Eckerth nel 1886, esplorando il gruppo del Cristallo in compagnia della guida Michel Innerkofler:
«il ghiacciaio di Popena si trova ai piedi delle pareti Nord-occidentali della dorsale del Popena e si estende da una quota di 2600m fino a meno di 2500m. A seconda della stagione appare coperto di neve o da uno strato di ghiaia e può facilmente esser preso per un semplice circo di ghiaie e neve».
W. Eckerth, Il gruppo del Monte Cristallo, 1891, Ed. Cooperativa di Coortina, 1989, p. 163
Ulteriormente Eckerth sottolineava che «il ghiacciaio di Popena è tanto nascosto quanto impervio e quindi non deve far meraviglia che la sua esistenza sia quasi sconosciuta» (W. Eckerth, Id., p. 133). Effettivamente, salendo per la Val Fonda, non è possibile avere visione della conca glaciale superiore conchiusa ai piedi delle pareti N – NO del monte Popena. Sarà forse questo il motivo per cui, dagli anni ’30 agli anni ’60, i glaciologi non hanno rivolto approfondite attenzioni al ghiacciaio di Popena. Le ultime significative osservazioni prima di questo “vuoto” temporale, furono svolte dal glaciologo Celli, il quale, nell’agosto del 1933, rilevava che «la fronte glaciale arriva col suo lobo più avanzato, coperto da detriti, alla quota 2370 circa, presso un grosso masso (…)». (Bollettino del Comitato Glaciologico Italiano, vol. 14, 1934). Bisogna poi aspettare i primi anni ’60, per apprezzare una nuova e significativa manifestazione di interesse verso tale apparato glaciale. In particolare, con riferimento agli anni 1960-61, il glaciologo Piera Nicoli osservava che il ghiaccio di Popena era “in regresso”, con una superficie di 19 ettari ed un “innevamento frontale scarso” (Bollettino del Comitato Glaciologico Italiano, 1962). A distanza di venticinque anni, nell’agosto del 1986, il glaciologo Perini approfondiva ulteriormente il tenore delle osservazioni e rilevava che
«la crepacciatura è evidente solo sulla sinistra, a quota 2530, dove il ghiaccio aggira uno spuntone roccioso. La zona frontale è sempre sommersa da detriti morenici, che lasciano solo in parte intravvedere il ghiaccio». Riscontrava, inoltre, un «leggero ritiro frontale, anche se tutto l’apparato glaciale sembra stabile; non si notano archetti morenici frontali
Geografia Fisica e Dinamica Quaternaria, vol. 10, 1987
Nell’agosto dell’anno successivo, il Perini registrava quanto segue:
un leggero rigonfiamento evidenzia, quest’anno, nettamente la fronte; corpi di ghiaccio morto, staccatisi presumibilmente di recente, sono presenti nella parte destra frontale. I crepacci sono sempre ben evidenti sulla sinistra orografica, nella parte alta, alcuni profondi 8-9 metri.
GFDQ, vol. 11, 1988
Pochi anni dopo, nell’estate del 1991, il Perini osservava che «la situazione di questa ghiacciaio è di una certa stabilità, dovuta anche al riparo esercitato dalle alte pareti del Piz Popena». (GFDQ, vol. 15, 1992) e, nell’agosto del 1993, «sempre più massiccia la copertura detritica che maschera la zona frontale; al di sopra del grande accumulo morenico situato poco a monte, invece, il ghiaccio è abbastanza pulito».
Successivamente, nell’agosto del 1995, Perini rilevava che
«è in aumento il detrito galleggiante; vistose sono alcune bedieres, con cospicua acqua di scorrimento. A monte del grande cono si è formato un laghetto di sbarramento morenico di 70-80 mq, su cui si immerge anche il ghiaccio».
GFDQ, vol. 19, 1996
Nell’agosto del 1996, il glaciologo constatava la diminuzione dello spessore del ghiacciaio, rilevando che «dal confronto fotografico con foto di 15 anni fa, impressionante è ora la notevole riduzione di spessore del ghiaccio, che è di parecchi metri» (GFDQ, vol. 20, 1997). Con la fine degli anni ’90, le misurazioni del ghiacciaio da parte dei glaciologi venivano interrotte, come anticipava il Perini in sede di visita nell’agosto del 1997:
«il detrito galleggiante ricopre ormai gran parte della superficie glaciale e una profonda bédière incide il ghiaccio dal settore centrale sino a quasi alla fronte. (…) Se la situazione di copertura detritica e di infossamento del corpo glaciale si accentueranno nei prossimi anni, sempre più difficilmente si potranno eseguire dei controlli significativi».
GFDQ, vol. 21, 1998
Veniamo quindi alle osservazioni svolte in sede di sopralluogo, in data 18 luglio 2021. Avvicinandoci alla presunta fronte del ghiacciaio di Popena, rileviamo, innanzitutto, un considerevole arretramento della fronte rispetto alle misurazioni svolte nel 1933. In particolare, abbiamo identificato quel “grosso masso” individuato dal glaciologo Celli quale limite della fronte… masso che, sicuramente, non si è mosso di un centimetro in novant’anni! Si è invece sicuramente mossa la fronte del ghiacciaio di Popena, che risulta drasticamente arretrata. Difficile stabilire a che quota sia la fronte, considerato l’importante innevamento residuo e l’abbondante copertura di detrito. In merito, si segnala una recente e significativa frana dalle pareti del Popena, che ricopre la neve dell’ultima stagione invernale. (fig. 31).
Si rileva, inoltre, l’estinzione del laghetto di sbarramento morenico riscontrato dal glaciologo Perini nell’agosto del 1995. Lo stesso laghetto, veniva ancora riportato nella carta Tabacco, edizione 2017. Non è invece più rilevato nelle ultime edizioni. Ritengo di poterne individuare la collocazione corretta, a quota 2300m circa, dove sorge una modesta depressione colma di neve velata di detrito finissimo. È probabile che, in occasione di importanti precipitazioni, questo avvallamento raccolga le acque di confluenza dell’intera conca glaciale del ghiacciaio di Popena (fig. 32). Inoltre, transitando presso i margini del laghetto estinto, si ode nitidamente il gorgoglio delle acque di fusione del ghiacciaio di Popena, che scorrono sotto la neve e si perdono nelle rocce per poi riemergere in Val Fonda. In questo avvallamento, dovrebbe anche confluire un ruscelletto che sorge intorno ai 2600m, sulle pareti poco sottoPunta Michele. Di sicuro, tuttavia, è scomparso il ghiaccio che si immergeva nel laghetto, come da rilevazione del glaciologo Perini nell’estate del 1994.
Considerato lo stato di persistente innevamento residuo, risulta impossibile svolgere ulteriori osservazioni sullo stato del ghiacciaio di Popena. Ciò che si può ipotizzare, anche sulla scorta delle osservazioni svolte dai glaciologi fino agli anni ’90, è che il ghiacciaio di Popena sia tutt’altro che estinto. Se è indubitabile, infatti, che lo spessore del ghiaccio sia drasticamente diminuito negli anni, comportando una significativa regressione della fronte, è altrettanto vero che le continue scariche dalle pareti circostanti hanno agito quale copertura della superficie glaciale. È infatti verosimile che il ghiacciaio di Popena sia ormai rivestito da un’alternanza di strati di detriti franosi, sui quali si deposita la neve stagionale, che a sua volta è stata coperta da detriti franosi nelle stagioni calde, per poi essere nuovamente sommersi dalla neve invernale, e così via. Non potendo svolgere ulteriori osservazioni, decidiamo, muovendo dal crinale più esterno della morena (fig. 33), di aggirare lo sperone di Popena, il più strettamente possibile (fig. 34), e recarci presso la fronte del ghiacciaio del Cristallo, per valutarne lo stato.
Dopo una faticosa risalita dei ripidi e antichi depositi morenici del ghiacciaio del Cristallo, giungiamo finalmente ai suoi piedi (fig. 35). Come per il ghiacciaio di Popena, siamo impossibilitati dallo svolgere le opportune osservazioni sullo stato del ghiacciaio del Cristallo, a causa del persistente innevamento residuo. Per mera curiosità, si osservi il confronto tra l’attuale innevamento, in data 19 luglio 2021, e la situazione riscontrata nell’agosto 2020 (fig. 36). La speranza è che le considerevoli precipitazioni nevose registrate nella stagione invernale 2021 siano tali da aver contribuito a preservare quanto è rimasto dei ghiacciai dolomitici (se non, addirittura, ad incrementarne leggermente la massa!).
IL SUPERAMENTO DEL GRADONE ROCCIOSODELLA VAL FONDA
A questo punto, non ci resta che proseguire per l’ultimo obiettivo: trovare quell’antico sentiero (attrezzato?) che permette di superare il salto di roccia della Val Fonda, senza entrare nella gola con la cascata. A fine ottocento, Theodor Wundt scriveva che, risalendo la Val Fonda, il gradone
«è formato da pareti rocciose verticali, non facili da superare. Anche qui Michel (nda: Innerkofler) aveva raccomandato cautela. ‘Assicurati di trovare la via giusta, altrimenti puoi arrampicarti lì dentro tutto il giorno e non andare oltre».
Questo era il monito del grande alpinista Innerkofler all’epoca. Più recentemente, Camillo Berti scrive che «il passaggio si trova sulla sinistra idrografica ed è caratterizzato da un vecchio piolo di ferro contorto» (C. Berti, Id.). Fabio Cammelli, nella guida “Dolomiti – Monte Cristallo”, scrive che un tempo
«i salti di roccia sotto il circo glaciale superiore della Val Fonda venivano superati salendo a lato delle cascate con le quali l’acqua di fusione del ghiacciaio precipitava verso valle: si trattava di una breve ma non facile arrampicata su rocce sovente ricoperte da un sottile strato di ghiaccio».
Aggiunge Cammelli che nella primavera del 1885, il CAI Alpino Austro Tedesco
«fece sistemare un buon sentiero che dai pressi dell’imboccatura della Val Fonda s’innalzava lungo il fianco sinistro della valle (destra orografica) per poi proseguire a mezzacosta tenendosi alto sopra l’alveo del torrente. Giunti sotto il gradone roccioso (…), il sentiero si portava sull’opposta sponda grazie a una passerella formata da due tronchi, per poi salire alla base del salto roccioso soprastante, che a sua volta veniva superato grazie all’aiuto di una scala a pioli incastrata ad arte nella roccia».
F. Cammelli, Dolomiti – Monte Cristallo, 101% Vera Montagna, Ed. Paolo Beltrame, 2010, p. 92.
Prima dell’allestimento di simile struttura, nel 1862, Paul Grohmann scriveva
«per arrivare al passo (ndr: del Cristallo) bisogna attraversare il ghiacciaio, il cui accesso è all’estremità della Val Fonda lungo l’acqua che proviene dai nevai. Un tempo questo accesso era abbastanza curioso perché occorreva passare carponi attraverso un foro sotto la roccia; ma adesso, a quanto mi è stato detto, il foro è crollato e non esiste più».
Quanto sopra è confermato dallo stesso Eckerth, che nel 1891 scriveva
«Questi salti si superano con l’aiuto di una scala a pioli di legno incastrata con arte nella roccia. Prima che la scala fosse costituita, i salti di roccia si superavano salendo a lato delle cascatelle, un’arrampicata di più di un quarto d’ora a breve distanza dall’acqua spumeggiante, il che, nelle mattinate fredde, non era tra le cose più gradevoli».
Ciò premesso, Cammelli scrive che (perlomeno fino al 2010)
«presso l’imboccatura di un largo e ripido canale, si scorgono tre tronchi di legno posizionati orizzontalmente su piani sovrapposti (…). Il primo tronco di legno è situato circa tre metri più in alto rispetto alla base del canale: lo si raggiunge risalendo un corto ma ripido salto di rocce friabili (talora bagnate; I e II grado). Oltrepassato un secondo tronco, posto poco sopra il primo, si sale più facilmente sino a portarsi all’altezza di un terzo tronco incastrato: da qui non si prosegue più all’interno del canale bensì si continua a sinistra, verso l’esterno, per poi rientrare nella spaccatura lungo una breve e comoda cengetta rocciosa, che corre obliquamente da sinistra verso destra. Seguono due corti gradoni un po’ più ripidi e impegnativi (ma sempre ben appigliati; I e II grado; alcuni spit su cui eventualmente far sicurezza) che consentono di uscire dal canale e di raggiungere, alla propria sinistra, un piccolo pulpito roccioso. In breve, grazie anche all’aiuto di alcuni vecchi fittoni metallici, si superano le soprastanti facili roccette e si perviene al bordo superiore del gradone roccioso di sbarramento della Val Fonda».
F. Cammelli, Id., p. 198
Noi, nell’estate del 2020, non abbiamo trovato alla base del gradone roccioso alcuna traccia del presunto sentiero attrezzato, così come descritto dai sopra menzionati autori, né tantomeno alcuna evidenza dei tronchi citati dal Cammelli. Provenendo dalla conca glaciale superiore della Val Fonda, invece, riscontriamo effettivamente l’esistenza di una traccia di sentiero e qualche ometto, una ventina di metri a sinistra dell’intaglio con la cascata. La traccia interseca presto un non insignificante canale di sfogo di acqua e ghiaia che, nel tempo, hanno completamente eroso il margine superiore del salto di roccia, il quale appare come roccia viva levigata e coperta di detrito (fig. 37).
Si superano un paio di gradoni e ci si trova sullo strapiombo. Da qui, in discesa verticale, si distinguono subito i tre/quattro grossi e vetusti fittoni con anello citati da Fabio Cammelli (un paio abbastanza mobili), entro i quali verosimilmente era assicurata una corda nei tempi che furono (forse installati proprio dal CAI Alpino Austro-Tedesco nell’intervento del 1885) (fig. 38). Organizziamo quindi una prima calata verticale, che ci permette di superare i due primi salti di roccia (fig. 39).
Completata la prima calata, si apre sotto di noi il profondo canale che fende la roccia in diagonale, entro cui, tuttavia, non rinveniamo alcuna traccia dei famosi tronchi descritti da Cammelli nella sua guida. Svolgiamo quindi la seconda calata. L’arrampicata si rivela abbastanza difficile poiché ogni appiglio trasuda acqua e si stacca. Tanto vale calarci di peso, anche per agevolare Giacomo che ci sta facendo sicura presso la sosta allestita sull’ultimo gradone di roccia prima dello strapiombo. Scendo io, poi Paolo (fig. 40) ed infine Giacomo (fig. 41).
A posteriori, resto nel dubbio se sia più conveniente percorrere la via appena svolta oppure la gola con la cascata, come fatto l’anno precedente in agosto. Probabilmente, in salita sceglierei la traccia odierna mentre in discesa ritengo più comodo e diretto scendere per la cascata, calandosi in doppia assicurati al robusto anello infisso nella roccia poco dopo l’ingresso nella gola. Da segnalare, inoltre, l’assenza di ometti o altro tipo di segnalazione volto a indicare l’imbocco del canale di risalita; o lo si conosce, oppure non lo si trova. Ad ogni modo, il salto della Val Fonda resta un ostacolo da affrontare sempre con le dovute cautele, poiché la roccia marcia ed il terreno bagnato riservano sempre qualche imprevisto. La foto scattata dall’amico Riccardo nei pressi di forcella Rauhfofel rappresenta esaustivamente le due possibili soluzioni di salita/discesa. In corrispondenza del cerchio rosso, è infisso il grosso e robusto anello nella roccia per assicurarsi (fig. 41a).
Ciò detto, abbandonata la frana ai piedi del salto roccioso, si ritrova il sentiero che traversa l’intera Val Fonda (fig. 42, 42a e 43).
Inizia ora una lunga discesa, camminando su terreno sempre instabile, lasciando alle spalle la cascata della Val Fonda (fig. 44) e guadando di volta in volta i vari rami del rio, scegliendo la strada che sembra più diretta e con il fondo di sassi meno grossi :-). Si procede fino a che, in corrispondenza del restringimento della gola della Val Fonda, si trova una vecchia traccia, che risale leggermente il costone tra frane e pini mughi, sul versante orografico destro del rio. Trattasi del già menzionato sentiero allestito dal CAI Alpino Austro-Tedesco nella primavera del 1885, che permette un incedere più rilassato e, soprattutto, consente un transito più sicuro in caso di pioggia, evitando di trovarsi nel bel mezzo del restringimento della gola sul greto del rio che ingrossa ricevendo le acque delle pareti circostanti e dell’intero circo glaciale del Cristallo/Popena.
Si arriva, infine, al parcheggio di Ponte de la Marogna, 1470m, dove abbiamo la seconda macchina per rientrare al parcheggio presso il Ponte di Val Popena Alta.
Ecco il video completo dell’itinerario montato ad arte da Paolo!
Per ulteriori informazioni circa il descritto itinerario, e soprattutto per apprezzarne adeguatamente l’intensità e le emozioni, rimando alla lettura dell’affascinante relazione scritta dall’amico Paolo.